
13 Ago 2025 Il Sorpasso è lo specchio di un’Italia che non c’è più
L’estate romana ha sempre esercitato un fascino particolare sul cinema italiano, diventando teatro di narrazioni che oscillano tra due poli opposti: da un lato l’euforia delle spiagge affollate e dall’altro il volto più malinconico di una metropoli improvvisamente svuotata, dove il silenzio di agosto rivela contorni quasi sacri.
Quando la capitale italiana si libera dal suo frastuono quotidiano e si abbandona a una quiete sospesa, Il sorpasso di Dino Risi emerge, popolando gli schermi dei cinema italiani con due icone dell’epoca: Vittorio Gassman, trentaseienne vigoroso ed esuberante, amante della guida sportiva e delle belle donne, e Jean-Louis Trintignant, studente di legge al quarto anno, rimasto in città per preparare gli esami.
Il capolavoro di Risi, prima ancora di essere una feroce satira del boom economico e dell’ingenuo ottimismo del dopoguerra italiano, è un ritratto poetico di un’Italia che non c’è più. Roma d’agosto diventa lo scenario perfetto per raccontare la danza tra evasione e vuoto esistenziale, con Vittorio Gassman protagonista della sua migliore performance, che nasconde, dietro l’esuberanza e le risate, un grido di aiuto disperato. Dopo la dovuta presentazione, continuiamo con la recensione. Scorri per leggere di più.

Il Sorpasso, trama del film di Dino Risi con Vittorio Gassman
A Roma, la mattina del Ferragosto 1962, Bruno Cortona, trentaseienne vigoroso ed esuberante, amante della guida sportiva e delle belle donne, al volante della sua Lancia Aurelia B24 convertibile, vaga alla ricerca di un pacchetto di sigarette e di un telefono pubblico. Lo accoglie in casa Roberto, studente di legge al quarto anno, rimasto in città per preparare gli esami. Dopo la telefonata, Bruno chiede a Roberto di fargli compagnia: i due, sulla spinta dell’esuberanza e dell’invadenza di Bruno, intraprendono un viaggio in auto lungo la via Aurelia, a velocità sostenuta, che li porta in direzione della Toscana, a Castiglioncello, senza alcuna destinazione.
Il Sorpasso, recensione: il capolavoro di Dino Risi
Martin Scorsese e Dennis Hopper, riconoscono in quest’opera il primo autentico road movie della storia cinematografica. Ma sarebbe riduttivo limitare la pellicola a questa sola definizione: Il film di Dino Risi viene frequentemente citato come pietra miliare della commedia italiana.
Il Sorpasso deve essere innanzitutto considerato nella sua epoca storica. Un insolito film ambientato nell’Italia centrale dei primi anni Sessanta, un’atmosfera che oscilla tra ritmo alti e attimi nostalgici al mare. Siamo ancora distanti dall’epoca dal ’68, dai furgoni Volkswagen e dalle Harley-Davidson delle infinite highway americane, dai capelli al vento e dalle barbe folt.
I personaggi sono quindi quelli “tradizionali”: tagli di capelli posati, camicie allacciate fino all’ultimo bottone e infilate nei pantaloni, strutture familiari tradizionali e etica cattolica. Tuttavia, qualcosa sta mutando. L’Italia vive gli anni del boom economico. I vinili di rock’n’roll e rhythm & blues cominciano a diffondersi tra i giovani, il cui sguardo si orienta sempre più verso i loro idoli americani, così magnetici e carismatici nelle loro apparizioni televisive. Cicche e bourbon accompagnano i balli sfrenati nei club moderni, dove una generazione sempre più cosciente e matura immagina un futuro di benessere dopo le catastrofi e l’indigenza del dopoguerra.
Da questo scenario emerge Bruno Cortona (Vittorio Gassman), personificazione del boom, della leggerezza, della fiducia, dei mestieri saltuari, delle relazioni fugaci, delle corse automobilistiche, degli aperitivi. Un individuo che ignora il sapore della sicurezza, della tranquillità, delle certezze. Una personalità che si sintetizza da sola quando parla: “A Robe’, che te frega delle tristezze. Lo sai qual è l’età più bella? Te lo dico io qual è. È quella che uno c’ha giorno per giorno. Fino a quando schiatta… si capisce.”
Ma sarebbe un grave errore ridurlo a un semplice cliché o a una caricatura di facile lettura. Con il procedere della narrazione, Il Sorpasso ci fa capire i suoi sottotesti e condivide con lo spettatore la profondità delle contraddizioni che muovono il carattere di Bruno: l’insicurezza, principalmente, il tormento di assistere alla crescita di una figlia senza essere presente, il bisogno di amicizie autentiche e durature che evidentemente non riuscirà mai ad ottenere.
Roberto (Jean-Louis Trintignant), compagno di viaggio, è il perfetto contrario di Bruno: un ragazzo equilibrato, studente di legge prossimo alla laurea, educatissimo e estremamente timido, ansioso riguardo al proprio aspetto davanti agli altri e agli sconosciuti. Il suo incontro con Bruno è stato completamente fortuito e sembrava destinato a concludersi immediatamente.
La persistenza del nuovo compagno nel trascinarlo fuori a cena e in vari locali diventa una delle sequenze più esilaranti del film, con il povero giovane che, ogni volta, si propone di declinare l’invito e tornare a Roma per studiare. Ma sistematicamente non trova il coraggio di fermare l’euforia del nuovo amico, che lo condurrà attraverso un percorso per lui completamente nuovo, fatto di svago, incontri, e celebrazioni alla vita.

Il Sorpasso: l’amaro finale di una bolla che scoppia
“Ma tu che te godi della vita?“
Un solo e unico gesto è esemplare nel film, dall’inizio alla fine. Il sorpasso, audace, veloce e che dona libertà anche con la linea continua e la doppia carreggiata, da il senso di vera liberazione, un rifiuto delle norme della buona educazione. Le sequenze quasi neorealistiche, dove la trama sembra mettersi in secondo piano per lasciare spazio a momenti di vita quotidiana, si alternano a quadri di pura poesia. Ma al tempo stesso sono quadri decadenti, di un’Italia con la famiglia al mare, ma che poi, della famiglia, Bruno stesso neanche si ricorda, scambiando la figlia per una giovane qualunque, andando da lei per sedurla. Il tutto a una velocità di 130 km/h. La corsa, verso quale destinazione?
Bruno e Roberto, incontrandosi e trascorrendo una giornata insieme, trasformano per sempre le loro vite. Due aspetti della stessa realtà, i poli di un asse che lo spettatore è indotto a percorrere, spostandosi da una parte e dall’altra. Due alter ego dell’uomo italiano di quell’epoca. Da una parte la vecchia guardia, la DC, le normative non cancellate dello Statuto Albertino sui buoni costumi, educazione e sicurezza economica. Dall’altra, la nuova Italia che emerge dal boom con grande energia e una coscienza tutta nuova.
La coppia protagonista è lo specchi odi una nazione divisa tra valori morali e comportamenti inappropriati. Roberto, giovane borghese, destinato a una carriera professionale, riflessivo ma molto incoerente tra pensieri e azioni. Bruno, quarantenne opportunista, sempre pronto a schierarsi con i vincenti, superficiale e incapace di responsabilità.
Come potrebbe concludersi questo percorso? Dino Risi aveva le idee chiare fin dall’inizio, ma di diverso avviso era il produttore Cecchi Gori, che propose un finale alternativo. Alla fine fu organizzata una scommessa: se il giorno seguente all’ultima ripresa ci fosse stato il sole avrebbero girato la versione del regista, altrimenti quella del produttore.
Fortunatamente, quel giorno ci fu una giornata eccezionalmente calda e dal cielo terso.
L’incredibile sceneggiatura firmata da Risi, Ettore Scola e Ruggero Maccari vuole che i due amici, nel loro ultimo sorpasso, avranno un impatto frontale con un camion. Bruno riuscirà a salvarsi, gettandosi dall’auto in caduta. Per Roberto non ci sarà nulla da fare.
Il Sorpasso ha un finale in crescendo, a partire da piccoli presagi della tragedia: il gesto scaramantico sul cornetto portafortuna, il bambino che saluta dal retro di un furgoncino, gli hurrà ed evviva del giovane, che dichiara sinceramente di aver passato i due giorni più belli della sua vita. E anche gli ultimi.
Un film concluso magistralmente, una sequenza meravigliosa e terribile. L’incidente che interrompe l’entusiasmo e la voglia di progredire, di superare se stessi e la società, è la perfetta metafora dell’Italia post-boom. Un urlo soffocato in gola, ma che ci lascia consapevoli di dover, almeno una volta l’anno, chiudere quei maledetti libri di università, uscire dagli uffici, e correre. Possibilmente senza meta.
“Non facciamo programmi, vedremo.”
“Bravo, come piace a me!“
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