Recensione del film candidato all'Oscar The girl with the needle

The girl with the needle tra favola gotica ed incubo sulla colpa di vivere

Successivamente ad essere stato candidato ai premi Oscar per il Miglior Film Internazionale, come rappresentante della Danimarca, arriva in streaming anche in Italia The girl with the needle. Il film di Magnus von Horn vede come protagoniste Vic Carmen Sonne e Trine Dyrholm, per una storia ambientata nella Copenaghen post Prima Guerra Mondiale ed ispirata ad una storia vera. Ecco di seguito la recensione di The girl with the needle.

The girl with the needle, la trama del candidato all’Oscar come Miglior Film Internazionale

Su sceneggiatura scritta a 4 mani tra il regista e Line Langebek, il film danese The girl with the needle (in originale Pigen med nålen) è il terzo scritto e diretto dall’autore di origini svedesi Magnus von Horn, dopo il suo debutto The Here After del 2015 e Sweat di 5 anni dopo. The girl with the needle è ambientato nella Copenaghen del 1919, al termine della Prima Guerra Mondiale, e vede come protagonista la giovane operaia di un’industria tessile Karoline.

Il marito della donna, partito per la guerra, non è ancora tornato a casa ma lei non può richiedere l’indennizzo per la vedovanza in quanto la sua morte non è stata ancora certificata. Da sola dovrà infatti fare affidamento sulle sue forze per cercare di tirare avanti, non avendo la somma necessaria nemmeno per pagare l’affitto e venendo anche sbattuta fuori di casa dal proprietario.

Vivendo alla giornata, Karoline inizierà una storia d’amore con il proprietario della fabbrica tessile Jørgen, aspettando anche un bambino da lui. Le cose sembrerebbero andare per il verso giusto, se non fosse che la suocera baronessa vieta il matrimonio tra i due e, inoltre, il marito di Karoline dato per morto fa ritorno dalla guerra. La giovane donna, tuttavia, ha solo iniziato la sua voragine di dolore. Il film The girl with the needle, inoltre, è ispirato alla storia vera di Dagmar Overbye, forse la più celebre serial killer della storia danese.

The girl with the needle, la trama del candidato all'Oscar come Miglior Film Internazionale

The girl with the needle, la recensione: l’incubo di vivere

Il mondo è un posto terribile. Ma dobbiamo credere che non sia così.

Dopo essere stato presentato in Concorso per la Palma d’Oro al 77° Festival di Cannes, i premi conquistati per la Miglior Scenografia e Colonna Sonora agli EFA e la nomination all’Oscar per il Miglior Film Internazionale, The girl with the needle arriva anche in Italia. Si tratta del terzo film scritto e diretto dal regista di origini svedesi Magnus von Horn, che porta sullo schermo un orrore “da favola” che inghiotte la sua protagonista in un vortice di dolore senza fine.

La visione del film si apre proprio con una delle oscure immagini oniriche sparse qua e là durante l’arco dei sofferenti 115 minuti. L’immagine mostra dei volti sovrapporsi in una smorfia di dolore e follia, dove persone, storie e condizioni vengono assimilate sotto un’unica colpa: quella di esistere. The girl with the needle e The elephant man, perché davvero molto della pellicola del regista svedese si avvicina al cinema del compianto genio del surreale e dell’esperienza onirica, tanto da un punto di vista estetico e stilistico quanto di contenuto e sostanza.

Innanzitutto ed ovviamente con le dovute differenze, le due pellicole condividono l’autodistruttivo senso di colpa nel venire al mondo. Se l’indimenticabile personaggio di John Merrick porta con sé, per tutta la sua vita, il fardello di essere nato in quelle condizioni fisiche e della morte della madre, in questo film danese la questione di fondo svicola quasi a ribaltarsi, pur mantenendo fermo il suo contesto politico e sociale. Ma se in uno dei sognanti capolavori di David Lynch ad essere posto in primo piano è l’attaccamento alla vita, quell’inno alla resilienza e di vivere di bellezza nell’orrido, in The girl with the needle vi è infatti la condizione praticamente opposta.

Il film danese si muove sul labile confine tra colpa ed innocenza, sfruttando l’ispirazione alla storia vera della serial killer Dagmar Overbye. Trattasi della storia criminale forse più celebre in Danimarca, dove la donna si è resa colpevole di aver ucciso tra i 9 e i 25 bambini. La donna, infatti, lavorò come tata per i bambini nati fuori dal matrimonio che venivano abbandonati e lei, come gesto di “compassione”, arrivò a compiere gesti terribili.

Dal deforme John Merrick di Lynch, che cerca in tutti i modi di andare avanti perché capace di catturare soprattutto le cose belle della vita, si giunge ad una madre che arriva a sopprimere un proprio figlio (e non solo) come gesto di benevolenza, di generosità. Un gesto di una tragicità disumana che, tuttavia, verrebbe costretta ed immessa in un contesto sociale e politico al suo tempo disumanizzato. Seppur con le loro visioni praticamente opposte, i due film condividono infatti la critica sociale ed il contesto storico-politico, oltre che l’aspetto estetico e stilizzato al quale si arriverà più avanti.

Non si cerca in alcun modo di dare una “giustificazione” alla Dagmar interpretata da Trine Dyrholm, anche perché la protagonista del film resta appunto Karoline, né ci si immergerebbe più di tanto nel tema spinoso dell’aborto (che comunque troverebbe la sua naturale valvola di sfogo). The girl with the needle porta infatti sullo schermo la sofferenza degli orfani, degli abbandonati, delle donne abusate, dei freaks e dei soldati sfigurati. Centrale infatti il ruolo della Prima Guerra Mondiale, la quale resta sì sempre di sfondo (si assiste al suo termine), ma si confonde con quella che si combatte quotidianamente nelle strade, dove la lotta per la sopravvivenza rende insignificante un confronto tra bene e male, tra giusto e sbagliato.

Lo stesso condannato e condannabile personaggio di Dragmar è, a sua volta, anche una delle tante vittime della condizione sociale, economica e politica che costringe alla solitudine, all’abbandono e all’emarginazione. Il suo “operato” non è infatti dettato da invidia, vendetta o “semplice” pazzia, ma viene mosso da compassione, da generosità nei confronti di un innocente che non deve soffrire il dramma di vivere in quelle stesse condizioni. The girl with the needle si mostra così come una visione decisamente spinosa, velenosa, struggente e “rischiosa”, ma dove l’intelligenza è quella di non far corrispondere a Dragmar il ruolo di protagonista di questa “favola gotica”.

La ragazza con l’ago è infatti Karoline che, proprio come la prima immagine del film sopracitata, si sovrappone come rappresentante anche di molte altre situazioni analoghe. Karoline incarna la vittima per eccellenza, con il regista che la fa sprofondare in una voragine di dolore che diventa sempre più oscura, anche se si pensava di aver raggiunto il fondo. Se John Merrick riesce a rimanere attaccato alla vita grazie alla fascinazione verso l’Arte e l’affetto dei propri amici, Karoline non conosce niente di tutto ciò.

Operaia senza un soldo, tutti i suoi affetti risultano per lei a loro modo velenosi e respingenti: il marito, assente poi tornato deturpato e con il quale non si può costruire una vita, accusa suo malgrado i brutali effetti della guerra; il proprietario di casa la caccia dall’appartamento; il ricco e colto Jørgen si mostra per quello che è; la tata Dragmar è una serial killer di infanti.

L’universo continua ad abbattersi con ferocia su Karoline che, grazie a qualche forza, riesce sempre ad incassare la piaga ed andare avanti, anche oltre un tentativo di suicidio. La scena conclusiva di The girl with the needle risulta in tal modo tanto potente quanto esemplificativa. Avere la forza per cercare di andare avanti a volte non basta, serve anche una collaborazione ed una solidarietà che, quando non proviene dall’alto (quasi sempre), deve venire necessariamente dal basso e da coloro che vivono la tua stessa condizione.

Con l’adozione della piccola Erena da parte di Karoline, ovvero colei che ha tentato di soffocare il bambino di cui aveva scelto di prendersi cura, la favola di The girl with the needle si trasforma in un inno per le vittime e gli oppressi. Non a caso, i principali personaggi “negativi” e vincenti nel racconto del regista svedese sono l’avida baronessa e il proprietario di casa che caccia via Karoline (con la sua nuova acquirente), per il resto sono tutti perdenti, sconfitti e vittima del loro tempo.

Nascerebbe così da questo punto di vista lo stesso “sogno” della visione di The elephant man sul rimanere attaccati alla vita nonostante le gravose difficoltà, sul fare gruppo tra vittime e sulla critica alla disumanizzazione sociale e politica, perché <<Il mondo è un posto terribile. Ma dobbiamo credere che non sia così.>>.

The girl with the needle, la recensione: l'incubo di vivere

Una favola gotica straziante e disarmante

Hai fatto la cosa giusta.

Una visione traumatica e struggente quella di The girl with the needle, la quale continuerebbe ad avere più di qualche punto in comune con la celebre opera di David Lynch. Oltre al suo contenuto, che riprende e ribalta quella condizione, non ci si riferisce qui “solo” all’estetica in bianco e nero o ai richiami anche circensi di quell’uomo deturpato. Proprio come la scena del “pestaggio” degli elefanti ai danni della madre di John Merrick, si vuole tornare qui alla già citata scena di apertura del film danese, la quale proietta fin da subito lo spettatore all’interno di un’esperienza da incubo.

Lo sguardo diviene imprescindibile anche nel film stesso, che sia attraverso uno spioncino o un vetro appannato, e qui l’occhio (che si potrebbe anche tagliare per bunueliana memoria) è rivolto ad una ricomposizione da puro cinema espressionista. In The girl with the needle vi è infatti Il gabinetto del dottor Caligari, vi è Murnau, oltre a Dreyer e tutta la naturale tradizione del nord Europa del muto e dei primi anni ’30. Un gusto ed un rispetto, verso la nascita del cinema, che arriva anche a rendere omaggio diretto anche a L’uscita dalle officine Lumière.

Quello messo in scena con straordinaria forza, classe ed eleganza dal regista svedese è dunque un film profondamente gotico, ristretto nel suo formato claustrofobico che configura spazi stretti anche in esterni, dove la fotografia di Michał Dymek la fa da padrone. Il film offre in tal senso squarci opachi e tetri di una grande potenza evocativa, dove l’oscurità e le ombre si divorano i pochi contrasti luminosi derivanti principalmente dal candido più che vere fonti di luce.

Tuttavia, ad essere premiata agli EFA non è solo la Scenografia (e quindi la composizione estetica del film), ma anche la sua Colonna Sonora. Il lavoro apportato da Frederikke Hoffmeier, infatti, enfatizza anche un sonoro sintetico per rilasciare un‘atmosfera tanto asfissiante quanto estraniante, formando un perfetto connubio con l’onirica messa in scena da incubo. Estetica e sensazioni a parte, infatti, quella che si mostrerebbe come una vera epopea della protagonista verso la sopravvivenza non è altro se non una voragine di dolore senza fondo.

Il regista non intende proprio nascondersi nel mostrare una visione senza alcuna speranza, dove l’orrido, lo squallore e la brutalità vengono poste sotto i riflettori, accompagnando lo spettatore nella desolante condizione della protagonista che vive quel dolore sulla propria pelle. A tal proposito non si può non sottolineare la prova delle due attrici protagoniste.

La diva danese Trine Dyrholm non è sicuramente nuova a grandi ed intense prove sul grande schermo, particolarmente nota soprattutto per le collaborazioni con il connazionale Thomas Vinterberg che le hanno permesso di vincere anche l’Orso d’argento per La comune nel 2016. Il suo personaggio di Dragmar è assolutamente complesso, anche e soprattutto nel riuscire a riflettere il suo tormento interiore non per giustificare le sue azioni ma per arrivare a comprenderle.

Il personaggio si trasforma poi in una figura materna per quello della protagonista Karoline, interpretata da una Vic Carmen Sonne eccezionale. Il personaggio dell’attrice danese viene prosciugata non solo del latte materno, ma della linfa vitale. Una vittima che non conosce pace ma che, nonostante tutto, riesce a trovare anche e soprattutto senza volerlo la forza per andare avanti.

The girl with the needle non uscirà vincitore dalla campagna Oscar, con il premio per il Miglior Film Internazionale conteso a 2, ma l’opera di von Horn è riuscito comunque a portare a casa un’acclamazione da parte della critica davvero notevole. Questo grazie ad una visione disarmante e struggente che riflette sulla salvifica solidarietà e critica un sistema sociale/economico/politico che troppo spesso spinge verso l’emarginazione e la lotta alla sopravvivenza che non fa prigionieri. In questo, The girl with the needle porta in scena un incubo che inghiotte lo spettatore e lo fa sprofondare sempre più in profondità ad ogni minuto che passa, basandosi su una costruzione sensoriale opprimente ed una prova recitativa desolante.

★ ★ ★ ★ ½

The girl with the needle la recensione del film
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Vittorio Pigini
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Laureato in Giurisprudenza, diplomato in Amministrazione Finanza e Marketing, ma decisamente un Hobbit mancato. Orgogliosamente nerd e da sempre appassionato al mondo cinematografico, con il catartico piacere per la scrittura. Studioso della Settima Arte da autodidatta, con dedizione e soprattutto passione che mi hanno portato a scrivere di cinema e ad avvicinarmi alla regia.