
10 Lug 2025 Le onde del destino: i buoni periscono sempre
Gran Prix della Giuria al Festival di Cannes, Le onde del destino di Lars Von Trier torna in sala grazie a Movies Inspired dopo Dogville e Dancer in the Dark, riportando sullo schermo uno degli autori più sconvolgenti e originali del cinema contemporaneo. La protagonista di questo film, interpretata da Emily Watson, racconta ancora una volta la dura visione del mondo che il regista danese ci dà: i puri di cuore verranno puniti, dall’inizio alla fine. Per saperne di più, ecco la recensione de Le onde del destino, il film di Lars Von Trier.

Le onde del destino, trama del film di Lars Von Trier
In una piccola cittadina sulla costa scozzese, la timida Bess si sposa con Jan, un inquieto operaio norvegese di un pozzo petrolifero. Questi ha un terribile incidente che non gli permette di muoversi dalla sedia a rotelle e convince la moglie ad avere rapporti sessuali con altri uomini.
Le onde del destino, recensione: un tripudio di cinema
Ambientato negli anni Settanta, Le onde del destino si articola in un Prologo, sette capitoli e un Epilogo, ognuno introdotto da un’inquadratura statica lavorata in post-produzione, con i colori che ricordano fortemente la pittura a olio.
La colonna sonora accompagna con rigore il contesto storico del racconto:
il primo capitolo è scandito dalle note di All the Way from Memphis dei Mott the Hoople, seguito dalla struggente In a Broken Dream di Python Lee Jackson, la provocatoria Cross Eyed Mary dei Jethro Tull, l’eterea Whiter Shade of Pale dei Procol Harum, la Suzanne di Leonard Cohen, il pop che diventa malinconico di Goodbye Yellow Brick Road di Elton John e infine il capolavoro Child in Time dei Deep Purple. Il commiato, nel capitolo finale, è suggellato dalla visionaria Life on Mars? di David Bowie, per poi dissolversi nel trascendente con la Siciliana dalla Sonata BWV 1031 di J.S. Bach.
La vicenda ruota attorno all‘amore puro e disperato tra Bess e Jan, un legame che viene progressivamente avvelenato da un ambiente sociale marcio e moralista: una comunità calvinista priva di pietà, chiusa in una chiesa spoglia di campane e compassione.
Bess viene isolata e respinta: schernita dai bambini, ignorata dalla propria madre, condannata da un universo maschile violento e privo di empatia.
L’innocenza iniziale di Bess, colta in un’emozionante inquadratura frontale che spezza la barriera tra personaggio e spettatore, va lentamente in frantumi. Il suo percorso filmico e narrativo è una distruzione della sua identità, attraverso l’umiliazione e l’abbandono, fino al martirio. Ma il suo sacrificio, apparentemente assurdo, lascia aperta una domanda: è stato davvero vano?

Le onde del destino, recensione: il dono dell’amore
E ti ringrazio per il dono più grande in assoluto: il dono dell’amore
Premiato con il Grand Prix Speciale della Giuria a Cannes nel 1996, Le onde del destino è parte del momento di rottura per Lars von Trier, che si allontana dalle rigide imposizioni del Dogma 95 per abbracciare una forma più libera e personale.
Il film, oltre il clangore delle campane e le ombre dei miracoli, si concentra sullo sguardo di Emily Watson, rivolto verso l’obiettivo: una visione che sembra raccogliere il dolore del mondo e restituirlo con grazia. Come per Selma di Dancer in the Dark, Bess è forse l’ultima immagine davvero luminosa che ci è dato vedere sulla faccia della terra.
Le onde del destino non è un film che si lascia andare facilmente: Von Trier il costruisce volutamente un’atmosfera spenta, desaturata. Eppure, dentro questa scelta estetica c’è un fascino profondo: i paesaggi, seppur malinconici, trasmettono una calma disarmante, una bellezza che intristisce.
A fianco della protagonista, Bess, troviamo Jan, interpretato con intensità da Stellan Skarsgård.
La storia ha qualcosa di insolito, di disturbante, ma riesce a coinvolgere grazie alla sceneggiatura, costruita con grande attenzione, lasciando spazio agli attori. Attraverso Bess, ci si addentra in una riflessione sulla fede e su come possa essere manipolata: un credo che, invece di accogliere, giudica e punisce, mascherando l’intolleranza con il volto della devozione.
Il finale lascia lo spettatore stordito di fronte a una realtà in cui la crudeltà risiede nel rifiuto di chi si ritiene giusto. Non è Bess ad essere colpevole, ma chi la respinge nel nome di una religione priva di compassione.
In definitiva, Le onde del destino non è una visione sicuramente rassicurante. È un film esigente, un’esperienza che trasporta nel duro mondo della realtà.
★ ★ ★ ★ ½