
01 Lug 2025 Dancer in the Dark, il musical firmato Lars Von Trier
25 anni dopo la Palma d’Oro a Cannes, torna al cinema con Movies Inspired l’acclamato musical di Lars von Trier: dopo Dogville (2003), è il turn della struggente storia dell’operaia Selma Ježková, a cui presta volto e voce una incredibile Björk. L’autore danese divide da sempre il pubblico, ma per capirlo davvero bisogna fiondarsi in sala e vivere le sue opere. Noi lo abbiamo fatto, ed ecco quindi la recensione di Dancer in the Dark, il musical d’autore di Lars Von Trier.
Dancer in the Dark, trama del film di Lars Von Trier
Dancer in the Dark, il film diretto da Lars von Trier, vede protagonista Selma (Björk), un’emigrante che vive nello Stato di Washington nel 1964. È una ragazza madre che lavora in una fabbrica nella campagna americana e vive con il figlio dodicenne Gene in una roulotte affittata dal poliziotto Bill Houston (David Morse) e da sua moglie Linda (Cara Seymour).
La sua grande passione per la musica la aiuta a sopportare il suo grande dolore che nasconde a tutti: sta perdendo la vista a causa di una malattia genetica degenerativa, la stessa che colpirà anche suo figlio se non si sottoporrà a un costoso intervento chirurgico.
Lavorando duramente e facendo enormi sacrifici, riesce a mettere da parte i soldi necessari all’operazione, aiutata dalla sua amica Kathy (Catherine Deneuve) e sostenuta, a distanza, dal timido collega Jeff (Peter Stormare), che le è affezionato nonostante i suoi continui rifiuti. La sua immaginazione le permette di evadere da una realtà sempre più cupa: nei suoi sogni a occhi aperti, le persone intorno a lei diventano personaggi di brillanti coreografie musicali.
Un giorno, Bill, disperato per i debiti accumulati dalla moglie, scopre il segreto di Selma e la deruba dei risparmi. Quando lei, ormai quasi cieca, si rende conto dell’accaduto, tenta di recuperare il denaro ma viene accusata ingiustamente di furto e manipolazione.

Dancer in the Dark, recensione del musical di Lars Von Trier
A venticinque anni dalla sua uscita, Dancer in the Dark di Lars von Trier resta un’opera incandescente, unica e inclassificabile, in grado di unire nella stella opera il musica, il dramma e il cinema sociale. Un film che prende per mano lo spettatore e lo accompagna in un abisso di dolore, senza però negargli la possibilità di intravedere bagliori di speranza e bellezza. Un’opera che vive della sua contraddizione più profonda: l’abisso realistico della narrazione sociale, ambientata tra le roulotte e le fabbriche del Pacific Northwest americano, si scontra e si fonde con il vitalismo della sua protagonista Selma Ježková, interpretata da una Björk fenomenale.
La scelta di affidare il ruolo principale alla popstar islandese fu, a suo modo, miracolosa. Con Selma, operaia cecoslovacca emigrata negli Stati Uniti per garantire un futuro migliore al figlio Gene, la cantante restituisce una forza emotiva straordinaria, fatta di candore e ostinazione.
Von Trier, reduce dal successo di Le onde del destino, prosegue con Dancer in the Dark la sua trilogia del cuore d’oro, in cui donne devote, ma anche ingenue, si confrontano con le crudeltà del mondo. E proprio la purezza del cuore di Selma diventa il perno tragico dell’intera storia.
Selma è affetta da una malattia degenerativa che le sta facendo perdere la vista. Lavora in fabbrica fino allo stremo per racimolare i soldi necessari a garantire un’operazione al figlio che possa risparmiargli la stessa sorte. Vive ai margini della società, in una roulotte sul terreno del poliziotto Bill Houston, il quale diventerà suo aguzzino con atroce ipocrisia. Tuttavia, Selma non cede mai alla disperazione totale. Lei vede infatti nel mondo con la forza dell’immaginazione, della speranza e del sogno.

Dancer in the Dark, recensione: E che c’è da vedere?
È proprio in questa relazione tra realismo e l’immaginazione che Selma, ormai ceca, getta via gli occhiali per abbandonarsi alla sua visione del mondo. È un personaggio positivo? Forse solo troppo ingenuo?
La risposta a questo quesito la lasciamo allo spettatore, ma è proprio qui che, secondo noi, il film trova la sua forma definitiva.
Von Trier destruttura il musical classico, inserendo i numeri musicali nella quotidianità più grigia, quindi nei rumori di fabbrica, passi sui binari, parole al processo, e diventano quindi il palliativo a questo nostro sporco mondo.
Dancer in the Dark è un anti-musical, o meglio, una sua implosione: non c’è lieto fine, non c’è evasione, ma la musica continua ad agire come forza stordente. Björk compone e interpreta le sette canzoni della colonna sonora (raccolte nell’album Selmasongs), tra cui la struggente I’ve Seen It All, duetto con Thom Yorke, che è poi il manifesto della capacità di Selma di vedere oltre ciò che gli occhi non colgono più.
Lars von Trier filma con uno stile grezzo e spigoloso, con molta macchina a mano, grana digitale, tagli di montaggio netti che sono al servizio di una storia iper drammatica. Accanto a Björk, si muove un cast di assoluto livello: David Morse dà corpo a un antagonista “umanissimo”; Catherine Deneuve, nel ruolo della collega Kathy, è di una freddezza tale che si sposa perfettamente coi toni della fabbrica e, più avanti, del carcere. Ma è Björk a dominare lo schermo, in una prova che supera i limiti della recitazione e che non sorprende con la premiazione a Cannes come miglior attrice, mentre il film riceveva la Palma d’Oro.
Dancer in the Dark è un film che spacca lo schermo, ma lo fa cantando. Selma, con la sua voce incrinata, continua a intonare le sue cose preferite anche nel momento più buio, perché “nei musical non accade mai niente di terribile“, e perché l’ultima canzone, forse, non è mai davvero l’ultima.
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