Recensione del film horror bring her back

Bring Her Back: Angeli e Demoni nella casa di marzapane

Distribuito nelle sale italiane da Eagle Pictures dal 30 luglio 2025, Bring Her Back è il secondo film horror diretto dalla coppia di fratelli Danny e Michael Philippou. Questo nuovo terrificante film a tema possessioni arriva dopo il grande successo della loro opera prima Talk to me, divenuto uno dei migliori del genere negli ultimi anni. Il film presenta come protagonista la 2 volte candidata all’Oscar Sally Hawkins ed ecco di seguito la recensione di Bring Her Back.

Bring Her Back: la trama del film horror con Sally Hawkins

Successivamente ad una carriera da YouTubers, con lo pseudonimo di RackaRacka, i fratelli Danny e Michael Philippou approdano nel 2022 sul grande schermo con Talk to me, l’horror rivelazione con protagonista Sophie Wilde. 3 anni dopo la loro opera prima, si rimane nel terrificante mondo dell’horror di possessione, con Bring Her Back che viene scritto dal solo Danny Philippou assieme a Bill Hinzman, con una distribuzione in collaborazione tra Sony e A24 per il mercato mondiale.

Il film vede come protagonisti i fratellastri Andy e Piper, rimasti senza genitori dopo la scomparsa del padre, avvenuta in circostanze misteriose mentre si trovava sotto la doccia. I ragazzi vengono così affidati alle cure di Laura, una psicologa che sta già badando ad un altro ragazzo con problemi cognitivi, Oliver.

La donna si mostra fin da subito molto premurosa, specialmente nei confronti della giovane Piper, in quanto molto simile alla deceduta figlia di Laura. Tuttavia, qualcosa non va e la permanenza in quella casa si farà sempre più pericolosa per i due fratelli, con la donna che non riesce a superare la perdita della figlia ed è disposta a tutto pur di riportarla indietro.

Bring Her Back: la trama del film horror con Sally Hawkins

Bring Her Back, la recensione: i panni sporchi della famiglia

Ho parlato con un angelo. Mi ha mostrato come tornare ad essere madre.

In attesa dei nuovi sviluppi della saga di Talk to me (è già stato scritto un prequel ed un sequel è in fase di sviluppo), i terribili gemelli australiani tornano con un nuovo ed originale horror di possessioni demoniache. Il “campo da gioco”, il Ring, resta quasi lo stesso, ovvero quello del cinema horror sovrannaturale capace di amalgamare a sé tanto le astratte emozioni umane quanto le concrete ripercussioni sulla società che ci circonda.

Dal film d’esordio del 2022 i temi si fanno sicuramente più profondi, più “alti”, come quello dell’elaborazione del lutto, la fantomatica domanda sull’esistenza della vita dopo la morte e gli abusi in famiglia. Tuttavia, l’intero progetto è costretto a passare attraverso la lente adolescenziale, riproponendo anche alcuni elementi che stanno ormai caratterizzando la filmografia dei fratelli Philippou. Dopo le derive delle social-challenge di Talk to me, oltre gli spinosi temi della dipendenza e spaccio di droga come causa-conseguenza della depressione giovanile, Bring Her Back torna a mettere in primo piano le connessioni di rete.

Ecco che quel cerchio ritualistico rilascia immagini nitide del Ringu di Nakata, ma se in quel caso si aveva a che fare con una vhs maledetta, nel nuovo film 2025 arriva un video tutorial su come eseguire un rito esoterico, trovato molto probabilmente nelle melmose acque del darkweb. I cellulari restano onnipresenti, le iterazioni con messaggi in codice restano essenziali e la scrittura a mano diventa problematica. Al di là delle conclusioni che si possono trarre, resta evidente come i fratelli australiani continuino a non abbandonare le dinamiche giovanili odierne.

Si tratta di un nuovo mondo, quello genericamente demonizzato come “era social”, che resta inevitabilmente connesso all’abbandono e all'(auto)isolamento di una generazione. Proprio come in Talk to me, la coppia di fratelli arriva a raccontare su schermo famiglie spezzate, figli scomparsi, rapporti di fratellanza interrotti e rincorsi, genitori assenti/deceduti ed altri acquisiti tramite amici o un ufficio di collocamento. In Bring Her Back ad assumere particolare rilevanza (ma non centralità) è il ruolo della maternità, quella figura capace di dare la vita ma allo stesso tempo di toglierla per una nuova rinascita.

Un ciclo segnato dal sangue, con il rituale circolare che passa attraverso una pioggia torrenziale e con l’acqua che, da universale simbolo di vitalità, non ha mai assunto un aspetto così mortifero. Di “rituale” si è appena detto, perché la parte più intrigante del nuovo film dei fratelli Philippou sta anche e soprattutto nella loro capacità di giocare con il genere. A 33 anni e con solo un film attivo (che riporta comunque su schermo lo stesso tipo di “divertimento”), i registi allestiscono sì un horror di possessione, ma intrecciano la narrazione con elementi del gotico, del ghost-movie e soprattutto del folk-horror.

La casa abbandonata nel bosco errante, l’esoterico rituale sacrificale, il culto di un’antica entità sovrannaturale, Angelo e Demone. A proposito, occorrerebbe aprire inevitabilmente una parentesi. Per quanto riguarda infatti la lore del rituale, Danny Philippou e Bill Hinzman offrono davvero pochi spunti allo spettatore. Nonostante i sospetti, difficile poter decretare la provenienza (geografica e spirituale) dei video tutorial esaminati da Laura, il segno circolare è avvolto dal mistero, così come l’intera entità che si è impossessata del corpo di Oliver.

Offrire poche spiegazioni in merito non deve rappresentare necessariamente segno di superficialità in sede di sceneggiatura: da una parte, proprio il fatto di dare poche spiegazioni, mette al riparo su possibili incongruenze; dall’altra parte, il sovrannaturale ed il folk-horror divengono ancor più misteriosi ed affascinanti. Vero che, la mancanza di informazioni riguardo soprattutto la figura dell’Angelo/Demone, porta a non pochi interrogativi circa la sua natura e le sue reali intenzioni.

Il Demone libera di propria iniziativa Oliver/Connor nel finale, scrive il nome del bambino scomparso (Bird) ad Andy, mostra spesso il desiderio di libertà nel voler uscire dalla casa. Il personaggio arriva in un certo senso a rappresentare un’altra vittima delle circostanze, con un istinto famelico che lo porta anche ad autodistruggersi. Si arriverebbe in tal caso ad un’interpretazione forte ed intrigante, che avrebbe meritato sicuramente un’attenzione migliore per andare maggiormente a segno.

Anche una figura demoniaca ed assetata di sangue non sarebbe altro che vittima di una madre accecata dalla rabbia e dal dolore, dallo sconforto più totale. Nel suo finale il film avrebbe probabilmente potuto osare di più, facendo palesare anche una certa forzatura narrativa volta tuttavia ad una conclusione poetica e “romantica”, comunque calzante.

Un encomiabile lavoro di costruzione dell’orrore

Ascolta. Ascolta. Ascolta. Ascolta. Possiamo riportarla indietro.

I fratelli Philippou fanno ancora centro. I due tratteggiano un nuovo film dell’orrore, dove gli elementi del genere ed il portale tra il mondo dei vivi e quello dei morti è mezzo per trainare, ancora una volta, il disagio di un’intera generazione. Ma proprio come avvenne con Talk to me, a stupire, coinvolgere e colpire resta l’alto talento dei due gemelli dietro la macchina da presa. Nonostante la giovane età ed un passato da content creator di esperimenti da commedia horror demenziale, i Philippou agiscono da veterani nel mettere in atto un film di costruzione.

La “costruzione” a cui si fa riferimento è praticamente totale e totalizzante, riguardando tutti gli elementi che caratterizzano una visione cinematografica. Come accennato, per Bring Her Back sarebbe forse più adatto riferirsi ad un folk-horror, per dinamiche ed ambientazione siamo dalle parti di Hansel e Gretel che finiscono nella casa della strega cattiva. Da buon gotico che si rispetti, la casa (di marzapane) e l’ambientazione devono dunque giocare un ruolo primario, con l’abitazione di Laura (interno ed esterno) che non riesce mai ad essere confortevole: si va a sbattere appena si arriva, le camere da letto presentano “ostacoli” per entrare ed uscire, la piscina senz’acqua porta subito ad immaginare qualche incidente.

L’aria è malsana già all’arrivo, uno spettro aleggia su quella dimora (tanto Cathy quanto il Demone dentro Oliver/Connor) ed il tutto si rende afissiante. Questa tetra e mortifera atmosfera viene supportata da un ottimo e raccapricciante sound design, con i registi che continuano a collaborare con il compositore Cornel Wilczek (Talk to me, Together) per portare avanti quel concetto di “costruzione”.

Ottima messa in scena a livello tanto foto-scenografico quanto sonoro-musicale, ma il talento dei Philippou coinvolge l’essenza stessa della regia nel montaggio e i movimenti di macchina a servizio dell’orrore sullo schermo. Mentre Talk to me tendeva ad una messa in scena di tensione, per poi arrivare a sferrare il colpo finale al momento più adeguato, qui i fratelli mostrano direttamente l’orrore e non lo mollano nemmeno per 1 minuto.

In Bring Her Back non si riesce infatti ad avere un attimo di respiro, con i momenti che potrebbero apparire più placidi che, invece, nascondono ad ogni modo un lato macabro e sinistro. Ma i fantasmi messi fuori fuoco sono solo uno dei metodi per inquietare lo spettatore, mostrando infatti direttamente l’orrore nel far vedere un dente cavato in più piuttosto che uno in meno.

Si torna ancora una volta a quel lavoro di “costruzione” sul film, con la coppia di regia che dimostra una minuziosa attenzione anche verso il suo cast. Si potrebbe aprire il dibattito su una delle polemiche che si è imbattuta recentemente sull’ultimo Biancaneve di casa Disney, nella decisione di puntare/non puntare su attori realmente affetti da nanismo per gli iconici 7 personaggi (ovviamente allargando l’esempio a tutti gli ambiti).

Fatto sta che i Philippou puntano su Sora Wong per il personaggio di Piper, una ragazza con reali problemi alla vista che, soprattutto, non aveva mai recitato prima di Bring Her Back. Ci si immagina solo per un momento il lavoro e la caparbietà sul set dei due registi, per una ragazza giovane in queste condizioni con 0 esperienza recitativa alle spalle, arrivando ad offrire questa sincera ed efficace interpretazione. Chapeau. Grande il lavoro di “costruzione” (fisico, scenico ed emotivo) anche sul personaggio di Andy, con Billy Barratt apparso recentemente in Kraven – Il cacciatore ed al suo primo ruolo di punta sul grande schermo.

Insomma, la mission da teen-elevated-horror dei fratelli Philippou li porta a confrontarsi nuovamente con giovani ragazzi protagonisti, ma per fare il salto di qualità anche da questo punto di vista occorre pur sempre una guida. Se nel precedente film Miranda Otto (Il Signore degli Anelli) poteva rappresentare la “quota esperienza”, qui corre a supporto la 2 volte candidata premio Oscar Sally Hawkins, ed ecco tornare ancora una volta quel “lavoro di costruzione”.

L’attrice di Blue Jasmine e La forma dell’acqua viene riconosciuta principalmente quale icona di tenerezza, compassione e delicata eleganza. I Philippou prendono questa immagine di Hollywood e si divertono nel traumatizzarla, con la Hawkins che torna alle sensazioni del WΔZ di Tom Shankland. Il personaggio di Laura non è infatti “solo” letale nel uccidere tutti coloro che intralciano i suoi piani, ma è anche e soprattutto sinistro nel pianificare il suo macabro piano, mettendo gli uni contro gli altri e senza farsi troppi problemi nel rapire un bambino per farlo impossessare da un Demone.

Al contrario dell’enigmatico personaggio sovrannaturale, il vero villain di Bring Her Back è infatti il personaggio della Hawkins, una meschina serial killer ma, come nel caso dei migliori villain, la questione è più stratificata. Si tratta pur sempre di una madre che, avendo appena perso la persona che ama di più al mondo, accarezza l’idea di poterla riavere indietro. La disperazione ed il dolore sono tali da accecare completamente il raziocinio e, quando si presenta l’occasione per aggiustare le cose, tutto passa inevitabilmente in secondo piano, con un genitore disposto a tutto per la figlia. Laura è un mostro? Ai posteri l’ardua sentenza, fatto sta che la classe espressiva e di presenza scenica di Sally Hawkins fanno la differenza sullo schermo.

In conclusione, dopo Talk to me i gemelli Philippou tornano sul grande schermo riproponendo molto delle tematiche e stilemi già affrontati, ma mostrandoli sotto una luce quasi completamente differente. I registi conoscono e sono sinceramente immersi nella rete, nel mainstream e nel cinema volgarmente chiamato “commerciale”, ma presentano un talento tale da “elevare” la visione dell’orrore a temi a loro evidentemente cari come quello dei frammenti famigliari.

Abbandono ed (auto)isolamento di una generazione si abbraccia ad un lavoro di costruzione del film che gioca con il genere, attraverso una messa in scena potentissima e capace di colpire da tutti i punti di vista. Dopo la sorpresa, arriva la conferma del talento di Danny e Michael Philippou, attendendo la loro definitiva consacrazione.

★ ★ ★ ★ ½

Racensione film horror Bring Her Back
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Vittorio Pigini
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Laureato in Giurisprudenza, diplomato in Amministrazione Finanza e Marketing, ma decisamente un Hobbit mancato. Orgogliosamente nerd e da sempre appassionato al mondo cinematografico, con il catartico piacere per la scrittura. Studioso della Settima Arte da autodidatta, con dedizione e soprattutto passione che mi hanno portato a scrivere di cinema e ad avvicinarmi alla regia.