Recensione del film Locked con Bill Skarsgård e Anthony Hopkins.

Locked: un agevole ed appiattito bignami sulla giustizia privata

Arrivato nelle sale italiane dal 20 agosto, Locked è il nuovo film di David Yarovesky regista di L’angelo del male del 2019. Un thriller politico ristretto tra le portiere di un’autovettura, guidata da una coppia stellare al cast con Bill Skarsgård e Anthony Hopkins. Ecco la recensione di Locked.

Locked, la trama del film con Bill Skarsgård e Anthony Hopkins

Se il precedente film di David Yarovesky vedeva in produzione il nome di James Gunn, Locked segna quello di Sam Raimi, per due autori non soltanto molto dentro al cinema di genere ma anche e soprattutto quello più satirico e politico. Il film è un remake del titolo argentino 4×4 del 2019, vedendo qui la sceneggiatura di Michael Arlen Ross.

La storia di Locked è quella di Eddie, disoccupato ed ex criminale che sta cercando in tutti i modi di provvedere al benessere di sua figlia Sarah, senza riuscirci. Disperato per la situazione, non restano che i piccoli colpi da “esperienza da strada” per racimolare qualche soldo.

Eddie arriva a tentare di rubare un’auto parcheggiata, riuscendo ad aprire la portiera di un lussuoso SUV. Una volta dentro, tuttavia, l’autovettura lo intrappola all’interno, con Eddie che dovrà rispondere alla chiamata del suo sadico proprietario, intento a fare un “gioco” con lui.

Recensione del film Locked

Locked, recensione: la trappola di un mezzo sicuro

Voglio che tu subisca le conseguenze delle tue azioni.

Sono passati 12 anni dal folgorante Locke di Steven Knight, con protagonista Tom Hardy: un film interamente ambientato all’interno dell’auto del protagonista, con l’atmosfera che diventa sempre più claustrofobica con il passare delle telefonate. Il mezzo in questione arriva ovviamente a rappresentare i connotati stessi della società, dell’istituto della famiglia (naturale/acquisita), del mercato del lavoro, con il tutto che blocca al suo interno il protagonista chiamato a rispondere dei propri errori.

2025, si aggiunge una D ed il Locked di David Yarovesky non è molto distante da questa logica. I punti di contatto ci sono anche con il Don’t move di Brian Netto e Adam Schindler, il film prodotto sempre da Sam Raimi prima di questo, ma sfociando in ovvi accostamenti con titoli quali Buried, In linea con l’assassino ed affini. A differenza infatti di Locke dove, a diventare sempre più asfissiante, è la condizione psicologica del suo protagonista che fa i conti con vicende esterne all’auto (e dunque off-screen), nel film di Yarovesky il thriller entra direttamente in scena.

In questo caso ci si avvicina anche al Saw di James Wan, con la voce registrata pronta a fare un “gioco” con la sua sprovveduta preda. Da questo punto di vista Locked riesce a centrare egregiamente il bersaglio, pensando praticamente a tutto affinché ci si possa gustare una visione claustrofobica e da vero survival-movie, paradossalmente dentro una semplice auto.

Ecco che l’innovazione tecnologica, intenta a perfezionare sempre ogni strumento facendolo diventare in questo caso un mezzo sempre più sicuro, contribuisce a costruire una vera e propria trappola: l’aria condizionata congela, i vetri oscurati ed antiproiettile diventano una gabbia, lo stereo a tutto volume diventa una tortura psicologica. Si aggiunga a questo la possibilità di guidare l’auto da remoto, permettendo all’inerme passeggero di assistere a guide spericolate che si possono tramutare anche in esecuzioni su strada.

Per quanto concerne dunque l’intrattenimento thriller-action-horror su schermo, la coppia in cabina di regia/sceneggiatura sfruttano alla perfezione un espediente apparentemente “semplice” ma sfruttato al meglio delle sue capacità. Corre a supporto una funzionale direzione della macchina da presa, volta ad enfatizzare l’interno coadiuvato da un ottimo utilizzo di CGI per gli spostamenti in-out il SUV.

Si registra forse qualche minuto di troppo in sede di un montaggio che poteva essere ulteriormente sfoltito, ma la visione scorre agevolmente senza particolari intoppi. L’auto in nero diventa dunque l’assoluta protagonista di Locked che, allo stesso tempo, presenta nei crediti 2 nomi di altissimo profilo. Il primo è quello di Bill Skarsgard, particolarmente attivo nel cinema di genere dall’IT di Andy Muschietti allo straordinario Orlok per Eggers in Nosferatu, passando per il ben meno fortunato The Crow del 2024.

Ormai da diverso tempo la famiglia Skarsgard ha assunto una sorta di sicurezza sul piccolo e grande schermo, con ogni suo componente che assicura la propria cifra stilistica (in un momento ben preciso di questo Locked ecco arrivare il ghigno di Pennywise). Il protagonista di Boy Kills World porta così a casa una degna prova, anche per “dividere la scena” con un gigante come Anthony Hopkins.

Il 2 volte premio Oscar necessita un discorso sicuramente a parte, dividendo la sua prova nettamente in due. La prima è quella esclusivamente vocale, dove riversa la sua immancabile verve sadicamente psicoanalitica ed entrando stabilmente nella messa in scena sebbene non fisicamente. La seconda è quando Hopkins arriva carne ed ossa a prendere il volante dell’autovettura: l’inizio della fine, in tutti i sensi.

Disorientate vignette sulla giustizia privata

Non rubare. Non è complicato no?

Già, la fine, l’ultimo atto, quello dove i nodi vengono (o almeno dovrebbero venire) al pettine e la conclusione del “discorso” diventa determinante. Senza riuscire ad eccellere in qualche fronte, ma lasciando una visione assolutamente piacevole e scorrevole, sta proprio nel suo finale che Locked perde completamente il suo fascino. Precedentemente è stato citato, a più riprese in questa analisi, il peso politico del nuovo film di David Yarovesky, andando a tracciare un forte scontro verbale generazionale sotto diversi punti di vista.

Il vecchio addita il nuovo come causa di tutti i mali attuali, il nuovo respinge le accuse denunciando chi lo ha messo in questa drammatica condizione di vita per il suo divertimento. I ricchi ed altolocati accusano i poveri di essere criminali e stupratori, i meno abbienti rilanciano ai primi l’etichetta di avidi approfittatori e spietati sfruttatori della pelle di chi vive in condizioni precarie.

Nessuno ha ovviamente “ragione”, perché la verità è sicuramente più complessa e stratificata, ma nel far abbaiare tra loro i suoi protagonisti Locked tramuta il tutto in un bignami sulla giustizia privata. Ambientando la storia in un’ipotetica (metaforica e generica) città, il film assegna frecce al proprio arco ad entrambe le fazioni, dando loro una parvenza di valide argomentazioni per continuare a comportarsi da “avidi sfruttatori/criminali”: il sistema ti spinge a farlo.

Quello stesso sistema comandato e, allo stesso tempo, abbandonato dalle cariche istituzionali, dal governo e dalle forze di polizia. Il tema è di per sé assolutamente affascinante, attuale e che deve spingere a diverse riflessioni, ma il film fa di per sé poco per tenere vivo questo interesse. Le argomentazioni di Eddie e William sono infatti più frasi fatte che altro, rappresentando stereotipi delle rispettive fazioni tendenti più volte anche a contraddirsi. Ecco allora il finale di Locked, dove non solo una parte action particolarmente scadente prende il sopravvento sul parlato, ma arrivano le conferme “fuoriluogo”.

Se per gran parte del film si è infatti giocato su questo scontro alla pari tra i due protagonisti, facendo privilegiare una metà grigia (seppur appiattita), nell’ultimo atto si conferma come Eddie sia in realtà un buon padre (molto sfortunato, che sa “leggere” e che di fatto non ha mai commesso un vero crimine), e che William sia solo un “semplice” pazzo accecato dalla bramosia di vendetta ed incapace di fumarsi una canna.

Ah questi giovini di oggi! Anche venendo anticipata di qualche momento, la ghigliottina sul film arriva proprio con l’ingresso fisico in scena del personaggio di Anthony Hopkins, con la narrazione e la messa in scena che vanifica uno spettacolo intrattenente e ben eseguito portato su schermo fino a quel momento.

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Anthony Hopkins in Locked film
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Vittorio Pigini
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Laureato in Giurisprudenza, diplomato in Amministrazione Finanza e Marketing, ma decisamente un Hobbit mancato. Orgogliosamente nerd e da sempre appassionato al mondo cinematografico, con il catartico piacere per la scrittura. Studioso della Settima Arte da autodidatta, con dedizione e soprattutto passione che mi hanno portato a scrivere di cinema e ad avvicinarmi alla regia.