Recensione del film Hedda

Hedda: una ricamata pistola caricata a salve

Dopo essere passato per la vetrina cinematografica di Toronto, arriva alla Festa del Cinema di Roma il film Hedda. Si tratta del nuovo film scritto e diretto da Nia DaCosta, che vede protagonista Tessa Thompson. Ecco di seguito la recensione del film drammatico Hedda, in anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2025.

Hedda, la trama del film di Nia DaCosta con Jessa Thompson

Il quarto film scritto e diretto dalla regista statunitense Nia DaCosta si basa su Hedda Gabler, l’opera teatrale del 1891 scritta dall’autore norvegese Henrik Ibsen. Come riportato dal sito ufficiale della Festa del Cinema di Roma, la sinossi ufficiale del film Hedda recita:

Danze sfrenate, musica che risuona, champagne che trabocca. Pare di stare nell’universo travolgente di Gatsby, invece siamo negli anni ’50 del ’900, in una magione inglese nella quale una giovane coppia sta dando una festa favolosa che non può permettersi. Ma la protagonista, Hedda, l’ha organizzata per favorire la carriera accademica del marito, studioso timido. E, alla festa, si rinnovano amori e rancori.

Hedda, la recensione: una pistola di Checov che non spara

C’è da ammettere come ci sia una sorta di dejavu nell’assistere alla visione di Hedda, il nuovo film prodotto, scritto e diretto da un nome molto “coccolato” oltreoceano come quello di Nia DaCosta. Si utilizza il termine per indicare come, la regista del Little Woods del 2018, sia stata acclamata dalla critica già alla sua opera prima, introducendo nel panorama del cinema mondiale una nuova audace voce tutta al femminile.

Un interesse tale, da parte delle major, da lanciare immediatamente il nome di Nia DaCosta nel cinema più pop come quello MCU (The Marvels) e dell’horror con Candyman, sequel diretto del cult targato 1992. Proprio quest’ultimo sembrerebbe imprimere, nell’approccio autoriale della regista, il tatto dell’orrore e del thriller, testimoniato anche dal fatto che Nia DaCosta sia in cabina di regia del prossimo 28 anni dopo: Il tempio delle ossa.

Ma di “dejavu” si parlava ad inizio analisi, che si amplifica sotto questa speciale ala del cinema di genere. Il 2025 è infatti stato l’anno anche de I peccatori di Ryan Coogler che, oltre alle vicinanze estetiche tra i personaggi di Tessa Thompson e Hailee Steinfeld, presenta più di qualche vicinanza con il film di Nia DaCosta. Tornando indietro nel tempo di qualche decennio/secolo, un’appariscente dimora nel nulla diventa terreno di scontro tra gli invitati al calar del sole, facendo emergere distanze etniche, sociali e sessuali.

Condividendo anche un’oliata fotografia (qui di Sean Bobbit, già collaboratore della regista in The Marvels) ed una musica diegetica spesso predominante, diversi scorci visivi e l’ambiente bohemien riporterebbero anche al recente Saltburn di Emerald Fennell. Per quanto concerne invece la trama, lo sviluppo della storia, chiuso nelle stanze e nelle sale cerimoniali della magione la regista prova ad incastrare un giallo di intrecci sentimentali e d’affari.

Si usa comunque sempre il condizionale e le derivazioni a questi 2 film (potrebbero essere molti altri solo nell’ultima manciata di anni), poiché Hedda ne possiede solo il luccicante riflesso, senza riuscire a sorprendere visivamente o prendere una strada forte ed indipendente narrativamente. Quella del film è infatti una pistola di Checov che viene continuamente suggerita ma che, alla fine, si scopre essere un semplice e costoso giocattolo.

Il film di Nia DaCosta si inaugura in total-red, che sia il look della sua protagonista, gli eleganti titoli di testa o tappeti cremesi, rinnegando anche la presenza di “teneri” ornamenti floreali. A differenza infatti delle premesse, lo stesso film arriva a spegnersi in blu, in un vero lago che sarebbe potuto invece essere (e sembrerebbe venire suggerito già dall’incipit criminologo) in una pozza di sangue. Narrativamente il ritmo di Hedda incespica su sé stesso e sui continui dialoghi taglienti solo all’apparenza, ma che non riescono a trovare alcuna soluzione nel finale.

La trama prova infatti ad intrecciare una serie di relazioni interpersonali tra i vari personaggi, dando libero sfogo al lato thriller sentimentale ma, di fatto, non riuscendo a chiudere nessun cerchio. Hedda, Thea, George, Roland e la stessa Eileen…più che organico e rivelatore, l’ammiccante finale è alla ricerca di un effetto shock inesistente ed inconcludente.

Un thriller femminile e femminista si suggeriva dunque nell’analisi del film, presentando dichiaratamente e ripetutamente la protagonista e le sue 2 affiliate colleghe come forti, indipendenti e che non si fanno mettere i piedi in testa dagli uomini. Tutte premesse che, alla fine della fiera (e della festa) viene quasi completamente ribaltato, lasciando le 3 in balia di quegli “inferiori” uomini e dei loro frivoli istinti.

Per quanto concerne invece il lato visivo, un film in costume che si rispetti deve ricercare e valorizzare i propri di “costumi”. Ecco che la costruita resa dei conti fa sua l’opera teatrale, sfrutta con buon occhio le sfarzose scenografie e fa perno sull’alta verbosità (“alta” non tanto per la qualità dei dialoghi stessi), puntando l’all-in sulla prova del cast.

Proprio le tre protagoniste appena citate, e dunque Tessa Thompson, Imogen Poots e Tom Bateman, danno un’ottima prova di sé, salvando il film sul sul elemento ed esigenza primaria, ovvero il sentimentalismo. In conclusione, l’adattamento cinematografico di Nia DaCosta rende onore alla rappresentazione su schermo di un’opera teatrale, valorizzando sfarzose scenografie ed un’ambientazione bohemien.

Al film Hedda, tuttavia, manca il coraggio (ed i mezzi) per stupire lo spettatore come promesso fin dal suo incipit, ristagnando continuamente su sé stesso senza mai arrivare ad una vera conclusione. Un film appunto solo appariscente e molto più “vuoto” di contenuti e messa in scena di quello che avrebbe voluto essere.

★ ★ ½

Hedda recensione film

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Vittorio Pigini
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Laureato in Giurisprudenza, diplomato in Amministrazione Finanza e Marketing, ma decisamente un Hobbit mancato. Orgogliosamente nerd e da sempre appassionato al mondo cinematografico, con il catartico piacere per la scrittura. Studioso della Settima Arte da autodidatta, con dedizione e soprattutto passione che mi hanno portato a scrivere di cinema e ad avvicinarmi alla regia.