Recensione del film I peccatori

I Peccatori di Ryan Coogler sono i musicisti Blues in rivolta contro vampiri e KKK

Dopo la sua avventura nel MCU, con i due capitoli dedicati al personaggio di Black Panther, il regista Ryan Coogler torna dietro la macchina da presa con un nuovo film action che, questa volta, si tinge di rosso sangue. In sala dal 17 aprile, I peccatori è forse al momento l’opera più ambiziosa del regista di Creed, per un folk-horror spettacolare che pone la musica al centro della narrazione. Ecco di seguito la recensione di I peccatori, il film horror di Ryan Coogler con protagonista Michael B. Jordan.

I Peccatori: la trama del film horror di Ryan Coogler

Prodotto, scritto e diretto dallo stesso regista Ryan Coogler, I peccatori porta sul grande schermo una storia originale ambientata sul Delta del Mississipi nel 1932, narrando del ritorno a casa dei gemelli Smoke e Stack. Dopo essere diventati gangster temuti al soldo di Al Capone, i due fratelli sono finalmente tornati nella loro terra e tra la loro gente con un piano in mente: aprire un juke-jolly per la comunità nera locale.

La giornata scorre agevolmente, tra i preparativi per l’inaugurazione in serata ed il reclutamento dello staff. In questo farà parte anche il loro cuginetto Sammie, con l’innato talento per la musica ostacolato dal volere del padre predicatore. Tutto sembrerebbe andare per il verso giusto, almeno fino al tramonto, con il calar delle tenebre che porterà i demoni con sé.

Recensione film I peccatoir

I Peccatori, la recensione: il canto della rivolta

Wakanda Forever!

Si potrebbe affrontare una ricchissima, velenosa ed affascinante analisi solo sul tempismo dell’uscita in sala di questo nuovo film targato Ryan Coogler, anche e soprattutto in pieno secondo mandato Trump in terra a stelle e strisce. Il radicale movimento Black Lives Matter continua infatti ad abbattersi sulla società, cultura (e dunque cinema) americano da oltre un decennio, precisamente dalla fondazione del movimento nel 2013.

Non a caso, questo è anche l’anno che segna l’esordio alla regia di Ryan Coogler con Prossima fermata Fruitvale Station, che narra le drammatiche vicende che portarono alla morte di Oscar Grant, ucciso dalla polizia della Bay Area Rapid Transit Distric di Oakland (California). Coincidenze che coincidenze non sono, per un regista che successivamente rispolvererà una delle saghe cinematografiche più amate (quella di Rocky), attraverso gli occhi di rivalsa sempre del giovane Michael B. Jordan.

Un rabbioso desiderio di riscatto e di alzare quel “black fist” in aria che travolgerà anche il lucente mondo MCU, con il regista che arriva a dirigere i 2 capitoli sul grande rappresentante della sua gente: Black Panther. Sulla scia del maestro Spike Lee, Ryan Coogler si aggiunge così a quella fila di autori volti a realizzare “film neri per neri”, con l’intelligenza ed il saper scendere a compromessi autoriali e commerciali nel destinare opere cinematografiche al grande pubblico.

Sempre su quella “scia autoriale”, negli anni ci sono stati importanti esempi di registi più ligi alle regole (anche e soprattutto cinematografiche), come un buon Barry Jenkins, ma anche coloro che hanno voluto scardinare il sistema stesso. Con il suo titolo più ambizioso, Ryan Coogler tende infatti ad avvicinarsi a quest’ultimo esempio artistico (sulle orme di Jordan Peele, giusto per indicare un nome e semplificare il processo), fondendo la cultura black, il cinema di genere e la spettacolarità del sempre ingiustamente bistrattato popcorn-movie. Tuttavia, proprio quest’ultima nota di colore rappresenta per I peccatori una scomodante caduta di stile, per un film che avrebbe potuto travolgere ma che si accontenta “solo” di divertirsi. Ma andiamo con ordine.

La divina ed ammaliante musica del Diavolo

Danzi mai col diavolo nel pallido plenilunio?

Di “film più ambizioso” si faceva poco fa riferimento, circa l’inserimento de I peccatori all’interno della filmografia di Ryan Coogler. Un titolo che infatti mescolerebbe al suo interno un mix esplosivo di temi, generi e stili (estetici, ma soprattutto musicali). Al di là della visione in sé del film, tuttavia, l’ambizione di I peccatori si riferisce principalmente all’originale ed efficace legame di sangue tra musica ed appartenenza, tra anima e corpo, tra nativi e coloni.

Ambientato sul Delta del Mississipi degli anni ’30, il film vede il ritorno a casa dei gemelli Smoke e Stack, con il ripercorrere la stessa strada della loro infanzia, stringere ed abbracciare quelle persone conosciute anni fa, che va ben oltre il “semplice” rincasare dopo tempo. Si tratterebbe infatti di un ritorno alle origini, alla propria terra, alla propria comunità, dopo anni passati a sopravvivere ad un conflitto mondiale (azionato dagli stranieri europei), tra la mafia di Chicago (capeggiata da un boss di origini italiane, un certo Al Capone) e fuggire/contrastare il bianco KKK sparso nel paese.

Si tratta di una comunità, quella nera e specialmente del Sud degli Stati Uniti, costretta a nascere sul campo, senza una scelta arbitraria di lasciare la propria terra per trasferirsi a vivere nelle piantagioni di cotone. Una comunità che si è fatta forza nel corso dei secoli, grazie soprattutto a questo speciale spirito di appartenenza, di attaccamento al proprio sangue, al proprio colore della pelle, alla propria anima. Questo è dunque il sapore del “ritorno a casa” di Smoke e Stack, che deve essere festeggiato e celebrato ma, ancora una volta, sono sempre quegli stranieri a ricoprire il ruolo di guastafeste, ad irrompere senza invito.

Si accennava, nel capitolo precedente, del tempismo dell’uscita del film nel contesto geopolitico internazionale, con gli europei additati come “parassiti”…anche se forse potrebbero essere proprio dei vampiri succhiasangue. A differenza di quanto possa sostenere il padre di Sammie, il Diavolo non sembrerebbe suonare musica blues, ma il folk irlandese, The Rocky Road To Dublin. Vampiri, musica, blues e folk, ecco che I peccatori diventa “intelligentemente anarchico” nel portare sul grande schermo cinema di genere ed autoriale, con un’idea personale decisamente affascinante e travolgente.

La “musica del Diavolo”, il mito del patto di Robert Johnson, l’inossidabile legame tra canto e riti religiosi, nel corso della storia la musica è sempre stata una delle rappresentazioni più nitide e “concrete” del rapporto tra l’uomo e il divino, corpo e anima. Per via delle sue origini, il Blues è la musica di un intero popolo, l’attaccamento alla sua terra e comunità, la sua anima. Lo speciale vampirismo in I peccatori è infatti “musicale”, volto a contaminare e corrompere quel ritmo, quei testi e quegli strumenti, a risucchiare quell’anima, sempre nel subdolo modus operandi dei conquistatori (bianchi) europei.

Ecco che gli stessi Choctaw si vestono da cacciatori di vampiri, con quella di queste entità che diviene infatti un’appropriazione ed un’assimilazione molto più pericolosa, nascosta e strisciante, rispetto a quella violenta e diretta del KKK. Trattasi infatti dell’ammaliante fascino vampirico che da più di un secolo continua a stregare il cinema e che qui è anche capace di convertire, tra le proprie fila, anche gli stessi figli di quella stessa gente, accecati dal successo, dalla “vita eterna” e dalla possibilità di uscire dall’oscurità della segregazione fisica e morale.

Tuttavia, come Sammie, c’è chi sceglie di proteggere quell’anima, quel necessario e doloroso ricordo, quel segno di appartenenza che, come la musica Blues, non può essere corrotto e non può dissolversi nel tempo.

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La rabbia e l’arroganza che accecano

Fatemi entrare!

Attraverso lo speciale legame con la musica, tanto quella divina quanto quella diabolica, Ryan Coogler sceglie così la via del folk-horror per traghettare, sul grande schermo, una storia fortemente politica. I peccatori mette sul bancone una sofferente storia famigliare (“famiglia” intesa soprattutto quale popolo) che arriva ad impregnarsi le mani nel sangue del suprematismo bianco, del colonialismo e della segregazione razziale. Il “peccato” del film, tuttavia, sta nel fatto che tale esplosivo, rabbioso e viscerale cuore venga messo a disposizione di un “semplice” popcorn-novie, dominato da dinamiche action e con una ventata di ironia pulp più o meno masticata.

I temi di fondo, l’anima del film, non viene infatti sacrificata all’altare dell’intrattenimento, con Coogler che non abbandona nemmeno per un momento la questione razziale e la radicale e fondamentale importanza della musica. Anzi, il regista spinge dal primo all’ultimo minuto verso questi binari, arrivando anche al didascalismo. Tuttavia, il quinto film di Ryan Coogler si lascia prendere la mano, con l’anarchia ed il caos che invadono sceneggiatura e schermo al calar delle tenebre.

Ecco che, arroccati dietro le porte sbarrate del locale, i dialoghi si fanno sempre più pesanti e caricati, le soluzioni di trama si improvvisano sul momento e più di un elemento sfugge al controllo del regista. Che passino pure il solito “gruppetto” di eroi che tiene a bada l’orda, ma buchi e sbavature non sono poche e comunque ben visibili, come la già vampirizzata Maria che, a differenza di tutti gli altri, è stata invitata ad entrare. Da rabbiosa critica sociale e politica, I peccatori arriva appunto a peccare di arroganza, si trasforma in cafone con il sorgere della luna pallida, seppur si continui a parlare di cinema di vampiri e non di lupi mannari.

L’action diventa quindi predominante, con il regista che dimostra di avere ancora difficoltà nel gestire tali sequenze: l’azione è confusionaria, frammentata e l’eccessivo dinamismo non permette di mettere a fuoco. Il caos prende così il sopravvento, tanto narrativamente quanto su schermo, per un film non elegante ma rozzamente anarchico e fuori dagli schemi (in senso lodevole e dispregiativo). Si sottolinea in questo modo la spiacevole deriva di un film che, sicuramente, poteva essere gestito meglio, dato non soltanto la vincente idea alla base ma anche l’efficace materiale a disposizione.

A dir poco accattivante la bronzea e tenebrosa fotografia di Autumn Durald Arkapaw (Black Panther: Wakanda Forever), abile nel restituire su schermo una visione prettamente crepuscolare e che sappia elevare la discesa delle tenebre sulle radianti distese western del Mississipi. Da rivedere invece gli effetti speciali volti alla resa vampirica che lasciano a desiderare, ma non per il luciferino bagliore negli occhi sempre efficace. Il regista ed il suo stretto collaboratore in sala di montaggio Michael Shawver riescono a scandire adeguatamente il tempo della narrazione, non appesantendo una visione di 137 minuti.

Ryan Coogler se la prende comoda nel presentare i suoi personaggi e soprattutto il loro spirito, l’ambiente nel quale vivono, immettendo di volta in volta curiosità su quello che starà per succedere, il clou della serata. In tal senso, tuttavia, l’ironia poteva sicuramente essere più marcata, appoggiandosi quasi unicamente sul personaggio di Delroy Lindo (Da 5 Bloods – Come fratelli), ma il ritmo viene in ogni caso ben scandito anche e soprattutto grazie alla vera protagonista di I peccatori: la musica.

Se il regista riesce a dare profondità nella costruzione della messa in scena, mettendo in risalto geometrie ed i suoi personaggi, l’attenzione viene monopolizzata dal travolgente lavoro del 2 volte premio Oscar Ludwig Göransson (Black Panther, Oppenheimer). Ogni momento musicale presente nel film, dal geniale “rituale” al vampirismo irlandese, è infatti energia pura. Si tratta di sequenze potentissime anche nell’amalgamare il crescendo rinvigorito dagli strumenti e dal frenetico montaggio, ma che registrano l’evoluzione di una colonna sonora che parte dal Blues per arrivare al metal, passando per il country ed il sonoro dell’orrore.

L’anarchia musicale diviene essa stessa il film, con I peccatori che mette a segno un cast particolarmente efficace. In prima fila per l’inseparabile amico regista, Michael B. Jordan si sdoppia per l’occasione, con i Black Blues Brothers in missione per conto del Diavolo. L’attore di Creed riesce infatti a regalare due interpretazioni quasi opposte per i gemelli diversi e torna “sul ring”: all’angolo rosso l’esuberante e frivolo Stack; all’angolo blu il boss e rigoroso Smoke.

In conclusione, I peccatori rappresenta l’opera più ambiziosa del regista Ryan Coogler, per un film che mescola all’interno tanto cinema di genere per innalzare una questione sociale e politica sempre sofferta. Tuttavia, il film sceglie deliberatamente di prediligere la strada del “semplice” intrattenimento, portando su schermo un folk-horror di vampiri tra gangster-movie, action, western del Mississipi e dramma famigliare.

Tra Carpenter (perché no qualche ventata di Romero) e Spike Lee, facendo inevitabilmente l’eco ad opere pulp come Dal tramonto all’alba, I peccatori confessa il peccato di non voler andare fino in fondo, con la rabbia ed il caos che invadono la scena nel bene e nel male. Dopo l’incoraggiante debutto nel 2013 ed i capitoli da botteghino, Ryan Coogler sboccia finalmente con il suo film più ambizioso e coraggioso, portando con sé i rischi del mestiere ma lasciando ben sperare per il futuro.

★ ★ ★ ½

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Vittorio Pigini
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Laureato in Giurisprudenza, diplomato in Amministrazione Finanza e Marketing, ma decisamente un Hobbit mancato. Orgogliosamente nerd e da sempre appassionato al mondo cinematografico, con il catartico piacere per la scrittura. Studioso della Settima Arte da autodidatta, con dedizione e soprattutto passione che mi hanno portato a scrivere di cinema e ad avvicinarmi alla regia.

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