Recensione del film Paprika

Paprika: il cinema e i sogni condividono la stessa sostanza

Dopo essere stato presentato in anteprima al 63° Festival del cinema di Venezia, Paprika – Sognando un sogno è il quarto ed ultimo film scritto e diretto dal regista giapponese Satoshi Kon. Indirettamente, quindi, il film assume purtroppo anche i connotati di testamento artistico per il grande cineasta nipponico, portando sullo schermo tutta la sua anarchia e libertà creativa. Ecco di seguito la recensione di Paprika – Sognando un sogno di Satoshi Kon.

Paprika, la trama del film d’animazione di Satoshi Kon

Basato sull’omonimo romanzo di Yasutaka Tsutsui, il film del 2006 Paprika viene scritto dallo stesso regista assieme a Seishi Minakami. Per quanto riguarda il processo di spiegazione di un film come Paprika, l’azione assumerebbe esattamente la stessa consistenza nel cercare di descrivere un sogno fatto durante la notte, con il tutto che si farebbe inutilmente complesso.

Fatto sta che la sinossi del film vedrebbe protagonista un team di scienziati, il quale ha inventato la tecnologia nota come DC Mini che permette di immergersi nei sogni di pazienti per conoscere e curare gli strati del subconscio o altri disturbi dell’umore. A capo di questo team c’è la dottoressa Atsuko Chiba, che sfrutta il suo alter-ego Paprika per aiutare illegalmente i suoi pazienti fuori dai controlli della compagnia.

Fra questi vi è anche il capitano Toshimi Konakawa, che ha chiesto il supporto di Paprika per cercare di risolvere un incubo che lo tormenta. Tuttavia, alcuni dispositivi di DC Mini vengono sottratti alla compagnia e da quel momento iniziano a verificarsi atti terroristici dove i sogni vengono innestati anche nella mente di chi è sveglio, portando anche alla morte. Chiba, il suo team ed il capitano Konakawa dovranno risolvere il caso, per un viaggio scisso tra sogno e realtà.

Paprika, la trama del film d'animazione di Satoshi Kon

Paprika, la recensione: il cinema e i sogni condividono la stessa sostanza

La scienza non è altro che semplice spazzatura, una cosa inutile di fronte all’immensità di un sogno.

“Immenso” potrebbe essere proprio il termine che verrebbe in mente durante e terminata la visione di Paprika e, con essa, anche del cinema di Satoshi Kon. Trattasi di un autore ed un cineasta geniale sì, ma anche capace di stravolgere e rimodellare il cinema d’animazione (e non solo) con appena 4 lungometraggi, prima della sua tragica e prematura scomparsa.

Il suo cinema ha infatti travalicato i confini del Sol Levante e ha conquistato anche il mondo Occidentale, come testimoniano i continui omaggi e riferimenti nelle opere di autori che affrontano di petto il tema del doppio e del mondo onirico. Divenuti ormai celeberrimi gli accostamenti tra Perfect Blue e i film di Darren Aronofsky Requiem for a Dream e Il cigno nero, oltre e soprattutto a quello tra questo stupefacente Paprika e Inception di Christopher Nolan.

Questo perché il cinema di Satoshi Kon ha fatto e continua a fare scuola, per via di un’anarchia e libertà tanto visiva quanto narrativa da non poter lasciare indifferenti. Proprio per via della scomparsa prematura dell’autore, Paprika assume indirettamente anche i connotati del suo testamento artistico, quello che riassumerebbe forse meglio proprio questa sconfinata visione artistica.

Il sottotitolo italiano “Sognando un sogno”, nonostante la goffaggine, ben riassumerebbe il processo profondo ed articolato di questo film anche per quanto concerne il piano cinematografico e metacinematografico. Cosa avvicina di più l’esperienza in una sala cinematografica se non l’onirico? La possibilità di assistere ad un sogno ad occhi aperti, che sia un tuo sogno o di qualcun altro poco importa. Un film permette allo spettatore di catapultarsi in un’altra epoca, passata, presente o futura, oltre a vivere la vita di un’altra persona, i sentimenti di una storia d’amore, i brividi di un racconto dell’orrore.

La sostanza del cinema viene così impressa su schermo nell’intera visione di Paprika, il quale si mostrerebbe come poliziesco fantascientifico per poi perdersi nella materia e trasformandosi in avventura onirica, commedia grottesca, storia d’amore, thriller politico, fantasy-horror e chi più ne ha più ne metta. Sognando un sogno e cinema che diventa cinema. Non a caso uno dei protagonisti del film, il capitano Toshimi Konakawa, è un ex regista che ha smarrito la sua lucentezza, la passione verso la sua passione.

Perdersi nelle mirabolanti avventure e colori di Paprika riaccende la sua fiamma, con il film che si conclude con il biglietto del cinema acquistato dallo stesso Konakawa. Proprio in questa sequenza, avviene un ulteriore colpo di genio. Il personaggio si sta guardando intorno per cercare il film suggerito “Dreaming Kids” ma, tra le varie locandine, vi sono anche quelle di Perfect Blue, Millennium Actress, Tokyo Godfathers.

Si tratta ovviamente dei precedenti film di Satoshi Kon e, purtroppo con uno sguardo a posteriori, della sua intera filmografia. Sogno e realtà, cinema e metacinema, vita e morte, il tutto si fonde e lascia su schermo un’esperienza e delle emozioni che non devono essere spiegate, ma vissute. Paprika incarna la materia stessa del cinema.

Una parata di colori anarchica e visionaria

Incomincia lo spettacolo.

Al di là della filmografia del suo autore e dell’utilizzo della materia onirica per portare su schermo questo anarchico racconto, Paprika corrisponde anche ad una stupefacente parata di colori, forme ed idee decisamente ammalianti. La sceneggiatura del film riesce infatti a rendere semplice un racconto alquanto complesso e stratificato, offrendo le giuste e sufficienti basi alle quali aggrapparsi in questa folle e continua corsa verso il magnifico.

La facilità con la quale Paprika cambia genere e registro narrativo è infatti disarmante, con il montaggio che assesta 90′ spediti ed avvincenti. Ma si accennava ad una visione anarchica, folle e completamente svincolata da qualsiasi limite. Paprika porta infatti in scena una parata visionaria che si pregia di un intelligente e minuzioso tratto grafico. Al di là delle meravigliose e variopinte illustrazioni, arricchite da un numero inquantificabile di particolari, il film mostra il genio del suo autore anche e soprattutto nelle sue idee concettuali ed artistiche.

Impossibile elencare tutti i guizzi di Satoshi Kon in tal senso, ma emblematica potrebbe diventare una sequenza in particolare. Quasi 20 anni prima dello straordinario Spider-Man: Across the Spider-Verse, che muta stile d’animazione a seconda dell’universo di riferimento, in una scena del film il personaggio di Paprika entra fisicamente in un dipinto. Si tratta di Edipo e la Sfinge, del pittore simbolista francese Gustave Moreau.

Nasce un inseguimento, uno scontro, con l’anime che si pregna di quel particolare stile pittorico, per poi ripetere l’arcano anche per quanto riguarda i cartelloni pubblicitari in città e via così. Oltre al divertimento, i profondi temi sociali sulla propria identità e la meraviglia visiva, in Paprika non manca anche un certo tasso di violenza ed amarezza che lascia il segno. Disarmante la scena dello stupro presente nel precedente Perfect Blue, per come viene disegnata ed animata, ma anche quella presente in questo film del 2006 non può essere da meno.

In conclusione, Paprika costituisce il quarto e purtroppo ultimo film ereditato dal genio di Satoshi Kon. Indirettamente, l’opera assume i connotati del pensiero e della creatività artistica del suo autore, riuscendo a portare su schermo una visione completamente anarchica, libera e che fa sognare ad occhi aperti. La meraviglia visiva di Paprika è fatta della stessa materia della quale è fatto il cinema stesso, un sogno dentro un sogno che prescinde il genere, la tecnica, lo spazio e il tempo.

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Paprika, recensione del film
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Vittorio Pigini
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Laureato in Giurisprudenza, diplomato in Amministrazione Finanza e Marketing, ma decisamente un Hobbit mancato. Orgogliosamente nerd e da sempre appassionato al mondo cinematografico, con il catartico piacere per la scrittura. Studioso della Settima Arte da autodidatta, con dedizione e soprattutto passione che mi hanno portato a scrivere di cinema e ad avvicinarmi alla regia.