
28 Feb 2025 I ragazzi della Nickel costringe a vivere sulla propria pelle lo straziante segregazionismo
Dal 27 febbraio 2025 approda in Italia sulla piattaforma di Prime Video I ragazzi della Nickel, il primo film diretto da RaMell Ross. Trattasi di un titolo che poggia su una produzione cinematografica molto importante, la quale ha portato I ragazzi della Nickel a venire anche candidato ai premi Oscar come Miglior Film e Migliore Sceneggiatura non Originale. Ecco di seguito la recensione del primo film di RaMell Ross.
I ragazzi della Nickel, la trama del film di RaMell Ross candidato all’Oscar
Il film è tratto dall’omonimo romanzo Premio Pulitzer di Colson Whithead e, come accennato, viene prodotto da Orion Pictures (Amadeus, Platoon, Il silenzio degli innocenti) e Plan B Entertainment, che conta tra le ultime produzioni Mickey 17 e Wolfs. I ragazzi della Nickel (in originale Nickel Boys) è il primo film di RaMell Ross, che torna sul palcoscenico degli Oscar dopo essere stato candidato con il suo documentario Hale County This Morning, This Evening del 2018.
Ambientato negli anni ’60, il film vede come protagonisti principalmente due adolescenti, Elwood e Turner, mandati nel riformatorio della Nickel Academy. L’istituto sarebbe ispirato al Dozier School for Boys, ora chiuso e divenuto noto per il suo violento e disumano trattamento verso i suoi studenti.

I ragazzi della Nickel, la recensione: vietato l’accesso alla rivoluzione sociale
Cos’è successo a quel ragazzo con cui uscivamo sempre?
Come da tradizione annuale, specialmente la decina della categoria Miglior Film agli Oscar tende sempre ad offrire più di qualche sguardo sull’America di ieri, di oggi e di domani. In un’annata cinematografica come quella del 2024, di transizione verso la nuova Presidenza made in U.S.A., sono stati molti i titoli che hanno provato ad offrire il loro personale sguardo sulla terra a stelle e strisce, a cominciare dal distopico (?) Civil War di Alex Garland.
Proprio alla decina Oscar appena accennata, tra l’epopea di The Brutalist, Anora e il biopic A Complete Unknown, si aggiunge anche il Nickel Boys di RaMell Ross. Proprio questi ultimi titoli condividerebbero lo stesso “campo di battaglia”, ovvero i tumultuosi movimenti sociali e politici negli Stati Uniti degli anni ’60. Sarebbe complicato, se non praticamente impossibile, racchiudere in poche righe tutti gli eventi epocali che si sono susseguiti nell’arco di questo cruciale decennio della storia statunitense, ma i due film in particolare condividono un forte punto in comune: Martin Luther King.
Se il film di James Mangold, tuttavia, tende a mantenere fortemente in disparte tutto lo scenario sociale e politico, Nickel Boys ci mette la faccia in prima persona, letteralmente. Negli ultimi anni, soprattutto da quel 25 maggio 2020, anche nel macrouniverso degli Oscar il Black Lives Metter continua a battere chiodo su chiodo, tenendo vivo vivo a gran voce il dibattito inamovibile sulla condizione razziale all’ombra della Statua della Libertà.
American Fiction e Judas and the Blak Messiah sono solo alcuni degli esempi di “underdogs” arrivati silenziosamente sotto i riflettori più importanti della realtà cinematografica, con Nickel Boys che non si tira certamente indietro. Da vero documentarista, il regista RaMell Ross non poteva che realizzare un film di denuncia sociale e politica, poggiandosi sulla base vera dei drammatici avvenimenti legati alla Florida School for Boys.
Quella di I ragazzi della Nickel diventa così la “solita” storia di ingiustizia, che questa volta colpisce non soltanto gli innocenti, ma un’intera giovane generazione alla quale viene chiesto di ereditare una società marcia e fallimentare. Lo capiranno a loro spese i giovani Elwood e Turner, dalle aspirazioni accademiche a ritrovarsi per qualche scherzo beffardo del destino a lottare per la sopravvivenza all’interno di un sistema corrotto.
L’educazione e la formazione si trasformano in brutale sottomissione fisica e psicologica, l’umanità in bestialità. Giovani abbandonati dalle istituzioni in un istituto carcerario mascherato da scuola, dove il filo spinato impedisce l’ingresso dei rivoluzionari moti all’esterno. La speranza di un futuro viene incatenata, frustata e ridimensionata alla speranza di superare la giornata.
Una visione spietata, cruda e velenosa di una società passata che non è mai sparita del tutto, soprattutto per quanto concerne la sua ideologia, soprattutto quando si continua a sentir passare certi venti di uno sprezzante passato nelle aule politiche. Una brutalità visiva gestita, tuttavia, con grande delicatezza e quiete quando concesso, portando al racconto di un’amicizia nata sulla e nella disperazione.
Assistere in prima persona alla tragedia non permette necessariamente di viverla
Ora o mai più.
Nickel Boys porta così sullo schermo una storia che, come tutte quelle analoghe, non può prescindere dall’essere raccontata, per continuare a soffiare sul fuoco della sensibilizzazione sociale, politica, umana e morale. Ma se gli intenti restano assolutamente nobili e validi per essere spinti e supportati, dal punto di vista della sua costruzione visiva il film mostra inevitabilmente il fianco.
L’elefante nella stanza è l’utilizzo sicuramente della soggettiva nel racconto, con tutto il film che viene mostrato attraverso gli occhi del protagonista (?). Una scelta stilistica sicuramente intrigante, ma che alla lunga risulterebbe l’unica vera arma in possesso del film per potersi distinguere dalla massa. Sì perché Nickel Boys non è sicuramente l’unico film a trattare delle disperate condizioni di ragazzi in riformatorio, o della condizione dei neri in America specialmente negli anni ’60 (ovviamente senza screditare in alcun modo i drammatici eventi reali ai quali il film si ispira).
La nota di particolar fascino è quindi l’uso della soggettiva e, anche lì, si è distanti da una particolare originalità e novità. Enter the void, Arca Russa, Hardcore!, fino ad arrivare ad Una donna nel lago del 1947, il film in soggettiva ha conosciuto spesso validi esponenti ed altri che hanno mostrato più un esercizio di stile fine a sé stesso. Nickel Boys non rientra in quest’ultima categoria, anche per via di alcune scelte stilistiche interessanti, ma il risultato in tal senso è molto distante dall’essere stato raggiunto.
Negli esempi sopracitati infatti e non solo, la visione in soggettiva (senza considerare singole scene di altri film non incentrati su tale tecnica) permette allo spettatore di vivere una determinata situazione in prima persona, assorbendo direttamente alcune esperienze visive e sensoriali di un certo impatto. La questione si complica quando si sceglie comunque di puntare sull’emotività dei personaggi nel racconto, con la soggettiva che impedisce fisicamente di enfatizzare le sensazioni del protagonista, se non per l’inquadratura che si sposta su delle mani tremanti, con il fragore dei respiri affannati.
Non solo, quindi, si cerca di puntare su un determinato registro attraverso una tecnica funzionalmente distante, ma anche l’utilizzo della soggettiva in sé lascia più di qualche perplessità. Si fa riferimento innanzitutto alla linea cronologica e narrativa del racconto, con i flashback che diventano particolarmente complessi da collocare sull’asse temporale e con una massiccia durata complessiva del film sicuramente proibitiva.
Altra criticità riguarda poi i suoi “spostamenti”, non solo nel cambiare il soggetto stesso del POV (con indecifrabile scelta in termini di tempi e di funzione narrativa) ma anche nella semisoggettiva. In tutto questo “giochi di sguardi appiattiti”, continuano a rimbalzare le immagini di archivio sugli eventi più importanti della storia americana di quel periodo, dai movimenti sociali all’Allunaggio.
Dal punto di vista più propriamente pratico si registra tuttavia poco altro, se non qualche guizzo onirico che impreziosisce esteticamente la visione. In conclusione, la storia di I ragazzi della Nickel deve essere raccontata e deve essere posta sotto i riflettori. Il regista RaMell Ross porta così sullo schermo una sofferente opera di denuncia sociale e politica, la quale continua a soffiare sul fuoco della sensibilizzazione.
Tuttavia, il film tende a spiccare dalla massa quasi unicamente dallo stile visivo e tecnico adottato, non solo non particolarmente originale in sé, ma anche abusato senza un vero ordine logico e funzionale. Oltre alla durata proibitiva ed un utilizzo del flashback alquanto disordinato, quello che sarebbe potuto essere un racconto emotivamente disarmante perde così la sua arma fondamentale.
L’appiattimento dello sguardo cinematografico, sulla storia che intreccia i suoi protagonisti, porta alla costrizione della vista (più che sguardo) in soggettiva, che si avvicina solamente ad un esercizio di stile fine a sé stesso (non essendolo).
★ ★ ½
