
02 Set 2025 Il mago del Cremlino: i meccanismi del potere politico contemporaneo
Olivier Assayas, acclamato regista di Personal Shopper (2016), arriva alla 82esima Mostra del Cinema di Venezia portando in gara Il mago del Cremlino, opera incentrata sulla vita politica russa dagli anni ’90 fino all’invasione dell’Ucraina del 2014. Paul Dano è protagonista insieme ad uno stentoreo Jude Law nel ruolo di Vladimir Putin. Direttamente da Venezia 82 e presto in sala con 01 Distribution e I Wonder Pictures, ecco la recensione de Il mago del Cremlino, il film di Olivier Assayas.

Il mago del Cremlino, trama del film di Olivier Assayas
Russia, primi anni Novanta. L’URSS è crollata. Nel caos di un Paese che cerca di ricostruirsi, Vadim Baranov, un giovane brillante, sta per trovare la propria strada. Prima artista d’avanguardia, poi produttore di reality show, diventa spin doctor di un ex agente del KGB in ascesa: Vladimir Putin. Immerso nel cuore del sistema, Baranov plasma la nuova Russia, confondendo i confini tra verità e menzogna, credenze e manipolazione. Ma c’è una figura che sfugge al suo controllo: Ksenia, donna libera e inafferrabile, che incarna la possibilità di fuga, lontano da questo gioco pericoloso. Quindici anni dopo, ritiratosi nel silenzio e avvolto nel mistero, Baranov accetta di parlare, rivelando i segreti occulti del regime che ha contribuito a costruire.
Il mago del Cremlino: recensione del film con Paul Dano e Jude Law
Dopo aver prestato volto e carisma al visionario Papa Lenny Belardo in The Young Pope di Paolo Sorrentino (presente a Venezia 82 con La Grazia), Jude Law torna a sorprendere incarnando con sottile ironia e inquietante realismo lo Zar Putin ne Il mago del Cremlino, firmato da Olivier Assayas e co-sceneggiato con Emmanuel Carrère, tratto dal romanzo di Giuliano da Empoli.
Guardando Il mago del Cremlino non si esce semplicemente intrattenuti: si impara. Sulla natura del potere, sui meccanismi psicologici che muovono le masse, sulla Russia contemporanea e, soprattutto, sulle strategie con cui viene costruito e manipolato il consenso. Certo, sono concetti che in parte conosciamo già, ma qui vengono raccontati e messi in scena con tale forza da essere nuovi, vividi, rivelatori.
C’è chi liquiderà un’opera simile con etichette frettolose, probabilmente per non impegnarsi nel cinema di cui una volta l’Italia stessa si impegnava nell’essere protagonista: quello sociale.
Il mago del Cremlino è un film che risponde a un bisogno reale. Per due ore e mezzo offre una bussola dentro la nebbia della memoria di uno dei Paesi più complicati della storia dell’umanità.
Dopo la visione de Il mago del Cremlino si esce dalla sala con una consapevolezza più chiara: gli oligarchi, manipolatori del caos, lavorano per controllare il nostro immaginario, creano nemici su misura per convincerci di frustrazioni e paure. È un’operazione che il film racconta con lucidità e inquietante precisione, senza mai cadere nella sterile lezione di storia.
Il merito principale, però, sta nello sguardo e nei gesti di Jude Law: quel sorriso appena accennato, venato di cinismo, è destinato a imprimersi nella memoria dello spettatore, proprio come l’Andreotti di Toni Servillo ne Il divo (2008), è una di quelle interpretazioni che scolpiscono un grande personaggio.
Infine, il film suggerisce una lettura imprescindibile: Noi di Zamjatin, romanzo che ha anticipato gran parte dell’immaginario distopico del Novecento. Non un omaggio nè una citazione, ma chiave per comprendere come il potere, ieri come oggi, continui a immaginare e manipolare il futuro.

Il mago del Cremlino: essere dipendenti dal potere
Il film attinge con decisione dalla realtà e dai suoi protagonisti più controversi: tra questi vi è anche Ėduard Limonov, figura emblematica dell’opposizione russa, qui rappresentato come una sorta di guida “pilastro” dentro il dedalo delle manovre politiche.
La riflessione diventa quasi metacinematografica quando il centro del discorso non è più solo la politica, ma il potere stesso come strumento dello spettacolo. L’esempio più eloquente è la sequenza in cui Putin si imbatte nella scaletta della cerimonia inaugurale delle Olimpiadi invernali di Soči del 2014: un vero e proprio palcoscenico in cui la manipolazione rientra in un evento storico.
Emblematico allo stesso modo è l’accostamento dei Daft Punk alla Russia: un incontro volutamente contrastante da utilizzare come strumento politico, dimostrando la capacità del potere di manipolare i sogni del popolo con le esigenze degli oligarchi. Tutto ciò per configurare l’estetica del kitsch, dove il significato lascia spazio allo strumento manipolatorio.
Putin e i suoi consiglieri, come il personaggio di Baranov, hanno una sola manovra politica: utilizzare fatti, azioni concrete e simboli per elargire il potere che finisce per diventare dipendenza.
In definitiva, Il mago del Cremlino si propone come un’opera ampiamente politica, non solo nella sua costruzione narrativa ma nelle scelte proposte per farlo. Un’opera che ricostruisce e invita a guardare gli eventi accaduti in Russia dal crollo dell’Unione Sovietica in poi. Olivier Assayas mette in scena dei ricordi che servono a svelare i meccanismi del potere. Jude Law dona un’interpretazione memorabile, con una freddezza e stoicità accuratissime, mentre Paul Dano si presta alla macchina da presa come un Baranov pieno di inquietudine e testimone di un sistema che lo ha usato e infine mangiato. Il mago del Cremlino è un film necessario, perché ci ricorda che il potere non ha bisogno di essere creduto: gli basta essere vissuto.
★ ★ ★ ★ ½



