
17 Giu 2025 Jastimari: intervista al regista Riccardo Cannella
Siamo stati presenti alla 71ª edizione del Taormina Film Festival, tenutasi dal 10 al 14 giugno 2025, per raccontarvi da vicino incontri con attori e film in anteprima. Oltre al piacere di assistere alle proiezioni in sala, abbiamo avuto l’opportunità di incontrare Riccardo Cannella, regista e sceneggiatore di Jastimari, un folk horror tutto italiano. Con grande disponibilità, Riccardo ci ha concesso un’intervista che vi proponiamo di seguito.

Jastimari, trama del film di Riccardo Cannella
Jastimari – Il Rifugio, il film diretto da Riccardo Canella, è ambientato tra i paesaggi selvaggi delle Madonie siciliane. In una vecchia fattoria isolata, circondata da alberi secolari e silenzi carichi di mistero, vive una famiglia che si aggrappa a un’esistenza dura e solitaria per sfuggire a un mondo esterno segnato da una minaccia invisibile. Lelè (Simone Bagarella), un bambino di dieci anni, vive con il fratello maggiore Angelo (Giuseppe Lanza) e i genitori, Saro (Francesco Foti) e Teresa (Rossella Brescia). Le giornate scorrono seguendo rigide regole imposte dal padre, il cui atteggiamento duro sembra nascondere un passato traumatico.
Un giorno, durante un momento di gioco, Lelè intravede la figura di un uomo (Giorgio Colangeli) che avanza barcollando. Quando il volto dell’uomo si fa più vicino, il bambino inizia a urlare in preda al terrore. Dal retro della casa, Saro, sta spaccando la legna e quando sente le grida, afferra un fucile e si lancia verso il figlio. Lele e Angelo sono ancora lì, immobili, paralizzati davanti a un vecchio dal volto segnato da quella che sembra una malattia.
Saro solleva il fucile e lo punta dritto contro il vecchio, ordinando ai figli di tornare indietro. I due bambini corrono tra le braccia della madre, lo sconosciuto emette un urlo straziante e un istante dopo si sente lo sparo.
Poco dopo, l’arrivo inatteso di un uomo (Fabio Troiano) e delle sue due giovani figlie inizierà a destabilizzare l’equilibrio precario della famiglia mettendo in discussione tutto ciò che i due fratelli credevano vero, portando alla luce segreti oscuri, menzogne radicate e un passato che i genitori hanno sempre cercato di tenere sepolto.
Intervista a Riccardo Cannella, regista e sceneggiatore
Jastimari è il tuo secondo lungometraggio, un film di genere. Puoi raccontarci da dove è venuta l’idea per girarlo e quali sono state le tue fonti di ispirazione?
Prima di Jastimari ho diretto diversi corti e sei serie distribuite all’estero. Tra queste, Run Away (2013) e Web Horror Story (2014) sono state le prime serie digitali ad essere vendute a una pay TV, Canal+ in Francia. Con Hidden e Anachronisme invece ho affinato quello stile visivo e narrativo che oggi è confluito in Jastimari.
Il progetto nasce nel 2020: ci sono voluti quattro anni prima di trovare la forza produttiva per portarlo sullo schermo. Ma ricordo perfettamente quella notte in cui ho buttato giù la prima bozza della sceneggiatura. L’idea era già chiara nella mia mente, e ogni incastro narrativo prendeva forma in modo quasi naturale, come se fossero i personaggi stessi a suggerirmi le loro azioni. È stato come assistere alla storia mentre la scrivevo — e penso che quando succede, è un buon segno: vuol dire che quello che stai creando ha già una sua autonomia, una sua anima.
Quell’anima, nel caso di Jastimari, è incentrata sull’illusione. Il film è una metafora della nostra società, del periodo che abbiamo attraversato — e che in parte stiamo ancora vivendo. Se continuiamo ad additare l’altro come nemico, a credere nelle “streghe” e a puntare il dito contro chi non comprendiamo, o a mettere il bene personale al primo posto, tanto da sacrificare tutto il resto nel tentativo di proteggerci da un male invisibile… allora, a quale futuro potremmo mai aspirare?
Puoi dirci qualcosa sulla fase di produzione del film? Quali sono le difficoltà maggiori nel fare un film come Jastimari in Italia?
La fase di produzione di Jastimari è stata sicuramente una delle sfide più complesse e impegnative della mia carriera. Si tratta di una produzione indipendente che ha dovuto affrontare tutte le difficoltà tipiche di chi sceglie di fare cinema con un budget estremamente ridotto e risorse limitate, senza però voler rinunciare a nulla.
Proprio questa condizione ha dato vita a una rete di collaborazione straordinaria e ha messo in moto una catena di entusiasmo e generosità davvero rara.
Il progetto è stato reso possibile grazie a Cinnamon, la mia casa di produzione siciliana, e all’impegno appassionato dei ragazzi e delle ragazze che ne fanno parte. A sostenerci fin dall’inizio ci sono stati anche Miriam Rizzo e la Indaco Srl di Luca e Davide Marino, altri produttori indipendenti che hanno creduto profondamente in Jastimari e nella sua visione.
Durante le riprese, è entrata in coproduzione anche PFA Films, un’altra realtà che ha scelto di sostenere il film, contribuendo a rafforzare il progetto in una fase cruciale.
Senza dimenticare il sostegno della Regione Sicilia a assessorato sport turismo e spettacolo e della Film commission Sicilia, che permettono a produzioni come la nostra di nascere e credere nelle idee.
Non meno importante è stato l’apporto di numerosi professionisti di altissimo livello che, colpiti dalla sceneggiatura e dall’anima del film, hanno deciso di farne parte e di mettere a disposizione il proprio talento. È stato incredibile vedere come Jastimari sia riuscito a coinvolgere un cast eccezionale (Francesco Foti, Fabio Troiano, Rossella Brescia, Giorgio Colangeli e Maria Amato, oltre che i più giovani, attori bravissimi) e membri della troupe di grandissimo prestigio, tra cui Daniele Ciprì, Marco Dentici, Andrea Sorrentino, solo per citare alcuni nomi.
Fare un film come Jastimari in Italia, oggi, è un atto di resistenza e insieme un gesto d’amore verso il cinema: significa credere ancora che le storie autentiche, se raccontate con passione e rigore, possono trovare il modo di esistere e di arrivare al pubblico, anche fuori dai grandi sistemi produttivi e algoritmi spacciati per necessari.
Come vedi collocarsi Jastimari nel panorama del cinema italiano? Quali sono le differenze secondo te con, ad esempio, il cinema americano?
Jastimari si colloca nel panorama del cinema italiano come un film profondamente indipendente, ma allo stesso tempo ambizioso, che cerca di proporre un linguaggio personale pur restando ancorato alla realtà e alla cultura del territorio da cui nasce.
Dal punto di vista produttivo, la differenza principale rispetto, ad esempio, al cinema americano risiede nelle possibilità. Anche se il cinema internazionale sta attraversando un periodo di crisi generalizzata, negli Stati Uniti una produzione indipendente può comunque contare su risorse economiche e strutturali che in Italia sono molto difficili da ottenere. Questo ci costringe spesso a dover fare affidamento su finanziamenti pubblici, che rappresentano per molti l’unica via percorribile per portare avanti progetti di qualità, con tutte le difficoltà e i limiti che questo comporta.
Ma c’è un altro aspetto, secondo me ancora più interessante, che è quello artistico. Jastimari ha un legame molto forte con il territorio, sia dal punto di vista paesaggistico che culturale. Le location non sono semplicemente sfondi, ma diventano parte attiva del racconto. La scelta della lingua, ad esempio, non è un dettaglio secondario: incide profondamente sulla costruzione dei personaggi e sull’identità del film. Jastimari è un film profondamente italiano, o meglio ancora, radicato. E forse è proprio questa la sua forza: raccontare una storia universale attraverso una prospettiva autenticamente locale, senza dover rincorrere modelli che non ci appartengono.
Il film è stato in competizione al Taormina Film Festival 2025. Quale speri siano le reazioni del pubblico? Hai un messaggio ben preciso con il tuo film o preferisci che sia lo spettatore a dare la sua visione?
Il più grande privilegio per un autore è vedere la propria opera arrivare al pubblico, questo aumenta se avviene in un contesto prestigioso come il Taormina Film Festival. Per me, il fatto che Jastimari sia in competizione in questo importante festival rappresenta già un traguardo enorme: è il momento in cui il film inizia a camminare con le proprie gambe verso la testa, gli occhi e le emozioni di chi lo guarda. Questo, in fondo, è il senso di tutto.
Non ho mai pensato a Jastimari come a un film chiuso su sé stesso. Al contrario, ho sempre cercato di costruire un cinema che si esprima con il linguaggio moderno dell’intrattenimento, ma che non rinunci alla ricercatezza formale e al valore del medium cinematografico. Per me è fondamentale che un film riesca a comunicare, a farsi comprendere senza semplificare, ad intrattenere senza svuotarsi, e soprattutto a lasciare dentro qualcosa, uno spunto, una domanda, un dubbio, qualcosa su cui poter riflettere e magari anche discutere.
Ho pensato Jastimari con un forte messaggio al suo interno, composto da diverse sfaccettature, ma non l’ho mai imposto allo spettatore. Preferisco invece che possa viverlo attraverso la propria sensibilità e la propria esperienza. Che possa al suo interno “scoprire” e non semplicemente vedere, ciò che si nasconde dietro le apparenze.
Ammetto però di provare una grande soddisfazione quando sento scoperchiare quel coperchio, tirando via quel messaggio frutto di tanto lavoro.
Se dovessi scegliere una scena o un momento del film a cui sei legato o che rappresenti quello che volevi fare, alla fine, con Jastimari, quale sarebbe? Perché?
In altri progetti probabilmente avrei la risposta pronta, da un punto di vista intimo ed emozionale quanto meno, ma in Jastimari non è così semplice. Alcune scene non posso raccontarle per non rovinare la visione, ma tra quelle che mi vengonoin mente, per esempio, alla scena dell’ispezione, o a quella intensa in cui Teresa, interpretata da Rossella Brescia, recita con i figli il Padre Nostro in arbëreshë.
Ma se proprio dovessi sceglierne una, forse, la scena che più mi torna in mente è quella del precipizio. I ragazzi si avviano verso il dirupo per ammirare qualcosa di unico. E in effetti lo è davvero. È una scena sospesa, che evoca suggestioni visive forti: nasce dopo un momento che gioca con l’impressionismo e si chiude sulle orme del Viandante sul mare di nebbia.
Quella scena rappresenta anche un aspetto importante del processo creativo: la capacità di adattarsi. Per motivi di budget e di tempo non abbiamo potuto girarla come era stata originariamente scritta. Così ho riscritto tutto in pochi minuti, direttamente sul set, cercando di restituire comunque la potenza emotiva e visiva che immaginavo. Ho sperato che anche la natura ci aiutasse.
E così è stato: le nuvole sono arrivate al momento giusto, creando quell’atmosfera sospesa, quasi irreale, che ha trasformato quel luogo in qualcosa che sembra esistere fuori dal tempo e dallo spazio. Sperduto, oltre le nuvole.
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