
17 Giu 2025 Jastimari, la recensione del folk horror di Riccardo Cannella
Presentato al Taormina Film Festival 2025 alla presenza del regista Riccardo Cannella e del cast, Jastimari è un film di genere horror ambientato in Italia, legato al folklore della terra siciliana. Con un budget ridotto, Jastimari (maledire) è l’esempio di come si possono raggiungere vette sorprendenti con la giusta ambientazione, il giusto cast e un’ottima regia. Prossimamente nelle sale con PFA Films, ecco la recensione di Jastimari – Il Rifugio, il film horror di Riccardo Cannella

Jastimari, la trama del film horror di Riccardo Cannella
Jastimari – Il Rifugio, il film diretto da Riccardo Canella, è ambientato tra i paesaggi selvaggi delle Madonie siciliane. In una vecchia fattoria isolata, circondata da alberi secolari e silenzi carichi di mistero, vive una famiglia che si aggrappa a un’esistenza dura e solitaria per sfuggire a un mondo esterno segnato da una minaccia invisibile. Lelè (Simone Bagarella), un bambino di dieci anni, vive con il fratello maggiore Angelo (Giuseppe Lanza) e i genitori, Saro (Francesco Foti) e Teresa (Rossella Brescia). Le giornate scorrono seguendo rigide regole imposte dal padre, il cui atteggiamento duro sembra nascondere un passato traumatico.
Un giorno, durante un momento di gioco, Lelè intravede la figura di un uomo (Giorgio Colangeli) che avanza barcollando. Quando il volto dell’uomo si fa più vicino, il bambino inizia a urlare in preda al terrore. Dal retro della casa, Saro, sta spaccando la legna e quando sente le grida, afferra un fucile e si lancia verso il figlio. Lele e Angelo sono ancora lì, immobili, paralizzati davanti a un vecchio dal volto segnato da quella che sembra una malattia.
Saro solleva il fucile e lo punta dritto contro il vecchio, ordinando ai figli di tornare indietro. I due bambini corrono tra le braccia della madre, lo sconosciuto emette un urlo straziante e un istante dopo si sente lo sparo.
Poco dopo, l’arrivo inatteso di un uomo (Fabio Troiano) e delle sue due giovani figlie inizierà a destabilizzare l’equilibrio precario della famiglia mettendo in discussione tutto ciò che i due fratelli credevano vero, portando alla luce segreti oscuri, menzogne radicate e un passato che i genitori hanno sempre cercato di tenere sepolto.
Jastimari: recensione del film horror sul folklore siciliano
C’è un filone nascosto nel cinema italiano degli ultimi anni che trova nelle leggende e nelle storie d’un tempo un motore d’espressione per rinascere e riraccontarsi. Partendo da luoghi naturali, la cinepresa è capace di trasformare, con il suo linguaggio, le ambientazioni che sono al centro delle storie folkloristiche. Jastimari di Riccardo Cannella, presentato in concorso al Taormina Film Festival 2025, si inserisce in questa scia con decisione e originalità, portando sullo schermo un film di genere che è al tempo stesso lontano (temporalmente e linguisticamente) e contemporaneo.
Il titolo, che significa maledire in dialetto siciliano antico, già ci vuol dare come un “attacco”: attenzione a solcare quelle colline e quei monti, potreste ritrovarvi in un mondo antico, o forse volutamente rimasto ignaro.
La storia si apre tra i monti delle Madonie, nella campagna palermitana, con una carrellata aerea che lentamente avvicina lo spettatore in un mondo apparentemente lontano. Non ci sono telefoni né elettricità. Non abbiamo particolari riferimenti storici. Una famiglia vive al limitare del bosco. L’incidente che dà il via alla storia, ovvero l’incontro del piccolo Lele con un misterioso uomo ferito, e il suo brutale assassinio da parte del padre (uno stentoreo Francesco Foti), non ha spiegazione immediata.
E Jastimari fa della mancanza di spiegazione una forza narrativa: lo spettatore è costretto a muoversi al buio, a fianco dei protagonisti, a ricostruire quello che vede gradualmente. Questo processo rende solo più allettante il film, già parecchio sorprendente di per sé. Ed è proprio in questo modo che Cannella, alla regia, ha deciso di imporsi: prendersi il giusto tempo, finalmente, per raccontare una storia vecchia e rifarla nuova, attraverso il genere.
Questo mondo con cui veniamo a contatto riesce fortemente a stordire con l’uso del dialetto siciliano, stretto, arcano, che nei dialoghi tra i coniugi e i figli viene lasciato sottotitolato. È una lingua che suona perduta e che aumenta l’effetto estraniante. Dove siamo? Che lingua parlano? Più che un film horror, Jastimari ci fa calare lentamente e sensorialmente in una strada che ricostruisce la memoria di una terra, scegliendo però di seguire la parte oscura, decisamente molto più accattivante.
Jastimari: una strega, i sacrifici, un arrivo inatteso
Mentre la famiglia vive in questa clausura rigida, il divieto assoluto per i figli di entrare nel bosco diventa indizio di una componente inquietante, orrorifica: tra gli alberi si nasconde una donna deforme, una strega (un’ammirevole Maria Amato) che vive in una capanna e con cui il padre intrattiene un ambiguo rapporto. Nella tradizione folklorica, la strega è mostro e protettrice, garantendo salvezza in cambio di sacrifici.
Il film procede quindi rivelazione dopo rivelazione, fin quando nel secondo atto entra prorompente nella storia una ulteriore rivelazione: la tensione cresce e allarga il campo facendo emergere nuove figure, un padre con le due figlie. Lo stravolgimento della storia è totale: il contesto, seppur implicitamente intuibile, viene evocato esplicitamente, dichiarando la presenza di una pandemia, che richiama da subito il Covid, ma con effetti più devastanti. La casa isolata nel bosco diventa allora, appunto, il rifugio da un mondo in realtà contemporaneo, ma ormai in crisi.
In questa seconda parte della storia, un doppio plauso è da fare a Irene De Gaetano e Angela Motta, le interpreti di Marta e Veronica, figlie di un padre (Fabio Troiano) spaventato, disorientato dal suo mondo, in cerca di aiuto e di risposte. La codardia e l’incertezza del mondo di oggi, tra conflitti, pandemie e insicurezze viene lasciata in mano, metaforicamente, proprio alla nuova generazione. Nella mancanza di mezzi e di speranze, le giovani attrici reggono bene il gioco insieme a Angelo (interpretato da Giuseppe Lanza), nel mettere in scena la rapida dissoluzione di chi, di mezzi, non ne ha più. E la malattia diventa solo, come il genere, veicolo per parlare di noi.
In conclusione, Jastimari di Riccardo Cannella si distingue con grande originalità nel panorama del cinema di genere, grazie a una storia profondamente radicata nel passato ma in grado di esprimersi avvicinandosi anche al presente, con un fortissimo appeal verso un pubblico internazionale. Ci auguriamo che le future opere del regista trovino sempre più spazio nelle sale italiane, a conferma che anche in Italia è possibile raccontare attraverso il genere, valorizzando buoni e promettenti attori con una regia di qualità. Invitiamo infine il lettore a scoprire l’intervista al regista Riccardo Cannella e, soprattutto, a recuperare la visione del film.
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