
18 Giu 2025 The Elephant Man, il classico di David Lynch
Continua la rassegna The Big Dreamer dedicata al maestro del cinema visionario, David Lynch, organizzata da Lucky Red e Cineteca di Bologna in programma fino a gennaio 2026. Dopo Cuore Selvaggio e Eraserhead, è il turno di The Elephant Man (1980). Si tratta del secondo lungometraggio del regista di Twin Peaks, che dopo il primo film, sperimentale e suggestivo, ritorna ad una storia dai temi classici, con protagonista un giovane Anthony Hopkins e John Hurt. In sala come evento speciale solo il 16, 17 e 18 giugno 2025, ecco la recensione di The Elephant Man di David Lynch.

The Elephant Man, trama del film di David Lynch
Londra, seconda metà dell’Ottocento. A causa di una malattia molto rara che gli ha dato sembianze mostruose, il giovane John Merrick viene esposto come “uomo elefante” nel baraccone di Bytes, un alcolizzato che campa sfruttando la sua mostruosità e lo tratta come un fenomeno da baraccone. È qui che Merrick viene scoperto dal dottor Frederick Treves, un chirurgo del London Hospital che convince Bytes a cederglielo per qualche tempo in modo da poterlo studiare e curare.
Portato in ospedale e presentato a un congresso di scienziati, John si rivela ben presto agli occhi di Treves come un uomo di intelligenza superiore e di animo raffinato e sensibile.
Un’emozionante rappresentazione del nostro rapporto con la diversità. Otto nomination agli Oscar per l’opera seconda di David Lynch, da molti considerato il suo film più doloroso e struggente.
The Elephant Man: recensione del classico firmato David Lynch
Sono un essere umano!
Con The Elephant Man, David Lynch gira il suo secondo lungometraggio, ma il primo a uscire nelle sale italiane, e resta ancora oggi una delle sue opere più accessibili e al tempo stesso più profondamente dirette. Prodotto da Mel Brooks, il film racconta la vera storia di John Merrick, un uomo affetto da gravissime deformità fisiche, vissuto nella Londra vittoriana.
Nonostante l’apparente linearità narrativa, The Elephant Man è attraversato da una malinconica freddezza. La regia di Lynch si allontana dalle esplosioni visionarie e disturbanti che caratterizzeranno i suoi lavori successivi (Velluto Blu, Twin Peaks, Mulholland Drive), ma conserva una potenza visiva e simbolica sorprendente. Il film, girato in un rigoroso bianco e nero, è talmente perfetto da non essere ancora invecchiato.
Per la prima mezz’ora, il corpo di Merrick non viene mostrato direttamente: è solo implicito, celato dietro tende, ombre, luci, per rendere tale lo spettatore di affidarsi all’immaginazione, come Merrick stesso, che può osservare solo la cupola di una cattedrale dalla finestra della sua stanza. Questo uso del ‘non ti mostro, createlo’ è tra gli aspetti più potenti del film, perché ci fa capire quanto abbiamo bisogno di “vedere” per capire, per provare empatia o orrore.
John Hurt, straordinario sotto una complessa protesi, restituisce un Merrick dolcissimo, fragile ma con una sua dignità. Al suo fianco Anthony Hopkins interpreta il dottor Treves, il medico che lo “scopre” e cerca di offrirgli una vita dignitosa. Ma anche quest’uomo suscita qualche dubbio: Treves è animato da autentica compassione o è anch’egli, in fondo, un curioso?
Merrick e lo sguardo. L’uomo elefante è costantemente visto e mostrato: nella baracca del freak show, nella sala conferenze dei medici, nelle visite notturne pagate da ricchi aristocratici. Ma resta sempre “l’altro”, il diverso da osservare, mai davvero integrato. Il film riprende stilemi di storie classiche, ma usando un fatto realmente accaduto da una sua dimensione politica radicale: è una critica alla società che normalizza la mostruosità purché sia addomesticata, che accetta il dolore se può essere raccontato con grazia.
The Elephant Man è un film emotivamente devastante: la poesia emerge nella lettura di Romeo e Giulietta con l’attrice interpretata da Anne Bancroft, il commovente dialogo con la moglie di Treves, la frase “Io non sono un animale! Sono un essere umano!”. E quanta cura nella voce della madre, udibile nel prologo e nell’epilogo: un vento lieve, una memoria che accomuna tutti.
Candidato a otto Oscar, The Elephant Man fu inizialmente rifiutato da molti produttori per la sua storia “non commerciabile”. Eppure, il film ebbe un grande successo, anche commerciale. È un film in cui si percepiscono già elementi che Lynch riprenderà e trasformerà nei suoi lavori successivi: ambienti sospesi chissà dove, una forte immaginazione dell’ordinario e il perenne dubbio tra realtà e sogno.

The Elephant Man, lo sguardo dell’altro
The Elephant Man di David Lynch rovescia fin dal prologo il punto di vista dello spettatore. Non è lo sguardo del mondo normale a dominare la scena, ma quello del protagonista, John Merrick. Il film si apre infatti su un ricordo traumatico: la perdita della madre. Sposta la percezione facendoci identificare in cosa prova l’uomo elefante.
La Londra vittoriana entra in scena solo dopo, come cornice al conflitto dell’essere e apparire. Il dottor Treves è anche lui inizialmente colpito dalla mostruosità fisica di Merrick, ma qualcosa lo costringe a guardare oltre. Inizia così un percorso di scoperta reciproca che assume, lentamente, la forma di una relazione padre-figlio.
Lynch costruisce tutto il film attraverso immagini visionarie, portandoci dentro la mente di Merrick. Per lui, che è recluso nel proprio corpo, l’immaginazione è l’unico strumento per conoscere il mondo. Lo spazio esterno si restringe, ma quello interiore si amplia: la sua stanza d’ospedale dive una piccola cattedrale, emblema di qualcosa di più grande.
L’apertura finale è anche quella che colpisce più direttamente lo spettatore, ormai entrato nella prospettiva di Merrick. E in quegli occhi trova stupore, purezza, meraviglia. Il mostro non è più tale, ma un essere umano che, pur deformato, cerca come chiunque altro un posto dove sentirsi a casa. È qui che Lynch ribalta definitivamente le gerarchie: ciò che sembrava orrore si rivela bellezza, ciò che era mostruoso diventa innocente.
La macchina da presa non giudica, non indulge, non spiega. E in ciò rivela tutta la grandezza di David Lynch: un regista che abita i margini, che rifiuta le etichette, che parla dei sogni rendendoli reali. The Elephant Man è forse l’opera più compiuta e armonica, se la si prende a sè: un film che spoglia l’umano della sua forma più vulnerabile.
A oltre quarant’anni dalla sua uscita, The Elephant Man rimane un’opera intatta e perfetta proprio come alla sua uscita. Un racconto classico in grado di dire qualcosa a chiunque. Una storia che ci ricorda, ancora una volta, la grandiosità di David Lynch.
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