Recensione del film Palma d'Oro Anora

Mickey Madison brilla più di un’Anora in profonda crisi d’identità

Presentato in anteprima al 77º Festival di Cannes, Anora supera le aspettative e riesce a conquistare la prestigiosa Palma d’Oro, spingendo così ulteriormente il film nella stagione dei premi. Successivamente alla 19ª Festa del cinema di Roma, l’8° film di Sean Baker con protagonista Mikey Madison arriva anche nelle sale italiane dal 7 novembre. Ecco di seguito la recensione del film Anora.

Anora, la trama del film vincitore della Palma d’Oro

Autore di Un sogno chiamato Florida e Red Rocket, Sean Baker produce, scrive e dirige Anora, l’ottavo lungometraggio del regista americano. La Palma d’Oro 2024 vede come protagonista Ani, energica ventitreenne che lavora come spogliarellista in uno strip club del quartiere di Brighton Beach. Una notte arriva da lei un nuovo cliente, il giovane Ivan, che inizia a mostrare verso di lei particolare interesse. Scoperto che il ragazzo è anche molto ricco, Ani fiuta l’affare e decide di assecondare le sue richieste per molti soldi in più, ma sotto potrebbe esserci anche dell’altro.

Recensione del film Anora
Mikey Madison e Mark Ejdelstejn in Anora

Anora, la recensione: una Palma d’Oro in crisi d’identità

Mi piace Anora, è un bel nome.

Dopo Anatomia di una caduta di Justine Triet della scorsa edizione, la Palma d’Oro 2024 viene assegnata ad Anora, l’ottavo film del regista statunitense Sean Baker. È dal 2011, con The Tree of Life di Terrence Malick, che la bandiera a stelle e strisce non veniva piazzata al Festival di Cannes, per un film che presenta a suo tempo stelle brillanti e strisce da tirare via. Sebbene comunque si conti un budget di circa 6 milioni$, per l’opera indipendente di Baker arriva così un successo scarsamente pronosticato, per una Palma d’Oro che si arriverebbe tuttavia a definire “di manica larga”.

Nonostante qualche nota di merito (più di forma che di sostanza), Anora va infatti in crisi d’identità proprio come il suo personaggio protagonista, risultando una rom-com senza un’intelligente ironia e soprattutto senza sentimento, ma andiamo con ordine. Partiamo proprio da lei, il personaggio protagonista del film che, almeno dall’inizio della visione, si mostrerebbe come un personaggio complesso, sfaccettato e caratterizzato con vigore. Rimanendo infatti nel primo atto di Anora, Baker immette la sua giovane protagonista nel mondo del mercato del sesso, dell’oggettificazione del corpo femminile visto come pura merce di scambio, attraverso un tatto di affascinante cura e sagacia.

Molte le scene erotiche nel locale, ma anche a casa dello stesso Ivan, con le scene di sesso che vengono troncate di netto e con l’effimero raggiungimento del piacere maschile che viene ridicolizzato sotto il “potere” della dominatrice Ani. La ragazza è determinata, non si fa mettere i piedi in testa nemmeno dalle colleghe più invidiose ed agguerrite, contratta e guida i giochi. Poi, di colpo, arriva l’amore (?) e come sempre giungono anche i guai ma, questa volta, non solo per la protagonista ma anche per la forza del film stesso.

Il rapporto tra Ani e Ivan nasce già claudicante, con la ragazza attratta unicamente dalle risorse economiche del “bamboccione di turno”, non essendo probabilmente il cliente più affascinante e carismatico mai incontrato durante i turni di lavoro. Lasciando momentaneamente a lato un discorso puramente climatico e narrativo, risulta davvero difficile comprendere come la ragazza si affezioni così tanto progressivamente ad Ivan, se non per un disperato bisogno di aggrapparsi alla speranza di poter svoltare (egoisticamente) la sua vita.

Si rimane dunque nel campo della rivalsa sociale ed economica, almeno seguendo questa linea, con la ragazza che diviene così costretta in un certo modo ad innamorarsi del ragazzo. Ani resta però spiazzata quando questa “fantasia” autoindotta, questo immancabile “american dream” (sul quale si tornerà a breve), si spezza davanti ai suoi occhi, arrivando ad un atto conclusivo che cambia radicalmente quella linea di pensiero. Nella crescita del rapporto finale tra Ani e Igor, il campo da gioco non è ormai più quello della rivalsa sociale della favola di Cenerentola o di Pretty Woman, da sex worker a principessa insomma, ma ci si sposta radicalmente su un piano molto più individuale ed introspettivo.

Igor è forse l’unico uomo che le mostra vere attenzioni, non interessato al suo corpo e che la tratta non da oggetto ma da essere umano. Delicata e toccante infatti l’ultima scena del film, dove la ragazza non resiste all’impulso sessuale più per memoria fisica, accorgendosi infatti di come Igor non “approfitti” dell’occasione e continui a guardarla come forse non aveva mai fatto nessuno. Ani distoglie continuamente lo sguardo e cade in un pianto liberatorio.

Ma è proprio qui che arriva il punto critico determinante del film. Perché Ani ha così disperatamente bisogno di qualcuno che le dia attenzione come fa Igor e, soprattutto, chi è Ani? Non lo sappiamo, ed anche sul suo stesso nome c’è un problema d’identità. Non si conosce il passato della ragazza, come e perché sia diventata una spogliarellista, le sue ambizioni, i traumi sicuramente vissuti per i genitori assenti, il rapporto con la sorella e molte altre informazioni che sarebbero state fondamentali per entrare in empatia con il personaggio.

Resta infatti l’impronta di una spogliarellista bellissima e dal carattere forgiato, che per la maggior parte del film oggettifica il suo stesso corpo per soldi e che, per paura di perdere il suo status di “moglie per bene”, rincorre spaesata il bambinone Ivan arrivando ad accettare il compromesso svilente del divorzio (con 10.000$ di buonuscita), quella stessa donna che poche ore prima non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno. In questo modo non può sicuramente uscirne un personaggio coerente e positivo, soprattutto se, solamente nel finale, si cerca di tirare fuori un’introspezione di fatto mai presentata e sprecando così un’occasione in più.

Anora, la recensione: domande sbagliate e risposte peggiori

Dio benedica l’America!

Un finale dunque artificiosamente ed inutilmente lasciato aperto, che cerca di mettere goffamente una toppa sulla complessità psicologica della sua protagonista, ma senza riuscire a trovare una linea ben determinata nell’arco dei 140′. Nessuna linea dritta e molto caos, non solo per quanto concerne la messa in scena, sebbene questo non rappresenti nemmeno il punto critico più ingombrante del film.

Eccezion fatta per l’ultimo atto, l’elefante nella stanza di Anora riguarda principalmente un ambiguo discorso politico, che non può trovare libero sfogo nel volersi immergere nella realtà di minoranze etniche all’interno della variegata società statunitense. Nel film si parla infatti molto di “american dream” e di Dio che dovrebbe benedire l’America, ma i rapporti in gioco sono completamente fuori posto per l’intento.

La fantasia infranta di Ani, ovvero di riuscire ad arrivare ad una posizione socio-economica stabile con fortuna e caparbietà nel proprio lavoro, avrebbe sicuramente meritato ad esempio un’inversione di ruoli. Per le sue origini dall’est Europa, la ragazza avrebbe dovuto infatti iniziare ad intrecciare una relazione con il figlio di un ricco uomo d’affari statunitense, con l’ipocrisia di regole di legge e societarie che avrebbero spezzato quel “sogno”. Una prassi già vista forse, ma “semplice” non è mai sinonimo di “banale” e, sicuramente, sarebbe stato più coerente con la critica ricercata.

In questo modo, invece, la Nazione a stelle e strisce resta invece completamente di sfondo ed anzi dimostra di continuare ad essere l‘immacolato Paese delle opportunità (anche di sposarsi e divorziare senza particolari ostacoli), con celebranti e burocrati sorridenti ed accoglienti. Il rapporto si sposta così unicamente sui russi, ovviamente stereotipati per l’occasione: ricchi, capricciosi e prepotenti.

Senza considerare l’immediato ed immancabile accostamento alle realtà mafiose, anche le minoranze ripetutamente incontrate per locali vengono lasciate a loro stesse, confermando anche in questo caso una mancanza di identità come sopracitato. A ciò si arriva di conseguenza anche ad un mal celato patriottismo e razzismo, ai quali la stessa protagonista non riesce ad uscirne illesa.

Per quanto concerne infatti una ricerca alla forza, dignità e riconoscibilità femminile, in un Concorso con titoli come Parthenope, The Substance e rimanendo in attesa di altri titoli (come ad esempio Emilia Pérez di Jacques Audiard) Anora ne esce con le ossa rotte.

Recensione film Palma d'Oro Anora
Mickey Madison in Anora

Anora, la recensione: Mikey Madison salva il film dal baratro

Anora presenta troppi punti nevralgici, che vanno dalla criticità d’analisi alle scelte anticlimatiche adottate in un film voltato ad un’esplosività che, troppo spesso, tende tuttavia ad incepparsi. Senza considerare una sospensione dell’incredulità ai livelli di guardia in diversi frangenti, è proprio il registro schematico di Anora a non riuscire a convincere.

Fino al punto di svolta narrativo, infatti, il ritmo del film è particolarmente spinto, i tagli sono veloci, la musica è energica e tutto avviene molto in fretta, riuscendo in un certo modo a rappresentare il celebre “colpo di fulmine” nell’intesa tra i due. Poi, con l’ingresso in campo degli scagnozzi russi (ai quali si arriverà a breve) le inquadrature si allungano, i tempi si dilatano ed il resto degli eventi cronologici del film avviene nell’arco di una giornata, quando la prima mezz’ora rappresentava più di una settimana.

Nel momento in cui la trama ed il ritmo dovrebbero esplodere per il ribaltamento degli eventi, le scelte anticlimatiche portano all’esatto contrario, con la fuga di Ivan che non solo impedisce di fatto di accrescere l’incontro/scontro tra i due (è subito un bambino in fuga, nessuna ambiguità), ma sposta fatalmente anche il focus della visione in una caccia all’uomo alquanto discutibile. Le scene concitate di inizio film si trasformano così in semplici urla e qualche arrivo alle mani, per appianarsi in pacati scontri verbali all’arrivo dei tanto temuti genitori e finendo con lo spegnersi definitivamente nel finale, per una visione di 140′ che sicuramente presenta qualche momento di troppo.

Un ritmo quindi che sicuramente non supporta il lato action del film sebbene, come inaugurato ad inizio recensione, il cuore dovrebbe restare quello della c.d. rom-com, ovvero di una ben precisa commedia romantica. Gli elementi per rientrare in questo gruppo di pellicole al suon di “l’amore non è bello se non è litigarello” ci sarebbero tutti: l’incontro e l’allontanamento, il gioco degli equivoci, la complicata ma costante crescita dell’amore nei confronti dell’altro. Eppure, dopo aver sottolineato come il romanticismo tra Ivan e Ani non esista (nato per soldi e finito per soldi, senza considerare la fuga di lui), anche il lato della commedia fatica a strappare risate.

Si tratta infatti di una comicità che non viene supportata da chissà quale idea geniale in sede di sceneggiatura per quanto concerne intreccio narrativo o brillantezza dei dialoghi, ma relegato all’eccentricità di alcuni personaggi. Rientrano in questo “circo etnico” l’anziano titolare del negozio di dolci, il tragicomico personaggio di T’oros, il tanto temuto padre di Ivan ed ovviamente i suoi tirapiedi. Riesce effettivamente a divertire una goffa “aggressione” di Igor ai danni della protagonista, con il collega in crisi per le condizioni del suo naso, ma l’ilarità termina qui.

Oltre però ad una messa in scena di livello (ottimo il passaggio dall’offuscata fotografia al neon dei locali notturni all’opacità del mondo fuori di essi) ed una colonna sonora sul pezzo, a convincere maggiormente in Anora è il contributo del suo cast. La sceneggiatura non offre loro una grossa mano, ma gli interpreti riescono a mostrare la giusta faccia per l’occasione, con un discorso a parte da riservare alla reginetta protagonista.

È sempre doveroso e mai banale sottolineare la professionalità, di un’attrice/attore, nel rendersi disponibile a scene di nudo (sia o meno integrale), specialmente se di giovane età. Successivamente a Scream del 2022 e dopo aver in qualche modo lasciato il segno in C’era una volta a… Hollywood (o meglio mostrato i segni lasciati sul suo volto dal personaggio di Brad Pitt e l’ustione cagionata da quello di Leonardo DiCaprio), Mikey Madison ha la sua prima vera occasione di mostrarsi al grande pubblico.

Tanto sensuale quanto forte e determinata, l’attrice di Los Angeles conferisce al proprio personaggio molta espressività verbale e non verbale, facendo brillare sì il suo nome più di quello di Anora.

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Vittorio Pigini
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Laureato in Giurisprudenza, diplomato in Amministrazione Finanza e Marketing, ma decisamente un Hobbit mancato. Orgogliosamente nerd e da sempre appassionato al mondo cinematografico, con il catartico piacere per la scrittura. Studioso della Settima Arte da autodidatta, con dedizione e soprattutto passione che mi hanno portato a scrivere di cinema e ad avvicinarmi alla regia.