02 Nov 2024 The Substance ricuce a mano e lega assieme il body horror al body positivity
Presentato in anteprima al 77º Festival di Cannes, The Substance è il secondo film scritto e diretto dalla regista francese Coralie Fargeat, alla sua prima volta in lingua inglese. Vincitore del premio per la Miglior Sceneggiatura proprio in occasione del Festival, il film vede come protagonista la coppia Demi Moore – Margaret Qualley, per un horror fantascientifico incentrato sull’accettazione di noi stessi in un mondo di “vetrine”. Ecco di seguito la recensione di The Substance di Coralie Fargeat.
The Substance, la trama del film horror con Demi Moore e Margaret Qualley
Su sceneggiatura della stessa regista, la quale Coralie Fargeat ne cura anche la fase di montaggio oltre ad esserne produttrice, The Substance è un horror di fantascienza che vede come protagonista Elisabeth Sparkle. Alla soglia del suo 50° anniversario, l’ex attrice cinematografica vincitrice di un premio Oscar viene infatti licenziata da un programma di fitness, perché ritenuta dalla produzione inadatta allo spettacolo per questioni anagrafiche.
Con la carriera bruscamente interrotta e non accettando il passaggio del tempo, ad Elisabeth viene proposto di provare il siero denominato The Substance, capace di offrirle una versione migliore di lei. L’ex diva prova così il siero e dal suo corpo ne esce Sue, bellissima ragazza con la metà dei suoi anni, con la quale condivide la stessa ed unica coscienza, nonostante i corpi separati.
La nuova Sue riesce a prelevare lo stesso posto nel programma che spettava poco prima ad Elisabeth, riuscendo ad ottenere sempre più successo per via della sua bellezza. Tuttavia, quella coscienza unica inizia poco a poco a scindersi, con le ferree regole del The Substance che devono essere rispettate per non incorrere in irrimediabili effetti collaterali.
The Substance, la recensione: un abominio del grande cinema body-horror
La gente vuole sempre qualcosa di nuovo.
Ci eravamo lasciati con Titane del 2021, surreale ed orrorifico manifesto identitario che permise alla regista, Julia Ducournau, di essere la prima donna a vincere la Palma d’Oro. Ci riprovò in concorso l’edizione successiva David Cronenberg con Crimes of the future, proprio quel padre del c.d. body-horror tanto omaggiato dall’opera della Ducournau. Passati solo 3 anni da quell’epocale vittoria, un’altra abile regista francese si presenta in concorso al Festival di Cannes sempre con un film horror “muscolare” e dissacrante, non riuscendo tuttavia a replicare l’incredibile risultato del 2021, ma portando comunque a casa il prestigioso premio per la Miglior Sceneggiatura.
Il body-horror continua così ad essere una meravigliosa costante del grande cinema dell’orrore, con The Substance che da questo punto di vista alza ulteriormente il tiro per quanto concerne la trasformazione e distruzione tanto del corpo quanto della mente. Tornano così a Cannes gli echi di quel fondamentale cinema del maestro David Cronenberg, che nel secondo film scritto e diretto da Coralie Fargeat trova un omaggio diretto nel must La Mosca del 1986, con protagonista Jeff Goldblum.
Ma The Substance, dal punto di vista dello studio cinematografico di influenze e riferimenti, va molto oltre le lezioni impartite dal regista di Videodrome e The Brood, assemblando un abominio ed un ammasso di carne tra il grande cinema di questo viscerale genere. Un punto di contatto addirittura più forte si può anche riscontrare, per ovvie ragioni, tra The Substance ed il massacrante capolavoro di Brian Yuzna Society – The Horror, non solo per quanto concerne l’inevitabile accostamento tra gli atti finali dei due film, ma anche e soprattutto per la questione di analisi socio-politica alla quale si arriverà a breve.
Mettendo l’epocale opera del 1989 sul tavolo di questo banchetto tanto disgustoso quanto affascinante, non dimenticando gli arti offerti anche dalla tradizione nipponica nel Gozu di Takashi Miike e nel cinema di Tsukamoto, si arriva con The Substance inevitabilmente anche al cinema “mostruoso”. È la stessa regista che certifica come The elephant man di David Lynch ed il Gobbo di Notre Dame siano stati imprescindibili fonti d’ispirazione per la costruzione artigianale e concettuale dell’orrore di The Substance, il quale si deve rispecchiare naturalmente anche ne Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde.
Una peculiarità, che porta il film di Coaralie Fargeat ad elevarsi, è poi anche la sua componente ironica e sarcastica che, soprattutto in riferimento ai temi trattati, si avvicinerebbe a titoli orbitanti il campo della commedia come per l’esempio di La morte ti fa bella di Robert Zemeckis. Insomma, The Substance tiene viva con eccellenti risultati la tradizione del grande cinema dell’orrore, specialmente nel sottogenere del c.d. body-horror che, forse più degli altri, permette di espandere il proprio sguardo verso analisi sociali, politiche ed antropologiche davvero sconfinate.
The Substance, la recensione: il body chirurgicamente ricucito tra horror e positivity
Hai mai sognato una versione migliore di te?
Il film di Coralie Fargeat è dunque un mostruoso golem che ricuce, in un mortificante ammasso di carne, il meglio della tradizione del cinema horror “muscolare”. Ma qual è la “sostanza” del film della regista francese? Proprio come la strutturale filmografia di Cronenberg, The Substance riesce ad immergersi nella totalizzante analisi offerta grazie, anche e soprattutto, ai suoi elementi fantascientifici.
Il film, infatti, presenta e mantiene le fondamentali regole che devono essere rispettate dalla/e protagonista/e, costruendo nei minimi passaggi un profondo sviluppo scientifico. Attivazione, stabilizzazione, cambio e nutrimento diventano così le fasi cruciali all’interno del film, le quali non solo non vengono mai abbandonate e dimenticate ma, al contrario, si mostrano fondamentali per lo sviluppo narrativo di The Substance.
Un vero e proprio patto scientifico con il Diavolo, che permette tuttavia di far vivere e rivivere la parte migliore di sé, una nuova versione perfetta ed immacolata. Il film di Coralie Fargeat ricuce così assieme il body horror con il body positivity, immergendosi in maniera sempre più viscerale nel delicato tema dell’accettazione di sé stessi. La regista è infatti spietata nel criticare chi, troppo facilmente, tende ad abbandonarsi alla manipolazione dalla dittatura dell’apparenza, creando una sanguinosa favola sul non dimenticarsi di esistere.
Dell’essere umano resteranno tracce di passaggio sulla Terra, come erose lapidi e stelle sulla Walk of Fame, ma il tempo resta pur sempre il vero villain della vita, implacabile ed equo boia di ogni essere vivente. Il film conduce così a dover “salvare la faccia”, ad evitare di sacrificare sé stessi per cercare di bloccare l’inevitabile, cercando invece di aggrapparsi agli stimoli che ogni generazione e tempo è capace di offrire.
Tuttavia, la “celebrazione della decadenza”, l’accettazione della nascita di qualche ruga sul viso e la caduta di qualche capello in più, resta ovviamente un passaggio ed un percorso sempre delicato e difficile da poter condurre. Qui la spietata critica di The Substance si allarga, entrando dalla porta principale in quel mondo che fa dell’apparenza il suo elisir, ovvero quello dello spettacolo. Alla stregua degli scarafaggi, gli agenti dello show business vengono sterminati quando non sono più richiesti dalle logiche di mercato.
In tale cannibalizzazione, il vero villain del film (oltre a noi stessi) è rappresentato dal personaggio di Dennis Quaid, non a caso con il nome di Harvey (Weinstein), atto ad incarnare la cultura machista e di oggettificazione del corpo (principalmente femminile ma non solo). Proprio per questo Society – The Horror resta forse il punto di contatto più forte, mettendo alla gogna una cultura mediatica tossica e malsana che porta all’autodistruzione, a trasformare le proprie immagini su poster, social o riviste in dei veri e propri “ritratti di Dorian Gray”.
The Substance, la recensione: le pulsioni di un cinema energico e distruttivo
Il pubblico impazzirà.
Si precisa, innanzitutto, come il secondo film scritto e diretto da Coralie Fargeat non sia la versione perfetta ammirata durante la visione. Restano infatti alcuni punti oscuri circa lo sviluppo narrativo del film, non facendo però riferimento in questo caso alla misteriosa azienda/organizzazione che si cela dietro la formidabile sostanza, con la regista che ne offre i giusti e misurati elementi.
Qualche minuto dei 140 risulta probabilmente di troppo sottolineando, inoltre, non solo un certo didascalismo nel portare il viscerale tema sociale sullo schermo, ma anche una certa ridondanza nel spingere spesso sulle stesse e ripetute immagini. Si tratta tuttavia di imperfezioni che non riescono a minare l’importanza artistica di un film come The Substance il quale, oltre alla sua fondamentale e precisa critica sociale, presenta una visione estasiante. Si vuole così evidenziare l’eccezionale cifra stilistica di Coralie Fargeat, la quale compone il suo film attraverso un esercizio di montaggio e di costruzione dell’inquadratura davvero esplosivo.
Una visione infatti estremamente dinamica, frenetica, che lascia davvero poco tempo ad ogni inquadratura, andando così a fondersi con il concitante comparto sonoro elaborato da Raffertie. Tornando poi agli schiaffi restituiti allo spettatore dalle ardite e vigorose immagini a schermo, la regista tende ad attaccarsi morbosamente ai corpi dei suoi personaggi arrivando ad ostruire lo spazio.
Le protagoniste si appiccicano a terra, sulle pareti, riempiono l’inquadratura con le proprie forme, permettendo così di evidenziare quanto un corpo possa essere tanto armonioso e mozzafiato quanto sgradevole e disgustoso, specialmente nell’operazione attuata con il personaggio di Dennis Quaid. Entrando però nel campo recitativo, non ci si può esimere dall’applaudire la prova della coppia protagonista.
Demi Moore e Margaret Qualley danno ovviamente spettacolo per via della loro bellezza mozzafiato (anche deturpata), sempre ulteriore elemento di professionalità e dedizione nel concedersi a scene di nudo integrale, ma riescono ad andare ben oltre. Le due dive sono infatti perfettamente collegate, in espressività e movenze, quando la loro coscienza è ancora integra, mentre entrano in furioso contrasto una volta che la loro identità inizia a scindersi. La scelta delle due attrici, inoltre, prescinde dallo spazio filmico ed arriva anche nel campo del metacinema.
Il personaggio di Elisabeth si sposerebbe infatti perfettamente con la diva Demi Moore, indimenticabile sex symbol degli anni ’90 per film come Ghost – Fantasma o Striptease, la quale non riesce tuttavia a tornare ai fasti di quel tempo ormai da decenni ed avendo forse trovato in The Substance una nuova formidabile giovinezza. Allo stesso modo ma in maniera speculare, Sue è il vero alter ego di Margaret Qualley, dalla bellezza abbagliante ma che deve ancora essere scoperta appieno per il suo talento, avendo collaborato con grandi registi come Tarantino o Yorgos Lanthimos solo con prove secondarie/terziarie e che fortunatamente sta conquistando la notorietà anche per prove come nell’ultimo Drive-Away Dolls Ethan Coen.
In conclusione, con il suo secondo film The Substance la regista Coralie Fargeat entra, a gamba tesa, nella cerchia degli autori ed autrici più intriganti ed affascinanti del panorama horror. Un viscerale e spietato monito sull’accettazione di sé stessi, contro la dittatura dell’apparenza impartita da una società malsana e decadente, che sfrutta la “bruttezza” del body-horror per minare l’effimero significato del concetto di “bellezza”.
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