
15 Gen 2025 I sette samurai è un manuale di grande cinema, in cerca di pace e speranza tra le ceneri della Guerra
Tra i capolavori del maestro nipponico Akira Kurosawa, I sette samurai è una delle pietre miliari della storia del grande cinema. Il film del 1954 con Takashi Shimura e Toshirō Mifune non ha infatti “solamente” segnato la sua epoca, ma continua ancora oggi a 70 anni dalla sua uscita ad insegnare i magici segreti della Settima Arte. Ecco di seguito la recensione di I sette samurai, il capolavoro di Akira Kurosawa.
I sette samurai, la trama del film di Akira Kurosawa
Su idea dello stesso regista, che ne scrive la sceneggiatura assieme a Shinobu Hashimoto e Hideo Oguni, I sette samurai è il 15° film scritto e diretto da Akira Kurosawa. Ambientata nel Giappone alla fine del XVI secolo, la storia è quello di un piccolo villaggio di contadini tormentato dalle incursioni di un gruppo di predoni in cerca di cibo.
Ormai stanchi dei soprusi e delle privazioni del loro raccolto, i contadini decidono di cercare aiuto per sconfiggere una volta per tutte gli assalitori. Riusciranno a trovare il supporto di sette eccentrici ed abili guerrieri, pronti a sacrificarsi per la causa, ma la guerra porterà con sé le sue inevitabili perdite.

I sette samurai, la recensione: cercare pace e speranza tra le ceneri della Guerra
Chi difende tutti difende se stesso, chi pensa solo a se stesso si distrugge.
Quando si parla di un’opera magna come quella de I sette samurai, ci si riferisce inevitabilmente ad uno dei film più importanti della Settima Arte. Ciò non solo grazie alla sua perizia tecnica, al limite della perfezione, ma anche per aver messo a segno scene e personaggi che hanno di fatto cambiato la storia del cinema. “Storia” è infatti la parola d’ordine di uno dei grandi capolavori del genio di Akira Kurosawa, per un film che fa del suo racconto storico – attualizzato alla modernità – la sua arma vincente.
Tra gli svariati ed iconici momenti del film, uno in particolare deve rapire particolarmente l’attenzione. Ci si riferisce all’entrata in scena dello splendido Kambei di Takashi Shimura: il samurai si taglia i capelli per vestirsi da monaco, al fine di potersi meglio avvicinare ad un folle che ha rapito un bambino e poterlo salvare dal pericolo. Non si tratta di un’azione che può passare inosservata, raccogliendo in un certo senso il cuore “spoglio” del film. I capelli sono infatti essenziali e fondamentali per l’onore di un samurai e, radersi a zero, comporta un potente gesto simbolico, soprattutto se si aggiunge la perdita del costume da guerriero in virtù di uno da monaco.
Con I sette samurai ci troviamo nel 1954, non sono nemmeno passati 10 anni da quando le tragiche vicende di Hiroshima e Nagasaki hanno traumatizzato non solo il Paese del Sol Levante ma tutto il mondo (a quanto pare non abbastanza). Che sia attraverso o meno il film in costume, l’arte di Kurosawa non riesce a prescindere dalla condizione socio-politica del Giappone post Seconda Guerra Mondiale, con I sette samurai che non fanno eccezione. Il regista narra di un Paese distrutto, rapportandolo all’epoca feudale e decidendo di spogliare il film di qualsiasi “superflua” epicità.
Non mitologia, non spiritualismo, in I sette samurai a vincere è il pragmatismo, il lottare per il cibo, per il riso, per non perdere la propria casa e non per gloria o ricchezze di alcun tipo. <<Alzati, così non si può parlare>> invita sempre il personaggio di Kambei, sottolineando la mancanza di dialogo nella sottomissione e rendendo eroi dei guerrieri rinnegati e senza padrone. Il nuovo “onore” diventa quello della difesa degli umili e degli indifesi, cercando di scendere a compromessi per difendere un metaforico villaggio dall’istinto prevaricatore degli sciacalli predoni.
Con più di un occhio di speranza in particolare rivolto ai giovani, ai “bambini”, Kurosawa scatta una fotografia del suo presente, mostrando gli effetti devastanti del conflitto bellico ed incoraggiando a trovare tutti insieme una forma di conforto. Specialmente in questo I sette samurai, il maestro nipponico riesce a mostrare esaustivamente gli effetti della guerra, la quale non porta ad alcuna vittoria, ma solo a sopravvissuti e a corpi conservati sotto la terra.
I sette samurai, la recensione: un manuale di grande cinema e di cinema grande
Se offri la mano al lupo finisci sbranato.
In uno dei film manifesto della prestigiosa carriera di Akira Kurosawa, quindi, è possibile far ricongiungere il film d’ambientazione storica alla drammatica attualità del Giappone, mostrare una visione pacifista e di speranza in un racconto di guerra e morte. La pragmatica alta regia dell’autore crea così un’opera artisticamente enorme per la mitologia della Settima Arte che, anche e soprattutto per il suo stile tecnico e di costruzione del racconto, comparteciperà alla nascita del western moderno e non solo.
Al di là dei remake effettivi (I magnifici sette di John Sturges) e non ufficiali (A bug’s life della Pixar), I sette samurai ha di fatto inaugurato un vero e proprio filone narrativo che può andare anche oltre i riferimenti più immediati. In The Avengers del 2012 diretto da Joss Whedon, Nick Fury e il suo “villaggio” SHIELD va alla ricerca di formidabili guerrieri che possano contrastare la minaccia predatrice di Loki che vuole conquistare la Terra. Nick Fury, Iron Man, Captain America, Hulk, Thor, Vedova Nera ed Occhio di Falco, 7 eroi di una coincidenza che coincidenza non è, per certificare come i meriti de I sette samurai di Akira Kurosawa possa andare ben oltre i più immediati accostamenti.
Ma quali sono questi “meriti” dell’opera? Oltre al plauso per la sceneggiatura, che riesce ad imprimere al suo alto e profano racconto una sacralità liturgica non indifferente, il film rapisce l’occhio specialmente per la sua straordinaria rappresentazione scenica. Kurosawa si impose nel ricostruire l’intero villaggio in esterni e non in studio, potendo anche contare sul meraviglioso paesaggio della penisola di Izu. La “storia” del precedente paragrafo rinviene anche in queste determinate scelte, puntando maggiormente sulla semplicità della rievocazione storica.
Edifici, usi e costumi riescono perfettamente a ricreare la visione da dramma jidai-geki, con Kurosawa che non enfatizza e non rende appariscente la rievocazione storica in sé, trasformando un film d’epoca ed in costume con un elevato tasso di silente verosimiglianza da apparire quasi in forma documentaristica. Un dramma che, tuttavia, riesce a districarsi ottimamente nelle 3 ore e 30 di visione anche e soprattutto grazie alla sua componente action, particolarmente avanguardistica per gli anni ’50. Sfruttando un montaggio eccezionale (curato personalmente dallo stesso regista), I sette samurai porta in scena un racconto avvincente che gode infatti di spettacolari combattimenti tra katane, lance, arco e frecce, con l’aggiunta selvaggia e pericolosamente ardita di cavalli per la battaglia.
Il ritmo viene poi sostenuto da una colonna sonora determinante, con la musica che per tutto il film ricopre un ruolo fisso, che sia quella sprigionata dal corso di un ruscello o la carica imbastita dai tamburi della guerra. Per quanto concerne poi l’emozionante fotografia in bianco e nero di Asakazu Nakai e la messa in scena davvero poco da aggiungere, con Kurosawa che riesce sempre a centralizzare l’inquadratura, che sia statica o dinamica, attraverso un formidabile e geometrico gioco di spazi e prospettive.
Dramma, action, epica “desaturata”, ma in I sette samurai c’è spazio anche per un gran tasso di ironia. Una delle toccate geniali dell’autore sta proprio nel coccolare e schiaffeggiare i suoi protagonisti. I samurai sono ormai ronin, senza padrone e senza più un onore da difendere; i contadini sono bugiardi e pronti a sfruttare ogni occasione a loro vantaggio. Eppure Kurosawa li mette in scena con un’ironia ed un’empatia travolgente, rendendo impossibile per il pubblico non fare il tifo per i perdenti e gli oppressi.
Ogni eroe viene caratterizzato a dovere, con un ruolo nello scacchiere che sia prettamente fisico (chi abile con l’arco chi con la katana) o anche e soprattutto per il suo carisma, come per il caso di Heihachi chiamato principalmente a tenere alto l’umore. Per quanto riguarda lo straordinario cast, inoltre, Akira Kurosawa decide di puntare sul ricomporre (ancora ironicamente) i suoi Avengers, puntando su formidabili interpreti che hanno contribuito a rendere grande la sua filmografia.
A prevalere innanzitutto come vero protagonista sarebbe il Kambei di Takashi Shimura, uno dei volti più imprescindibili per il grande cinema giapponese che, fino a questo momento e tolto il suo esordio in Elegia di Osaka di Kenji Mizoguchi, ha sempre e solo collaborato con Kurosawa. Ma tra i “cani randagi” dell’imperatore cinematografico nipponico, non può che spiccare l’estro di Toshiro Mifune.
Tra guerrieri saggi, valorosi e abili con la spada, il personaggio assegnato di Kikuchiyo è una vera e propria scheggia impazzita, nonché cuore pulsante del film. Figlio di contadini ma travestito da samurai, Mifune riesce a passare da spalla comica a grande valenza drammatica con innaturale abilità, specialmente nel momento in cui sputa disprezzo (direttamente in camera) verso la categoria dei Samurai o quando ricorda il tragico momento in cui perse la sua famiglia.
In conclusione, la storia secolare della Settima Arte è riuscita a regalare perle di inestimabile valore artistico, tecnico ed umano. Se mai possa esistere il concetto di “perfezione” in un mondo che resta inevitabilmente quello dell’Arte, I sette samurai è tra gli eletti titoli che maggiormente si potrebbe avvicinare ad esso. Il film è un manuale di grande cinema, tra le opere più celebri e rappresentative di uno degli autori più determinanti di sempre.
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