
15 Gen 2025 Amerikatsi, una storia di libertà e artefatta speranza
In concorso agli Oscar 2024 come Miglior Film Internazionale in rappresentanza dell’Armenia, Amerikatsi arriva finalmente nelle sale italiane il 16 gennaio 2025 distribuito da Cineclub Internazionale. Ecco la recensione in anteprima di Amerikatsi di Michael A. Goorjian, una storia personale sull’importanza della libertà e della speranza.

Amerikatsi, la trama del film di Michael A. Goorjian
La vicenda segue Charlie Bakhchinyan, un armeno scampato al genocidio del 1915 e che dopo trent’anni trascorsi negli Stati Uniti torna nella sua terra natale in cerca di una nuova vita. Accolto dalla gentilezza di Sona (Nelli Uvarova) e dalle buone speranze del regime comunista di Stalin, viene incarcerato subito per un’accusa di propaganda capitalista. La sua unica colpa? Aver indossato una cravatta a pois.
Charlie si ritrova così in una cella da cui, grazie a una breccia aperta da un terremoto, può osservare la casa di una guardia carceraria, un artista represso e frustrato. Tigran è, attraverso la finestra da cui Charlie lo osserva, il paradosso della vita sotto un regime totalitario: anche coloro che sembrano avere potere sono prigionieri di un sistema che annienta l’individuo.
Amerikatsi, la recensione del film di Michael A. Goorjian
Michael A. Goorjian, che qui interpreta il protagonista Charlie, affronta il tema dell’identità armena andando oltre il genocidio avvenuto nel 1915 e con cui si apre il film. In Amerikatsi, l’attenzione si concentra sulle conseguenze a lungo termine della diaspora e della vita sotto il regima comunista di Stalin. Le dinamiche psicologiche e sociali frutto della repressione stalinista diventano così fulcro e messaggio, mettendo in scena il personaggio di Tigran (Hovik Keuchkerian), la guardia carceraria, come esempio di un Paese imperialista che soffocava talenti artistici a favore di una macchina inumana.
Lo sguardo di Charlie attraverso la finestra – e per una scena, sul cortile tra i due edifici – tra la cella e la casa di Tigran è il punto di contatto tra due mondi apparentemente opposti, ma oppressi allo stesso modo. Attraverso una breccia in un muro di mattoni, Charlie diventa amico di Tigran e colui che lo aiuta a riscoprire se stesso. Da Il pianista di Roman Polanski a La zona d’interesse di Jonathan Glazer (in sala dal 26-29 gennaio), la dinamica ricalcata per tutto l’atto centrale del film mantiene un’ottima cifra stilistica passando da toni umoristici a drammatici, creando una propria autonomia narrativa attorno al personaggio di Charlie.

Amerikatsi, la recensione: gli occhi sulla speranza fittizia della vita
Amerikatsi porta a momenti di grande drammaticità e di umorismo attivo, che a tratti sfocia nella caricatura – è con questo che ricorda molto anche Jojo Rabbit di Taika Waititi. I gerarchi e i direttori del penitenziario hanno l’aria grottesca, che si divertono a pensare che il prigioniero che mangia guardando fuori dalla finestra sia diventato pazzo.
Dall’altro lato, il film tende a trascurare la crudezza delle sofferenze subite da Charlie e dagli altri prigionieri, riducendo repentinamente la pratica della “ciambella” – Puchkin -, secondo la quale ogni venerdì i prigionieri venivano picchiati singolarmente, così come l’approfondimento del lato psicologico delle guardie che dirigono la prigione, costrette a vessare i propri connazionali per obbedire agli ordini del regime, e visti solo a scacciare gli uccelli Gonari, che sembrano avere più caratterizzazione di loro. La narrazione rimane focalizzata sulla prospettiva di Charlie, con una visione che, per costruzione del personaggio, evidenzia la forte speranza anche nei momenti che dovrebbero essere più drammatici.
Amerikatsi emerge quindi come un’opera feel-good; Goorjian dirige con abilità tenendo a margine per buona parte i momenti di atrocità che renderebbero altrimenti troppo reale – troppo? – la rappresentazione, a favore di momenti “comfort” all’interno di una prigione che cade a pezzi con un terremoto.
Michael A. Goorjian, in quanto artista che scava nelle profondità storiche e personali della sua famiglia e del suo Paese, si trova a osservarle e studiarle a distanza dedicando l’opera al nonno, un sopravvissuto al genocidio armeno del 1915, trasformando così la narrazione in una toccante riconquista simbolica di quelle parti della sua identità – proprio come quelle di Charlie – che erano state sottratte prima che nascesse. Amerikatsi si rivela quindi come un film che riempie di una nostalgia dolceamara e ricorda di come la sensibilità storica non deve andare mai dimenticata.
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