
14 Set 2024 Sonatine compie 31 anni: mafia e morte nel cinema di Takeshi Kitano
Il 2024 segna il 31° anniversario dall’uscita di “Sonatine”, una delle opere più rappresentative del regista e attore giapponese Takeshi Kitano. Appronfodiamo insieme questa meravigliosa parabola di vita e morte.
Presentato per la prima volta nel 1993, questo film è un tassello fondamentale nella carriera di Beat Takeshi (presente alla 81esima Mostra del Cinema di Venezia con Broken Rage) continuando a esercitare un forte impatto sul cinema contemporaneo. Con Sonatine, Kitano conferma la sua capacità di creare un cinema che fonde con naturalezza estetiche contrastanti, oscillando tra la violenza brutale e un lirismo poetico, tra il silenzio dell’attesa e l’esplosione improvvisa dell’azione. Ma dietro la sua apparente semplicità (e un forte amore per Kinji Fukasaku) si nascondono temi profondi legati al senso della vita, alla fatalità della morte e al rapporto controverso con la Yakuza, che Kitano esplora con una sensibilità unica.
Murakawa, un membro esperto della Yakuza, è stanco della vita criminale e cerca una via di fuga dal circolo di violenza che lo circonda. Viene inviato insieme alla sua banda a Okinawa per mediare in una guerra tra bande locali, ma scopre presto che la missione è una trappola orchestrata dai suoi superiori per eliminarlo. Durante il conflitto, Murakawa e il suo gruppo si rifugiano in una casa sulla spiaggia, portando la narrazione in una fase meditativa, con momenti di spensieratezza e giochi infantili che si mescolano a una costante sensazione di minaccia incombente.
L’azione si dispiega lentamente, oscillando tra momenti di stallo e improvvise esplosioni di violenza, caratteristiche distintive dello stile registico di Kitano. L’estetica di Sonatine è definita da lunghe sequenze di silenzio e inazione, che costruiscono una tensione costante, una quiete prima della tempesta.
Murakawa è la figura centrale nel metauniverso Kitaniano, incarnando il gangster disilluso e tormentato, stanco del mondo e della sua stessa esistenza. A differenza dei tipici protagonisti della Yakuza, Murakawa non è motivato dall’ambizione o dal desiderio di potere, bensì dalla stanchezza e da un senso di fatalismo. La sua apatia verso la vita criminale e la sua mancanza di direzione lo rendono un personaggio profondamente tragico, che sembra percepire la sua fine imminente come inevitabile. Nelle sue interazioni con gli altri membri della banda, Murakawa appare distante, quasi assente. La sua espressione rimane imperturbabile, con l’ormai celebre sguardo impassibile che Kitano adotta nel suo ruolo. In Murakawa si percepisce un senso di rassegnazione, un senso di inevitabilità che avvolge l’intera trama del film. Il suo comportamento suggerisce che egli ha già accettato la propria sorte, consapevole che la vita nella Yakuza è un percorso segnato, in cui non esiste via di fuga. Murakawa non si aggrappa a speranze di redenzione o a sogni di una vita diversa. Anche nei momenti di pausa e serenità, i giochi infantili che condivide con i suoi compagni sulla spiaggia sembrano essere solo una parentesi temporanea nella sua esistenza violenta. Questi momenti di leggerezza sono come un sogno fragile che non può durare. Dietro ogni sorriso si nasconde l’ombra della morte, un tema che Kitano esplora con una delicatezza quasi poetica.
Per capire Sonatine, è fondamentale considerare il rapporto di Kitano con il mondo della Yakuza, sia come regista sia come figura pubblica in Giappone. In alcune interviste, Kitano ha discusso di come la Yakuza, nonostante la sua violenza, rappresenti una sorta di microcosmo della società giapponese, con le sue rigide regole, i codici d’onore e l’inevitabilità del tradimento (oh, che meravigliosa trilogia che è Outrage).
Kitano, in effetti, si distanzia dalla rappresentazione romantica della Yakuza che spesso domina il cinema giapponese. In Sonatine, e in altre sue opere come Violent Cop o Hana-Bi, i personaggi della Yakuza non sono eroi epici o criminali carismatici, ma uomini consumati dalla violenza, dalla solitudine e dall’assurdità della loro condizione. Murakawa, in particolare, incarna questa disillusione. Non cerca vendetta o gloria, e non sembra nemmeno più credere nei codici d’onore che un tempo avevano forse guidato le sue azioni. Kitano/Murakawa offre una visione molto più nichilista della Yakuza: è un mondo da cui non si può uscire, una trappola che inghiotte i suoi membri, destinati a soccombere sotto il peso di un sistema che lo controlla e lo definisce.
Uno degli aspetti più iconici di Sonatine è l’uso del silenzio e della semplicità narrativa per creare una tensione latente. Kitano evita l’uso di dialoghi esplicativi o di sequenze d’azione esagerate, preferendo costruire il dramma attraverso lunghi silenzi, sguardi e pause. Questo crea un’atmosfera di attesa, come se qualcosa di terribile potesse accadere in ogni momento, anche durante le scene più banali. Le inquadrature statiche e l’assenza di musica durante molte delle scene contribuiscono a un senso di isolamento, e anche quando i personaggi si rilassano la cinepresa di Kitano rimane distante, quasi a sottolineare l’impossibilità di fuggire dalla realtà. È come se questi personaggi fossero imprigionati non solo nella loro vita di crimine, ma anche nella loro stessa esistenza, incapaci di scappare dalle proprie scelte e dal proprio destino.
Il tema della morte pervade Sonatine fin dalle prime scene, non solo come destino inevitabile per i personaggi coinvolti, ma come un elemento filosofico più ampio. Kitano usa la morte non come un momento catartico o drammatico, ma come parte integrante della vita. L’approccio quasi distaccato con cui vengono affrontate le uccisioni nel film è emblematico della visione del regista sulla mortalità: la morte è un evento silenzioso, spesso inaspettato e, soprattutto, inevitabile. In Sonatine, la morte non è glorificata né evitata con atti eroici. Piuttosto, Kitano la presenta come parte integrante dell’esistenza, ineluttabile e a tratti assurda, ma mai melodrammatica. Le esplosioni di violenza sono rapide, brutali, e svaniscono rapidamente nella quotidianità, senza che i personaggi mostrino segni di trauma o stupore.
Il “mono no aware”, ovvero la sensibilità verso l’effimero e l’accettazione della transitorietà della vita è il modo con cui Murakawa affronta i suoi momenti di pausa, mentre la sua banda gioca e scherza, consapevoli del fatto che quel momento di serenità è destinato a finire presto. Il contrasto tra i giochi infantili e la violenza che li circonda riflette la fragilità della vita stessa. La serenità che i personaggi sperimentano è effimera, come un sogno fugace prima dell’inevitabile risveglio nella realtà brutale della loro esistenza. La morte, ci dice Kitano, la morte, non ha necessariamente un significato profondo. È, come la vita, semplicemente parte del ciclo, un atto conclusivo che non richiede enfasi o interpretazione morale.
A distanza di 31 anni, Sonatine continua a essere una delle opere più influenti di Takeshi Kitano e una pietra miliare nel cinema giapponese. Il film rappresenta non solo un ritratto disincantato del mondo della Yakuza, ma anche una riflessione profonda sulla morte, la fatalità e il senso della vita. Noi de I Soliti Cinefili vi invitiamo caldamente a (ri)vedere un cult che, con la sua estetica minimalista e il suo uso del silenzio e del ritmo lento, vi meraviglierà dall’inizio alla fine, portandovi ad una riflessione esistenziale sui momenti della vostra vita.