
03 Set 2024 In Queer si esalta la dipendenza per l’estetica di Guadagnino
Presentato in Concorso all’81a edizione del Festival del Cinema di Venezia, Queer è il 9° film diretto da Luca Guadagnino, tratto dall’omonimo romanzo di William S. Burroughs. Con protagonista un totalizzante Daniel Craig, il film è un viaggio onirico ed allucinato alla riscoperta della propria identità (sessuale) e sulla capacità di poter stabilire un legame intimo con il prossimo e soprattutto con sé stessi. Di seguito la recensione di Queer con Daniel Craig.
Queer, la trama del film di Luca Guadagnino con Daniel Craig
Su sceneggiatura di Justin Kuritzkes, compagno della regista Celine Song e già collaboratore di Luca Guadagnino nel precedente Challengers, Queer è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di William S. Burroughs. La trama del film è ambientata nel 1950, Città del Messico, dove un americano 50enne di nome William Lee viene espatriato a causa della sua dipendenza.
Una vita di eccessi quella di Lee, tra droga, alcol ed avventure notturne con giovani uomini, finché non farà la conoscenza di Eugene. Giovane studente nuovo in città, questo viene immediatamente avvicinato da Lee a causa del suo affascinante aspetto, facendo nascere una sorte di rapporto d’amore più o meno ricambiato.
Queer, la recensione: abbandonarsi ad abbracciare il proprio corpo
La prima frase è: l’omosessualità è la copertura assolutamente migliore che un agente abbia mai avuto.
Durante la visione di Queer resta veramente difficile non fare accostamenti con un altro grande titolo, molto analogo sotto diversi aspetti, ovvero Il pasto nudo diretto da David Cronenberg nel 1991. Le fonti dalle quali i film sono tratti si riconducono già allo stesso autore Burroughs, le dinamiche affrontate, il cognome dello stesso protagonista, per non contare continui omaggi narrativi e visivi all’opera del maestro del body-horror, specialmente per un “gioco” fondamentale al quale si arriverà a breve.
Addirittura, in Queer è presente anche una certa relazione proprio con il sottogenere che ha partorito perle di inestimabile valore, come La Mosca e Videodrome ad esempio, per un discorso legato non soltanto all’identità sessuale ma proprio all’accettazione della propria condizione. Quasi scherzo del destino come Povere Creature!, vincitore del Leone d’Oro della scorsa edizione del Festival ed un altro titolo presente al Concorso del 2024 (El Jockey) condividano diversi punti in comune, per degli smarriti personaggi protagonisti chiamati ad intraprendere un viaggio per affermare la propria condizione.
Un viaggio onirico attraverso una strada grottesca e surreale che mette in primo piano la costruzione e destrutturazione del corpo, smarrirsi per ritrovarsi. Queer presenta il suo protagonista, Lee, arrivato ad una condizione di eccessi e dipendenze in virtù di un passato trascorso a fuggire dalla sua natura, alla negazione di sé, anche e soprattutto per via del suo rapporto con la figura materna.
Una volta adulto e “maturo” Lee capisce che deve solo godersi la vita nel soddisfare i propri impulsi, passando da un vizio all’altro senza condizione di causa e senza accorgersi di come quella vita lo stia lentamente uccidendo. Le cose iniziano a cambiare con l’arrivo di Allerton, verso il quale Lee perde la proverbiale sicurezza che lo ha spinto avanti in tutti questi anni ed iniziando a provare qualcosa di diverso. Lee si sta smarrendo, non riesce a capire cosa provi per il ragazzo e cosa lo stesso provi per lui, anche a causa del comportamento mutabile del giovane nei suoi confronti.
Torna così a galla la sua inadeguatezza con la propria condizione, il proprio corpo, finendo con il ritrovarsi disincarnato, invisibile a sé stesso. Quei vizi che gli hanno annebbiato il pensiero fino a quel momento prendono la forma di un serpente che lo stritola, di una prigione della mente dalla quale cerca di evadere per rifugiarsi, con la telepatia, in quella degli altri. Lee è in cerca di un aiuto e servirà la magia di una vera e propria strega per riuscire a risolvere il suo enigma, ritrovarsi dopo essersi smarriti.
La risposta si troverà nella pozione magica all’interno del calderone alla fine dell’arcobaleno, con quel viaggio selvaggio ed onirico al termine del quale Lee potrà specchiare su sé stesso ed arrivare alla conclusione che l’omosessualità non è una semplice “copertura”, ma la sua natura, uscendo così da quella dipendenza che gli distruggeva corpo e mente. In tal senso, a dir poco stupefacente la parte del sogno ad occhi aperti vissuto dal personaggio interpretato da Craig, con il metaforico abbraccio oltre lo spazio-tempo che rimane con forza impresso nella mente.
In questo frangente Lee riesce ad arrivare anche alla conclusione sulla sua turbolenta relazione, riuscendo a tornare con i “piedi per terra”. Il protagonista fa così leva anche sulla rinnovata condizione dello stesso Allerton, in tangibile confusione circa la sua identità, e che costituiva per lo stesso Lee un semplice “impulso” da soddisfare. Tornando ad omaggiare a chiara voce il film di Cronenberg, nel finale di Queer Guadagnino fa uccidere al suo protagonista proprio quella parte “ludica”, quello sfogo degli impulsi bestiali e passionali, sebbene questi non possano sparire dal suo cuore, evocando un caldo ricordo che si manterrà fino alla fine.

La dipendenza per la ricerca della perfezione estetica
La dipendenza del personaggio protagonista agli eccessi ed al piacere, viene presa e trasformata da Guadagnino in una vera e propria dipendenza per l’estetica della messa in scena. Il piacere verso il sesso, la carne e i fumi dell’alcol viene restituita su schermo attraverso una palette cromatica particolarmente calda ed avvolgente, privilegiando sabbiose tonalità per una resa fotografica stupefacente dello stretto collaboratore di Guadagnino Sayombhu Mukdeeprom (Chiamami col tuo nome, Suspiria).
Nominando autori che hanno già lavorato con il regista siciliano, habitue del suo cinema è ormai anche l’elettrizzante duo alla colonna sonora formato da Trent Reznor e Atticus Ross che, dopo Bones and all e Challengers, continua a non sbagliare un colpo. Sebbene il montaggio di Marco Costa renderebbe vere le indiscrezioni circa un ingente taglio di minutaggio del film, la visione di Queer scorre senza intoppi, con il regista estremamente abile a scegliere gli adeguati momenti su cui soffermarsi, regalando così anche diverse sequenze meravigliosamente immaginifiche.
Tra queste rientrano sicuramente tutte le trovate oniriche e surreali, esaltate inoltre da un grande utilizzo degli effetti speciali, ma anche nel realismo della messa in scena Guadagnino importa una ricerca dell’estetica importante che passa attraverso i suoi movimenti di macchina. Questi ultimi vanno anche e soprattutto a scolpire i copri di due affascinanti e talentuosi protagonisti che, nonostante Drew Starkey (Hellraiser) riesca a portarsi a casa una buona interpretazione, la scena viene rapita da un totalizzante Daniel Craig.
Sebbene sia attivo nel mondo della recitazione cinematografica dal 1992, l’attore britannico riesce ad ottenere una particolare nomea nel grande pubblico “solo” recentemente grazie al personaggio di 007, collezionando negli ultimi anni presenza in film come La truffa dei Logan ed i 2 capitoli di Knives Out nei panni dell’investigatore Benoît Blanc. Si tratta senza ombra di dubbio della migliore interpretazione di Craig nella sua carriera, il quale si abbandona a Guadagnino e conferisce anima e corpo al progetto, riscuotendo preziosi risultati.
Con il suo ultimo film, il regista candidato premio Oscar al Miglior Film per Chiamami col tuo nome realizza un’opera imponente ed odisseica. Un viaggio onirico e di perdizione per ritrovare sé stessi, messo in scena da Guadagnino con una ricerca della perfezione stilistica davvero ammirevole e che può contare sulla prova straordinaria del Daniel Craig protagonista.
★ ★ ★ ★ ½
