Recensione film La stanza accanto di Pedro Almodovar

La stanza accanto è una senile trattazione del fine vita con interpreti ammalianti

Dopo il precedente Madres paralelas con Penelope Cruz, l’acclamato regista spagnolo Pedro Almodovar torna al Festival di Venezia con La stanza accanto, suo primo film in lingua inglese. Il 24° film dell’autore di Tutto su mia madre e Volver si mostra come un kammerspiel da camera dove, a dominare, sono le prove delle due splendide protagoniste. Di seguito la recensione di La stanza accanto, con Tilda Swinton e Julianne Moore. Si avvicina il “canto del cigno”?

La stanza accanto, la trama del film di Pedro Almodovar con Tilda Swinton e Julianne Moore

Con lo stesso Almodovar autore anche della sceneggiatura del suo ultimo film, presentato in Concorso all’81a edizione del Festival del Cinema di Venezia, La stanza accanto è tratto dal romanzo Attraverso la vita di Sigrid Nunez. La storia del film segue due amiche intime, anzi, intimissime. Ingrid è una scrittrice affermata, la quale viene a sapere per caso che Martha, sua amica reporter di guerra ai tempi del lavoro per una stessa rivista, sta affrontando la terapia per un cancro maligno.

Nonostante le circostanze non siano delle migliori, le due amiche riescono a ritrovarsi dopo anni di allontanamento dalle reciproche vite. La forte Martha, tuttavia, sta per chiedere all’amica un favore sconcertante, al quale Ingrid non può tirarsi indietro: aiutare la sua amica a morire con dignità.

La stanza accanto, la recensione: una senile trattazione del fine vita con interpreti ammalianti

Che La stanza accanto (in originale The room next door) possa essere l’avvicinamento al temuto “canto del cigno”, per la filmografia di un Autore come Pedro Almodovar, ovviamente non se ne può avere la certezza. Fatto sta che il 24° lungometraggio del regista spagnolo, il primo in lingua inglese (che in un certo senso sconfesserebbe già questa teoria per una volontà ancora energica di mettersi alla prova), non può che far trapelare certamente un’emozione funerea e senile.

Delicato come un roseo fiocco di neve che si scioglie al sole, La stanza accanto affronta infatti di petto il tema della morte e del fine vita, o meglio quello della sua accettazione. Sull’incendiato tavolo della discussione viene fatto pesare, in questo modo, il tema dell’eutanasia e dell’autodeterminazione del proprio corpo e del proprio destino, anche in virtù del passaggio all’altro mondo. Affascinante come il delicato tema spiccatamente morale (tralasciando tutti i fattori più strettamente materialistici), venga affrontato secondo due ottiche differenti, nonostante i due personaggi protagonisti siano strette amiche da una vita. Ingrid è infatti una scrittrice di romanzi che, per accentuare la qualità dei propri racconti, deve fare leva sulle emozioni e sui sentimenti, facendo così vincere inevitabilmente la fazione del cuore. Dall’altra parte, invece, si ha Martha, chiamata a combattere una nuova guerra in qualità di reporter, incaricata per tal ruolo di riportare i fatti per come sono, con una visione “scientifica” degli eventi che non può non far trionfare la parte razionale e pragmatica.

Ne nasce così uno scontro ideologico tra le due, nonostante lo stesso non si tramuti mai in un vero e proprio conflitto, in quanto il punto di congiunzione risiede sempre nella dignità conferita alla libera scelta di Martha, che rimane sempre un soggetto debole da tutelare e custodire. In questo kammerspiel dell’anima, salito sul treno con biglietto di sola andata verso la morte, si accentuano i colori dell’immagine di una saturazione brillante: dal rosso della passione e della vitalità al giallo della malattia e della perdita di lucidità, il tutto circondato dalla catartica ambientazione naturalistica.

A parte una costruzione dell’immagine d’alta scuola (non si può chiedere di meno da un artista a quasi 50 anni dal suo esordio cinematografico), tuttavia, La stanza accanto non solo non riesce a rimanere impresso per particolari virtuosismi – tanto nello stile di ripresa quanto dell’originalità della messa in scena – ma perde anche pesantemente efficacia anche per quanto riguarda lo sviluppo narrativo. Il regista “perde tempo” nel voler infatti reiterare la sofferenza più psicologica che fisica della protagonista, privando di attenzioni a momenti che avrebbero forse meritato una maggior cura nell’esecuzione.

Si fa riferimento in tal caso a quasi l’intera seconda parte del film, con l’atto conclusivo che non andrebbe a raccogliere oltre se non una “scolastica” conclusione. La circostanza drammatica e terminale della malattia spinge inevitabilmente a fare i conti con la propria vita, con Martha divorata dal rancore e dai rimpianti di una vita negli affetti, che siano passionali e relazionali oppure e soprattutto con la propria figlia.

Tale eterea esumazione dei fantasmi del passato resta infatti fatalmente effimera, restituendo diversi elementi critici: a conti fatti i flashback raccontati risulterebbero alquanto superflui, con l’introduzione del personaggio interpretato da John Turturro al limite dell’utilità (se non per l’avvicinamento con un avvocato per un caso che non si svilupperà) ed un’occasione mancata nel mostrare il tormentato rapporto con la figlia. Una scelta – quella di far interpretare entrambi i personaggi alla stessa Swinton – grottesca, sì, ma comunque funzionale alla narrazione, sebbene il modo in cui venga mostrato come i nostri affetti non ci abbandonino mai veramente si riveli alquanto basico e privo di fascinazione.

La stanza accanto presenta quindi la messa in scena di un professionista – il quale ha dimostrato spesso in passato di poter fare di più – ed una narrazione sicuramente interessante ma che non riesce ad incidere quanto dovrebbe. Il valore aggiunto dell’ultimo film scritto e diretto da Pedro Almodovar resta indubbiamente il peso specifico introdotto dalla classe delle due protagoniste, con il regista che continua a trattare i suoi personaggi femminili con mirabile classe ed eleganza. Non servirebbero in tal caso superflue ripetizioni circa il talento recitativo di una coppia di straordinarie interpreti come Tilda Swinton e Julianne Moore, né troppe parole da spendere circa l’emozionante prova regalata su schermo a questo dramma da sala.

★ ★ ★ ½

Oval@3x 2

Non perderti le ultime novità!

Ti invieremo solo le notifiche delle nuove pubblicazioni, Promesso!

Non inviamo spam! Leggi la nostra Informativa sulla privacy per avere maggiori informazioni.

Vittorio Pigini
[email protected]

Laureato in Giurisprudenza, diplomato in Amministrazione Finanza e Marketing, ma decisamente un Hobbit mancato. Orgogliosamente nerd e da sempre appassionato al mondo cinematografico, con il catartico piacere per la scrittura. Studioso della Settima Arte da autodidatta, con dedizione e soprattutto passione che mi hanno portato a scrivere di cinema e ad avvicinarmi alla regia.

Promo main sponsor