21 Set 2024 21 settembre 1945: l’inizio di Una tomba per le lucciole
“La sera del 21 settembre del 1945 io morì.” Con queste parole, semplici e sconvolgenti, inizia uno dei film d’animazione più tragici e toccanti mai realizzati: Una tomba per le lucciole (Hotaru no Haka), diretto da Isao Takahata e prodotto dal celebre Studio Ghibli.
Fin dall’incipit, sappiamo che la storia che stiamo per vivere non avrà un lieto fine: la morte è inevitabile, ma ciò che rende straordinario questo film è il modo in cui, attraverso le sue immagini delicate e i suoi personaggi vibranti di vita, trasforma la tragedia in una riflessione universale sull’infanzia, la guerra e la perdita.
Basato sul romanzo semi-autobiografico di Akiyuki Nosaka, il film narra la storia straziante di due fratelli, Seita e Setsuko, che cercano di sopravvivere ai bombardamenti americani su Kobe durante la Seconda Guerra Mondiale. La pellicola, uscita nel 1988 e con un fortunato ritorno al cinema questa estate, è una testimonianza del lato più oscuro della guerra, vista non tanto dal punto di vista dei soldati, ma attraverso gli occhi innocenti di bambini travolti dagli orrori del conflitto.
Una tomba per le lucciole: una speranza effimera
Uno degli aspetti più potenti del film è la sua estetica. Takahata, maestro di narrazione visiva, sceglie di non indulgere in scene di guerra e distruzioni spettacolari, ma piuttosto di concentrarsi sui momenti intimi che caratterizzano la vita dei due protagonisti. L’animazione è dettagliata ma sobria, riflettendo la bellezza silenziosa della natura, in contrasto con l‘orrore della guerra. I fiori, il cielo, le lucciole — tutto sembra intriso di una malinconia struggente, come se il mondo stesso piangesse insieme ai protagonisti.
Le lucciole, in particolare, hanno un ruolo simbolico cruciale: sono creature effimere, il cui bagliore dura solo per un breve periodo, proprio come l’infanzia dei due protagonisti, che viene spezzata prematuramente. Setsuko, la sorella minore di Seita, trova gioia e meraviglia nel giocare con le lucciole, ignara del destino che l’attende. Questi momenti di bellezza effimera sono ciò che rende il film così devastante nei momenti terribili che attendono i due protagonisti.
Takahata evita l’eccessivo sentimentalismo, dando un approccio quasi documentaristico, con una narrazione che scorre in modo lento e meditativo, facendo immergere lo spettatore nella quotidianità dei due orfani. Anche i silenzi, i piccoli gesti e i dettagli apparentemente insignificanti diventano fondamentali nel raccontare il dramma umano che si consuma sullo schermo.
Nonostante Una tomba per le lucciole non sia un film esplicitamente politico, la sua critica alla guerra è evidente. Takahata non punta il dito contro un particolare schieramento, ma mostra le conseguenze disastrose del conflitto sui civili innocenti, in particolare sui bambini. La distruzione della casa dei protagonisti, la perdita della madre e l’isolamento sociale che affrontano sono la rappresentazione visiva di una società in frantumi, incapace di proteggere i suoi membri più vulnerabili.
Seita e Setsuko diventano emblemi di una generazione sacrificata: abbandonati dallo Stato, ignorati dagli adulti intorno a loro, lottano per sopravvivere in un mondo che ha perso ogni traccia di umanità. La loro tragedia è resa ancora più straziante dalla mancanza di comunicazione e solidarietà: Seita, giovane e orgoglioso, rifiuta di chiedere aiuto, convinto di poter proteggere la sorella da solo, ma alla fine questo orgoglio lo porta alla rovina. Il film non è solo una denuncia della guerra, ma anche una riflessione sulla solitudine e sull’incapacità di una società disgregata di prendersi cura dei suoi membri più deboli.
Isao Takahata, rispetto al co-fondatore dello Studio Ghibli Hayao Miyazaki, ha sempre mostrato una predilezione per un realismo più marcato e un tono più riflessivo nelle sue opere: Una tomba per le lucciole rappresenta forse il culmine di questo approccio, cercando di non addolcire la realtà con la fantasia o l’avventura. L’animazione qui non è un mezzo per evadere in “castelli erranti” o in “città incantate”, ma per esplorare il mondo reale e i suoi dilemmi morali.
La scelta di Takahata di utilizzare l’animazione per raccontare una storia così drammatica è di per sé rivoluzionaria: in un mondo in cui l’animazione veniva (veniva? Guillermo Del Toro ha dovuto ribadirlo giusto agli Oscar 2023) ancora vista come un medium principalmente per bambini, Una tomba per le lucciole dimostra quanto potente e versatile possa essere questo linguaggio visivo. Il film sfida le aspettative, dimostrando che l’animazione non è un genere, ma una tecnica che può affrontare temi complessi e dolorosi con una sensibilità e un realismo che spesso mancano nei film dal vivo.
La sequenza finale del film, con Seita e Setsuko seduti insieme, osservando la città moderna illuminata sotto di loro, è una delle scene più devastanti. È un momento sospeso tra il passato e il presente, tra la vita e la morte. La loro storia è finita, ma la memoria del loro dolore persiste, come una ferita che non si rimargina, come un Giappone che non si è ancora pienamente rimarginato.
Una tomba per le lucciole non è solo un film sulla Seconda Guerra Mondiale, ma una riflessione universale sulla fragilità della vita e sull’importanza della memoria. Le lucciole, con la loro luce breve e intensa sono la metafora per tutte le vite spezzate dalla guerra, che brillano per un istante e poi scompaiono.
Noi de I Soliti Cinefili invitiamo chiunque abbia mancato di vedere questo capolavoro, di recuperare il film completo disponibile a questo link su Youtube, e da poco anche su Netflix.