24 Set 2023 Ararat: la recensione del primo film in concorso al Lucca Film Festival 2023
Il primo film in concorso nella categoria lungometraggi del Lucca Film Festival 2023 è Ararat, di Engin Kundag, pellicola presentata in anteprima mondiale alla 73ª edizione del Festival di Berlino.
La sinossi del film:
Zeynap, interpretata da Marve Aksoy causa un incidente stradale a Berlino e si rifugia a casa dei suoi genitori in Turchia, Hasan (Rasim Jafarov) e Fatma (Funda Rosenland).
Il comportamento autodistruttivo e ribelle della ragazza genererà un effetto domino nella situazione famigliare già difficile e controversa.
Engin Kundag racconta una storia intensa dai ritmi pacati che posso coinvolgere e allo stesso tempo infastidire lo spettatore:
Si perché, la narrativa se pur lineare viene continuamente espressa attraverso lunghi piano sequenza che, non affascinano ma fanno trasparire una regia ancora acerba che risulta fastidiosa e noiosa con il passare i minuti.
I dialoghi, scritti dallo stesso Kundag sono poco espressivi, calmi nella loro rabbia e freddi nel loro interagire nonostante la situazione.
I pochi dialoghi presenti sono accompagnati dal silenzio, infatti non è presente una colonna sonora durante l’intera pellicola.
Questo potrebbe risultare anche affascinante per il pubblico nei primi minuti ma tende a stancare la visione nonostante il ritmo (leggermente) più alto nella seconda parte dove la violenza e la rabbia inespressa vengono fuori dai personaggi.
Sullo sfondo della pellicola incombe una montagna che viene inquadrata più volte nel corso del film: Il monte Ararat.
Facendo una breve ricerca ho trovato che il nome Ararat proviene dalla Bibbia e deriva da Urattu.
In lingua turca ağrı significa “dolore” e dağ significa “montagna;”
Il nome turco è dunque traducibile come “Montagna del dolore.”
Questo particolare che non conoscevo durante la visione oltre ad essere metaforicamente brillante, funziona come chiave di lettura della pellicola.
I temi affrontati: violenza domestica, patriarcato e stupro sono pugni allo stomaco e arrivano diretti.
Il montaggio a cura di Evelyn Rack non esprime, come per la regia il meglio di sé.
I tagli netti e i ritmi lenti rendono la sceneggiatura lineare quasi complessa.
Una nota da sottolineare è che nel film vengono usate diverse lingue: Fatma parla turco e tedesco, Zeynep solo tedesco e Hasan solo turco.
Questa particolarità miscela la tradizione, quindi le origini e il cambiamento al contemporaneo, all’attualità.
In conclusione, Ararat è un film d’autore che cerca la libertà come la sua protagonista ma non riesce ad emergere e coinvolgere la sua dinamica per via dei ritmi mal gestiti.
★ ★ ½