
05 Ott 2024 Manhattan di Woody Allen: 45 anni dalla dichiarazione d’amore più bella del Cinema
Il 5 ottobre 1979, le sale cinematografiche italiane accoglievano uno dei capolavori assoluti di Woody Allen: Manhattan. A 45 anni dall’uscita, il film continua a occupare un posto centrale nella storia del cinema, diventando un simbolo dello stile inconfondibile di Allen e una dichiarazione d’amore alla sua città. Realizzato nel periodo di massima creatività del regista, Manhattan esplora con grande sensibilità i temi dell’amore, del senso di appartenenza e dell’intreccio tra arte e vita, il tutto ambientato nello scenario affascinante e romantico della New York che Allen ha sempre amato e descritto come pochi altri.
Manhattan, “Capitolo I: amava New York. La idolatrava smisuratamente…”
“… E pulsava dei grandi motivi di George Gershwin!”
Il film si apre con la voce narrante di Isaac Davis, interpretato dallo stesso Woody Allen, che racconta il suo rapporto tormentato e appassionato con Manhattan, accompagnato dalle note immortali di Rhapsody in Blue di George Gershwin. Questa sequenza iniziale, in bianco e nero, rappresenta già un manifesto visivo ed emotivo del film. Allen ritrae una città mitica e senza tempo, immersa in una luce nostalgica, nonostante la modernità frenetica che vi si respira. La New York di Manhattan è quella delle strade affollate, dei ponti illuminati e dei grattacieli che si stagliano contro il cielo, ma è anche una città intima, fatta di caffè, librerie e gallerie d’arte.
L’uso del bianco e nero e la fotografia iconica di Gordon Willis – il “Principe delle Tenebre”, come era soprannominato – donano a Manhattan un’atmosfera da sogno, in netto contrasto con la modernità colorata degli anni ’70. Allen voleva che la città sembrasse eterna, quasi fuori dal tempo, un luogo ideale per le sue riflessioni su amore, arte e mortalità. In nemmeno 4 minuti iniziali, con una voce e delle panoramiche, Allen riesce a far venire in mente l’interezza etica e fisica di New York, facendo sentire noi spettatori parte di essa come degli autentici abitanti.
Manhattan è forse il punto più alto nella carriera di Allen nella sua capacità di fondere commedia e dramma. Dopo il successo di Io e Annie (1977), Allen con Manhattan si addentra ancor più profondamente in questioni complesse come le relazioni sentimentali e l’identità personale. Il suo personaggio, Isaac, è uno scrittore insoddisfatto, che lascia il suo lavoro nella televisione e cerca di trovare significato nella propria vita amorosa e professionale. Divorziato due volte, coinvolto in una relazione con Tracy (interpretata da una giovanissima Mariel Hemingway), una ragazza di appena 17 anni, e innamorato di Mary (Diane Keaton), una donna nevrotica e intellettuale, Isaac rappresenta l’archetipo dell’uomo alleniano: tormentato, autocritico e profondamente confuso rispetto ai suoi desideri.
Manhattan è, in effetti, una commedia romantica atipica, che non esita a mostrare la difficoltà delle relazioni umane, la fragilità dei legami affettivi e l’inevitabilità della sofferenza. Le battute brillanti – Allen è noto per la sua capacità di condensare in una frase riflessioni esistenziali pungenti e disarmanti – mascherano a malapena un senso di disillusione che pervade il film. Manhattan incarna perfettamente la visione dell’amore di Allen: un sentimento essenziale, ma spesso ineffabile e irraggiungibile.
Sotto: Manhattan, scena iniziale con sottofondo “Rhapsody in Blue” di George Gershwin
Manhattan: la critica ad una autobiografia
Alla sua uscita, Manhattan ricevette recensioni entusiastiche, ma anche alcune critiche, soprattutto per il suo ritratto delle relazioni sentimentali; probabilmente dovute a problemi sentimentali di Allen resi poco più avanti pubblici (per i più pettegoli, riporto un video di The Hollywood Reporter a questo link). Tuttavia, nel corso dei decenni, il film ha guadagnato una reputazione sempre più solida, diventando un classico riconosciuto. Nonostante le polemiche legate alla vita privata di Allen abbiano in parte offuscato la sua figura negli anni recenti, Manhattan rimane un’opera centrale nella sua filmografia, capace di parlare a diverse generazioni di spettatori.
Uno degli aspetti che rende Manhattan un film così longevo e rilevante è la sua capacità di porre domande universali: le riflessioni di Isaac su ciò che rende la vita degna di essere vissuta – come le elenca nell’iconica scena finale, parlando di “Groucho Marx, Willie Mays, La Sinfonia Jupiter, di Mozart, le incisioni di Louis Armstrong e il viso di Tracy” – sono un richiamo diretto al potere salvifico dell’arte e della bellezza, temi ricorrenti in tutta l’opera di Allen. Questo elenco è una dichiarazione d’intenti: è l’arte, con la sua capacità di suscitare emozioni profonde, a dare un senso all’esistenza. In Manhattan, Woody Allen si interroga su cosa significhi vivere pienamente, e lo fa attraverso un personaggio che, seppur nevrotico, è sempre alla ricerca di un significato più grande.
Manhattan potremmo vederlo quindi come il punto di svolta nella carriera di Woody Allen: pur avendo ottenuto successi precedenti con film come Io e Annie, questo lavoro conferma definitivamente la sua maturità artistica; da comico brillante e autore di commedie leggere, Manhattan lo consacra come un cineasta in grado di gestire temi complessi equilibrando umorismo e introspezione, caratterizzando il film con una cifra distintiva del suo stile, influenzando, inoltre, gran parte della sua produzione successiva.
La rilevanza di Manhattan si estende anche al suo impatto visivo. Gordon Willis, il direttore della fotografia, ha creato una fotografia mai più realizzabile, comparabile solo a Gregg Toland per Quarto Potere (Citizen Kane, 1941) di Orson Welles. Si potrebbe prendere un frame di una qualunque scena, e incorniciarla nel proprio salotto. La bellezza malinconica che avvolge la città resterà senza tempo.
Oltre all’aspetto estetico, Manhattan rappresenta anche una visione del mondo che Allen avrebbe continuato a esplorare nei decenni successivi. La vulnerabilità emotiva e la crisi d’identità che attraversano il film si ritrovano in altri lavori successivi come Hannah e le sue sorelle (1986) o Crimini e misfatti (1989), rendendo Manhattan una sorta di manifesto del pensiero alleniano.
Sotto: Isaac (Woody Allen) e Tracy (Mariel Hemingway)

Manhattan: la panchina più bella del mondo
A 45 anni dalla sua uscita, Manhattan rimane un capolavoro di un regista, Woody Allen, che ha voluto dedicare alla sua città la più bella dichiarazione d’amore che esista: un intero film su essa. La città che Allen ha immortalato è cambiata, così come è cambiato il cinema e la cultura popolare, ma il film conserva intatta la sua forza evocativa. Il senso di nostalgia che permea ogni scena, l’equilibrio tra leggerezza e profondità emotiva, e l’intramontabile bellezza delle sue immagini fanno di Manhattan un’opera che rimarrà nella panchina più bella del mondo: lì pronta ad aspettare la prossima coppia.
Woody Allen, con questo film, ha dimostrato di essere non solo un comico geniale, ma anche un poeta della condizione umana. Amante del cinema italiano e francese, (sapevi che l’ultimo film di Allen è girato totalmente in francese? Clicca qui per l’articolo sul film presentato fuori concorso a Venezia 80) Allen mostra sempre la sua visione della vita – ironica, disincantata, ma sempre in cerca di bellezza e verità –, e Manhattan resta uno dei contributi più importanti, commoventi e unici alla storia del cinema. Guardate, senza pregiudizi, quest’opera d’arte: quando vi ricapita di innamorarvi di una città in cui non avete mai vissuto?
