Recensione film Tim Burton La sposa cadavere

La sposa cadavere: un vitale richiamo dall’aldilà al chiaro di luna

Presentato in anteprima al 62° Festival del cinema di Venezia, La sposa cadavere è un film d’animazione diretto da Tim Burton e Mike Johnson, sebbene il film sia ricondotto più facilmente all’autore di Beetlejuice e Mars Attacks! per la storia, l’elaborazione tecnico-registica e l’aspetto produttivo.

La sposa cadavere, la trama del film d’animazione di Tim Burton

Nella creazione della sua favola dark, Burton trae ispirazione dal racconto Il dito del rabbino Isaac Luria, uno dei pensatori più importanti nella storia della mistica ebraica. Una storia che, nel corso dei secoli, è stata riadattata più volte fino ad una nuova versione russo-ebraica del ‘800, alla quale il film di Burton si avvicina molto.

Su sceneggiatura di John August, Caroline Thompson e Pamela Pettler La sposa cadavere è ambientato infatti nell’Inghilterra del XIX secolo e vede come protagonista Victor, figlio di una facoltosa famiglia di mercanti costretto a sposarsi con Victoria, figlia invece di nobile famiglia ormai in decadenza.

Nonostante lo scetticismo iniziale del matrimonio combinato, i due giovani riescono a provare importanti sentimenti l’uno per l’altra ma Victor si trova in difficoltà con gli aspetti più ritualistici del matrimonio. Per cercare di imparare al meglio il giuramento da compiere, il giovane si reca nel bosco ed inizia a fare pratica, arrivando ad infilare l’anello nuziale in un secco ramo nel terreno immaginando fosse l’anulare di Victoria.

Quel secco ramo si rivela in realtà proprio il dito di una defunta giovane donna vestita da sposa che, magicamente, si risveglia e porta Victor nel mondo dei morti per celebrare un altro matrimonio: il loro.

La sposa cadavere recensione Tim Burton film

La sposa cadavere, la recensione: un vitale richiamo dall’aldilà al chiaro di luna

Sono stata così a lungo nelle tenebre che ho quasi dimenticato quanto fosse bello il chiaro di luna.

Dieci anni dopo aver lavorato al gioiello Nightmare Before Christmas diretto da Henry Selick, Tim Burton torna al mondo della stop-motion per il suo primo film d’animazione come regista. Incredibile se non assurdo che questo sia infatti solo il primo (1 di 2), per una poetica soprattutto estetica dell’autore di Edward mani di forbice che si sposa (ops) fin troppo bene con la libertà creativa del cinema d’animazione.

Se non considerabile proprio tra i migliori dei suoi lungometraggi, rimane forse indubbio come La sposa cadavere di Burton sia infatti uno dei più grandi titoli sfornati da questo sconfinato mondo negli ultimi decenni, che appunto “anima” storie e personaggi (anche “fisicamente”) attraverso le emozioni ed un iconico stile artistico. Più di altri caposaldi della sua filmografia, in questo film del 2005 è possibile vedere al 100% il tratto di un genio come Burton, continuando a tenere fermi 2 elementi inossidabili: il rapporto con la Morte che resta più forte ed intenso rispetto a quello con la Vita; il marciume degli ipocriti costrutti sociali.

Entrambi gli aspetti si legano infatti perfettamente nel comparto estetico de La sposa cadavere, il quale rapisce l’occhio e il cuore per una rappresentazione visiva tanto tetra quanto luminosa, a seconda del mondo di riferimento. La realtà in cui vive Victor si mostra infatti fatalmente spenta, grigia, costretto a sottostare alle regole imposte dalla società, che siano politiche per via dei legami di casata o religiose per la gabbia dei riti nuziali. Il giovane, con squisito gusto burtoniano, trova infatti vita e colore solo al chiaro di luna, nel mondo dei morti, dove il brio ed il divertimento esplodono nei colori della musica jazz.

Con personale amore per il gotico ed il dolce macabro, il regista chiede al suo protagonista di “morire” per poter rinascere e scoprire il valore dei veri sentimenti e della libertà. Quest’ultima è un mazzolin di fiori bellissimi e pieni di spine per il tragico personaggio della sposa Emily, uccisa e derubata più volte (dei beni materiali dal diabolico ex e del nuovo amore dalla novella sposa) ma comunque redenta nel favolistico e lieto finale.

Nonostante i toni sofferenti e a tratti spietati tra gli amori (im)possibili di questa tagliente fiaba dark contro l’ipocrisia delle conformistiche istituzioni, La sposa cadavere resta una visione per tutte le età, presentando una sceneggiatura frizzante e che sa strappare risate, con lo scritto impostato dal trio che cura in maniera avvincente anche i risvolti nell’intreccio narrativo che riserva i suoi colpi di scena.

La sposa cadavere, la recensione: l’estetica di Burton esplode nell’animazione stop-motion

Con questa mano io dissiperò i tuoi affanni. Il tuo calice non sarà mai vuoto perché io sarò il tuo vino. Con questa candela illuminerò il tuo cammino nelle tenebre. Con quest’anello io ti chiedo di essere mia.

Il 12° lungometraggio diretto da Tim Burton è dunque un’opera a dir poco brillante nel panorama del cinema d’animazione, candidato anche nella rispettiva categoria ai premi Oscar assieme a Il castello errante di Howl di Hayao Miyazaki e Wallace & Gromit – La maledizione del coniglio mannaro di Steve Box e Nick Park, con quest’ultimo che ne uscì vincitore. Uno degli elementi più sorprendenti di La sposa cadavere è proprio quello che lo accomuna con il vincitore dell’Oscar di quell’edizione, ovvero l’uso della stop-motion.

Personaggi esili e quasi scheletrici, occhi infossati e grandi teste, l’iconografia delle creature partorite dalla geniale pazzia del regista è infatti decisamente perfetta per un film d’animazione di questo tipo, basti pensare appunto a Beetlejuice o Mars Attacks! su tutti. Da questo punto di vista, il film di Burton si mostra però anche all’avanguardia, essendo il primo ad essere ripreso con camere fisse e ad usare la speciale tecnica del c.d. gear and paddle, ovvero una nuova metodologia per la realizzazione dei pupazzi utilizzati che conferisce ai personaggi maggiore naturalezza e fluidità, restituendo così un meraviglioso risultato animato.

Stravagante e favolistico nella messa in scena, in piena etichetta Tim Burton, il film però come accennato conquista per il cuore e lo spirito con il quale traghetta il suo avvincente e sentimentale racconto. La sposa cadavere riesce in questo intento non solo grazie appunto alla geniale e visionaria impronta estetica e al coinvolgente umorismo, ma anche e soprattutto grazie al contributo del fedele Danny Elfman alla preziosa colonna sonora. Richiamando temi che vanno dai classici del cinema e del teatro, l’inseparabile compositore di Burton trascina un film d’animazione estremamente musicale con un ritmo “indiavolato” e dai brani ispirati, emozionando inevitabilmente nelle sue malinconiche note al chiaro di luna.

★ ★ ★★ ½

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Vittorio Pigini
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Laureato in Giurisprudenza, diplomato in Amministrazione Finanza e Marketing, ma decisamente un Hobbit mancato. Orgogliosamente nerd e da sempre appassionato al mondo cinematografico, con il catartico piacere per la scrittura. Studioso della Settima Arte da autodidatta, con dedizione e soprattutto passione che mi hanno portato a scrivere di cinema e ad avvicinarmi alla regia.