
15 Apr 2025 Blade Runner: la fantascienza che non si esaurisce mai
Il capolavoro di Ridley Scott Blade Runner, è una delle più grandi opere di fantascienza del cinema moderno e contemporaneo. Una delle opere migliori del regista di Alien, conta un cast eccezionale con Harrison Ford, Rutger Hauer e Sean Young. Ecco di seguito la recensione di Blade Runner.

Blade Runner, la trama del film di Ridley Scott
In una Los Angeles futuristica e cupa, Rick Deckard è un ex blade runner, costretto a tornare in servizio per eliminare quattro pericolosi replicanti del modello Nexus-6, fuggiti dalle colonie e rifugiatisi sulla Terra. Questi androidi, creati per durare solo quattro anni, sono ormai vicini alla loro fine e disposti a tutto pur di prolungare la propria esistenza.
Il compito di Deckard è quello di identificare servendosi del test Voight-Kampff, uno strumento in grado di distinguere gli umani dalle macchine misurando le risposte emotive a stimoli psicologici. Durante l’indagine, incontra Rachael, un’avanzata replicante creata dalla Tyrell Corporation, così sofisticata da non essere consapevole della propria natura artificiale. Quando Rachael scopre la verità, si rivolge a Deckard in cerca di aiuto. Lui, colpito dalla sua umanità, decide di stare dalla sua parte, lasciando il dubbio allo spettatore se arriverà mai il momento in cui eliminerà la replicante.
Blade Runner, la recensione del film di fantascienza
Pietra miliare della settima arte, Blade Runner ci porta in un cupo e freddo, freddissimo futuro, incerto e a disagio nel binomio uomo-macchina.
La storia editoriale, partita con la versione originale del 1982, la Director’s Cut del 1992, fino al Final Cut del 2007, è stato un rimaneggiamento di un capolavoro che vede nell’ultima l’unica edizione realizzata con il totale controllo creativo del regista. Eppure, non pochi continuano a ritenere la versione del 1982 la più potente: più concisa e più fedele al tono noir grazie alla voce fuori campo di Deckard. Le versioni successive rinunciano a quel filtro narrativo, sacrificando in parte la componente da detective story che richiama i grandi noir degli anni ’40 e ’50.
Los Angeles, 2019. Gli abitanti camminano sotto una perenne nebbia, pioggia e pubblicità in stile giapponese e architetture decadenti. Un futuro alienante quello portato in scena da Ridley Scott, qualche anno dopo il capolavoro di Alien (1979), dove un sudatissimo Harrison Ford, ex agente, deve eliminare dei replicanti.
Questi esseri sintetici, apparentemente indistinguibili da semplici umani, vengono ritirati come oggetti difettosi: ma sono quindi considerabili come dei meri oggetti ora che l’evoluzione, nel futuro avanzatissimo, ha raggiunto tali passi da poter dotar loro di ricordi, emozioni, desideri, più autentici di quelli dei loro creatori?
Rachael (Sean Young), un prototipo evoluto creato dalla Tyrell Corporation, è talmente oltre il suo ruolo di macchina che non è nemmeno consapevole della propria artificialità. E Deckard, che si domanda quanto la sua umanità possa andare oltre i sentimenti – e quindi, macchinalmente combattere e uccidere le macchine.
Gaff (Edward James Olmos), dietro i quali origami sembrano celarsi degli enigmi, stravolge la scena quando tutto sembra lineare. Chi sono i veri umani, e chi le macchine? Cosa definisce un essere moralmente ed eticamente “umano”?
Roy (Rutger Hauer), ricordato per il celebre monologo finale – in parte improvvisato – è talmente celebre che chiunque vorrebbe rivedere il film per la prima volta per poter godere del suo celebre monologo finale – improvvisato in parte dallo stesso Hauer.
Le sue parole parlano di perdita, di memoria, di una vita troppo breve e di tanti sacrifici fatti per poi giungere ad una fine. Impossibile non empatizzare perchè nulla potrebbe essere più vero di quanto proferiscano le sue parole.

Blade Runner, la recensione: il trionfo del genere
Al di là del restauro dell’immagine e del contributo ben noto di Moebius, chiamato a suggerire alcune ambientazioni ispirate ai suoi fumetti, oltre che delle commoventi musiche elettroniche di Vangelis, Blade Runner è meravigliosamente vivo nell’immaginario cinematografico. Non c’è stato un successore, ma solamente una vasta gamma di riferimenti ad una grande opera.
Il finale, con il tono più cupo (lontano dal lieto fine imposto inizialmente dalla produzione, che utilizzava materiale scartato da Shining di Kubrick), è profondo a tal punto di lasciarci immaginare all’infinito e ipotizzare su mille vie e decisioni che Deckard ha preso dopo aver visto l’origami di Gaff, prima di entrare in ascensore.
Insomma, il ritorno di Blade Runner nelle sale è un momento per godere di una storia che, per chi non l’ha vista, invidio con tutto il cuore; per chi lo vede per la prima volta, può addentrarsi in un’esperienza visiva di grande spessore intellettuale: politica, musicale, narrativa. Ma non vogliate aspettarvi rivoluzioni: i replicanti vivono solo per pochi anni, è Blade Runner a restare immortale.
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