13 Lug 2024 Dostoevskij – Atto 1, le prime sbiadite memorie di un assassino
Dopo aver debuttato nella sezione “Berlinale Special” alla 74a edizione del Festival di Berlino, Dostoevskij arriva nei cinema italiani. La miniserie diretta dai Fratelli d’Innocenzo approderà infatti su Sky ma, precedentemente a ciò, viene rilasciata nei cinema italiani nel mese di Luglio divisa in 2 Atti.
Dostoevskij, la trama della serie tv dei Fratelli D’Innocenzo al cinema
Risulta particolarmente difficile approcciarsi così ad un’opera come Dostoevskij in termini di analisi, in quanto prodotto sfuggevole già nel principio nella sua etichetta. Si tratta a tutti gli effetti di una miniserie di 6 episodi, diretta appunto da Damiano e Fabio D’Innocenzo, ma distribuita al cinema in 2 Atti da 2 ore e 30 circa.
In questa recensione ci si soffermerà appunto sul primo “tempo” di questa opera, sebbene la trama sia comune ovviamente ad entrambe le parti. Questa narra del burbero e disilluso poliziotto Enzo, ossessionato dalla cattura del serial killer noto come “Dostoevskij”. Questo ha il modus operandi di lasciare sul luogo del crimine delle lettere accanto ai corpi delle vittime, descrivendo nel dettaglio gli ultimi momenti delle loro vite.
A poco a poco, Enzo inizierà a stringere una sorta di legame con lo stesso assassino, facendo nascere un vero e proprio rapporto epistolare. Questo per via dei demoni interiori che guidano l’animo del poliziotto, ormai divenuto nichilista sul mondo che lo circonda, sempre più distante dall’ambiente di lavoro e soprattutto per via del suo rapporto con la figlia Ambra.
Enzo deve infatti fare i conti con il suo passato, che lo ha spinto ad abbandonare la figlia quando era ancora piccola e di fatto spingendola sulla via di non ritorno della tossicodipendenza.
Dostoevskij, la recensione di Atto 1: memorie di un assassino sbiadite e confusionarie
Ti sei già fatto qualche idea sul caso?
La basi narrative di partenza di un’opera come Dostoevskij sarebbero così particolarmente intriganti e con tanta carne al fuoco, peccato che i punti critici provengano praticamente da ogni dove, ma andiamo con ordine.
Si suole innanzitutto precisare come la recensione, specialmente per la parte d’analisi riguardante lo sviluppo narrativo ed il significato intrinseco del racconto, si presenti con inevitabile riserva. Resta infatti difficile immaginare Dostoevskij come una serie tv, essenzialmente per via della sua composizione strutturale, dando appunto l’impressione che ci si trovi dinanzi ad un semplice film diviso in 2 parti, in 2 Atti.
Ciò sulla farsa riga di produzioni più ricche ed altisonanti recenti, come ad esempio per Dune o Avengers Infinity War/Endgame, sebbene in tal caso la situazione risulti particolarmente diversa, trovandosi contro 2 film distaccati e non un unico film diviso in primo e secondo tempo come in questo caso. Entrando però nel merito, la confusione di Dostoevskij sulla sua natura se da piccolo o grande schermo si ripercuote anche nella sua messa in scena.
Un crime che viene per forza di cose rinviato al secondo Atto, per scoprire se sia stato o meno il maggiordomo il colpevole, mettendo da parte in questo caso lo sviluppo narrativo che segue le indagini di Enzo. Si deve quindi registrare in questo Atto 1 la presentazione dell’opera degli D’Innocenzo, mettendo agli atti un’indagine fredda e serrata, dagli inevitabili echi a titoli di punta come Memories of Murder di Bong Joon-ho, le stagioni di True Detective ed ovviamente il Zodiac di David Fincher.
Un thriller che da ambientazione e dagli elementi politici (quali ad esempio l’inefficienza dell’organo di polizia e le spaccature all’interno delle istituzioni) tenderebbe infatti ad avvicinarsi al cinema di genere nord-est europeo ad esempio, fino all’estremo Oriente. Tuttavia, la costruzione atemporale e fuori dallo spazio del racconto rappresenterebbe una strategia dalle premesse intriganti che manca però l’obiettivo. La lingua che si sente e si legge in Dostoevskij è ovviamente quella italiana, sebbene le abitudini tra alimentazione, modo di parlare e di atteggiarsi sia più vicino alla realtà Oltreoceano.
La collocazione fuori da confini ben precisi tra tempo e spazio tenderebbe infatti a rilasciare dallo schermo valori universali, ma in questo caso specifico le modalità utilizzate fanno solo accrescere il livello di confusione nell’immettere elementi qua e là. Questo si lega indissolubilmente infatti alla precisa collocazione narrativa del racconto, ovvero quella delle forze di polizia che forse rappresenta l’elemento politico più emblematico, non avendo coraggio a sufficienza per sferrare qualche colpo socio-politico alle pericolanti condizioni di quelle italiane specialmente negli ultimi anni.
La critica è quindi evanescente in Dostoevskij, ma forse non è nemmeno quella l’obiettivo primario di questa opera che tenderebbe invece a concentrarsi sul suo personaggio protagonista. Il burbero, arcigno, depresso e disilluso investigatore Enzo si ritrova infatti al centro del ciclone, con la ricerca al serial killer che diventa quasi un MacGuffin per cercare in qualche modo di ricucire un rapporto ormai spezzato con la figlia Ambra.
Enzo ha infatti fallito su tutti i fronti, come poliziotto e soprattutto come padre, che si ritrova sulle tracce di un assassino fino a diventarne quasi un ammiratore, con il male di vivere che lo spingerebbe a desiderare di essere la sua prossima vittima. Dostoevskij – Atto 1 si apre infatti con una lettera di suicidio, per poi continuare un rapporto epistolare con quelle altrettanto colme di morte lasciate dal killer.
La condizione psicologica costruita attorno al protagonista, interpretato ottimamente da Filippo Timi, è infatti l’unico elemento affascinante dell’opera dei Fratelli D’Innocenzo…peccato che, oltre al fatto che (nuovamente) occorre attendere la chiusura del cerchio per tirare le somme, questa venga annebbiata da una visione non solo inconsistente, ma dalla messa in scena stagnante e maleodorante.
Dostoevskij, la recensione di Atto 1: un primo tempo inconsistente, interminabile ed involontariamente grottesco
Perché hai lasciato da sola tua figlia? Perché l’hai abbandonata?
La sceneggiatura è forse infatti il grande problema di Dostoevskij, tanto dal punto di vista dello sviluppo narrativo quanto della costruzione delle interazioni tra i personaggi. Le indagini sulla scia di omicidi vengono rimbalzate qua e là – senza soluzione di continuità – con la vicenda personale di Enzo ed Ambra con i due aspetti che, non solo non si legano tra di loro, ma che tenderebbero a spezzare anche il ritmo.
Quest’ultimo non è sicuramente un’arma a favore ad un’opera come Dostoevskij, per una visione non solo appesantita fino all’esasperazione di troppi ed inutili tempi morti o ripetizioni costanti, ma anche priva di un’efficace sostanza. Almeno per questo Atto 1 (si ripete) sono veramente scarsi i punti di sviluppo del racconto, se non appunto per la drammatica condizione psicologica del protagonista ed una “mistica” ricerca per orfanotrofi che, in qualche modo, avvicina (probabilmente) alla soluzione del caso.
Il tedio e l’inerzia regnano quindi sovrani in queste interminabili 2 ore e 30 (e si è solo a metà del percorso), ma le criticità non terminano sicuramente qui.
Nonostante appunto il silenzio sia ben presente ad accompagnare la camminata delle sequenze su schermo, la visione di Dostoevskij risulta comunque alquanto verbosa, forse troppo, con il rischio di rivelarsi in realtà prolissa e lasciandosi sfuggire non poche battute infelici, rasentando il ridicolo e l’imbarazzo in qualche occasione. Nella condizione sonora del film corre a supporto un buon lavoro operato da Michael Wall alla colonna sonora, componendo un’atmosfera spesso conturbante e sufficientemente ansiogena.
Di per sé l’opera non si presta nemmeno ad una cattiva visione delle inquadrature, privilegiando una luce naturale fredda e desaturata, sporca e sudicia, di ferro usurato e cemento decadente, il tutto ripreso spesso a mano con intriganti long-take con pellicola 16mm. Tuttavia ed ultimo ma non per importanza, altro elemento critico viene rappresentato dalla prova del cast. Si ripete e si risottolinea la prova da ottimo protagonista di Filippo Timi, ma il resto del cast è composto prevalentemente da anonime comparse alcune delle quali con battute decisamente di troppo.
Si allontanerebbero da questa equazione l‘Ambra di Carlotta Gamba (America Latina, Gloria!) – eccessivamente caricaturale, sebbene faccia nascere un intenso rapporto con il padre in più riprese – ed il giovane Fabio di Gabriel Montesi, che gode sì di una certa presentazione per poi restare pericolosamente in disparte fino alla conclusione del primo Atto, con una scena sicuramente incalzante e che farebbe presagire una sua maggiore incidenza nell’Atto 2.
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