
28 Mag 2025 Eraserhead, il capo d’opera del cinema di David Lynch
Iniziata nel mese del Festival di Cannes con Cuore selvaggio, tornato in sala dal 12 al 14 maggio per celebrare i 35 anni della Palma d’Oro vinta dal film nel 1990, Eraserhead è il secondo lungometraggio della rassegna The Big Dreamer dedicata a David Lynch e al suo cinema, organizzata da Lucky Red e Cineteca di Bologna. Dal 26 al 28 maggio è infatti in sala l’esordio al lungometraggio del 1977, Eraserhead, restaurato in 4k. Leggi la recensione per saperne di più.

Eraserhead, trama del primo lungometraggio di David Lynch
Harry Spencer, strano ometto dall’acconciatura particolare, è un tipografo solitario che abita in un desolato appartamento nei sobborghi di una grande città che sembra essere chissà come sopravvissuta a qualche disastro o a qualche sfavorevole congiuntura economica o più probabilmente a una vera e propria apocalisse. Harry si vede costretto a sposare la fidanzata Mary, rimasta incinta. Quando il figlio nasce, si rivela essere un mostro.
Eraserhead, primo lungometraggio di David Lynch, è un’opera nata tra mille difficoltà e con un budget ridottissimo. Nonostante ciò, il film riesce a essere emozionante e disturbante, un incubo surreale a occhi aperti che, in chiave onirica e – ai tempi non si sarebbe ancor detto – lynchana, affronta con i 5 sensi umani il degrado della società post-industriale.
Dallo stile visivo espressivo, dal sonoro industriale e allo stesso tempo Bergmaniano, il bianco e nero prorompente di un termosifone, Lynch costruisce un vero e proprio unicum nella storia del cinema: un Esordio che spezza ancora in due lo spettatore, a 48 anni dall’uscita. È il debutto del Big Dreamer, il visionario che ci ha lasciati, come polvere, cancellandosi da un mondo doloroso e, grazie a lui, meno inquietante.
Eraserhead, la recensione del film di David Lynch
David Lynch inizia a lavorare a Eraserhead nel 1971, a Los Angeles. Dopo aver girato Six Men Getting Sick (1967), The Alphabet (1968) e The Grandmother (1970) il regista distribuiva giornali e raccoglieva materiali dai bidoni dell’immondizia per costruire il suo set. Era appena uscito dall’esperienza vissuta a Philadelphia, una città che lo aveva messo a duro contrasto, con il suo paesaggio industriale, le fabbriche, il fumo, le ferrovie, rispetto al mondo agricolo a cui suo padre lo aveva abituato.
Eraserhead nasce quindi dall’esperienza terrena, ma si sviluppa come frammenti, incubi nell’aria e talvolta da disegni dello stesso Lynch. Se esistesse una possibilità di racconto dopo la morte, Eraserhead potrebbe essere quello: non un mondo oscuro, cattivo, ma l’incubo dell’illuminazione dell’umano. Un debutto che è già opera totale.
Seguiamo Henry, un individuo freak, mentre rientra a casa: sembra un personaggio comico fuori tempo, alla Buster Keaton, ma qualcosa è disagiante. I tempi sono rallentati e i tagli ritardati. I dolly pesanti di Lynch entrano nelle scene con la stessa ansia di vedere un macigno arrivare lentamente sulla propria testa. La famiglia di Mary: una parodia patologica del nucleo domestico, un nonsense dove Henry è l’unico normale. O forse no. L’annuncio della paternità scatena un’emorragia nel pollo cotto: il corpo parla, emette una verità che la mente non può nascondere. Lynch riprende qui la sua ossessione per la psicosomatica, per i fluidi corporei come risposta al trauma, già presente nei suoi primi corti.
Henry, schiacciato dal ruolo di padre e da un neonato mostruoso, cerca scampo nell’immaginazione. La fuga mentale diventa l’unica alternativa. Ed è dietro un radiatore che trova un’apparente salvezza: il Paradiso. Un sogno, forse, ma anche una fuga in un piccolo, casuale, spazio dentro un radiatore.

Eraserhead, la recensione: In Paradiso tutto è a posto
Henry si addormenta e giunge nel centro del suo inconscio. In un teatro metafisico incontra la donna nel radiatore: bionda, inquietante, con escrescenze sulle guance simili a testicoli. Il suo tip-tap fuori tempo schiaccia spermatozoi caduti dall’alto, annullando la pulsione delle sue guance, grandi e pieni di pulsione sessuale, denota un desiderio prenatale di fuga. La deforme tenerezza di questa figura denota una realtà in cui Henry può abbandonarsi senza responsabilità, inseguendo impulsi repressi: l’adulterio, l’infanticidio.
La sua progressiva liberazione non è ricerca di consapevolezza, ma volontà di dissolversi. Eraserhead culmina nello sbudellamento del figlio-mutante, atto di rifiuto della realtà stessa, straziante e brutale dove il body horror risulta infimo in confronto alla rottura dell’equilibrio precario durato fino a quel momento nel tempo della narrazione. A quel punto, tutto si frantuma: l’asteroide esplode, il demiurgo scompare, la testa di Henry è cancellata. Rimane solo una luce bianca, accecante, ingannevole, in cui non serve più vedere, né comprendere. Non è redenzione, è estinzione. E mai, forse, Lynch ha mostrato un’oscurità così lucente, radicalmente disperata.
Eraserhead fu un’impresa produttiva che mise a dura prova Lynch, impegnato in ogni fase del film, dalla scenografia, l’incredibile sono e il montaggio. Il risultato, però, fu un cult assoluto, apprezzato persino da Stanley Kubrick, come racconta Lynch stesso nel documentario First Image – David Lynch di Pierre-Henri Gibert, in coda alla proiezione speciale di quest’anno.
Chiudiamo la breve analisi con un enorme plauso all’uso del sonoro: è esso stesso a rendere Eraserhead davvero rivoluzionario: rumori meccanici, suoni concreti e distorsioni post-industriali creano lo spaesamento costante che dissolve la mente dello spettatore come Henry Spencer dissolve il confine tra il suo mondo reale e l’immaginario.
In conclusione, Eraserhead non è un’opera da essere compresa. Ma da attraversare. Non cerca mai di spiegarsi: inquieta, confonde, respinge e seduce. Lynch apre un varco nella psiche e lascia lo spettatore immerso in angosce. È un film che si insinua, che non smette mai di lavorare, che genera interrogativi a distanza di generazioni. La visione, caldamente consigliata, è un’esperienza lucidissima in zone dell’oscurità dove la luce è sempre presente.
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