07 Gen 2023 Free Chol Soo Lee: La recensione
“Free Chol Soo Lee”: una tragica parabola di libertà
Può un caso di clamorosa negligenza giudiziaria trasformarsi in un vero e proprio movimento globale in difesa dei diritti umani e della tutela di immigrati di origine asiatica? La risposta è contenuta nel documentario coreano Free Chol Soo Lee – presentato al 2022 Sundance Film Festival e disponibile su Mubi – prodotto e diretto da Julie Ha ed Eugene Yi.
In esso si dipanano tre percorsi narrativi: la descrizione della figura complessa e della complicata esistenza di Chol Soo Lee, un uomo che, come pochi, sembra aver vissuto tante vite in una; la sua ingiusta condanna all’ergastolo con l’articolata battaglia legale che ne consegue; il parallelo movimento di protesta globale, sorto quasi spontaneamente, sostenuto dall’inchiesta del giornalista investigativo K.W. Lee. Nato a Seoul nel dicembre del 1952, ma residente negli Stati Uniti, il protagonista della vicenda ha la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Siamo nel 1973 a San Francisco quando un delinquente di nome Yip Yee Tak viene colpito a morte in una regolamento di conti tra bande di Chinatown. La medesima notte Chol Soo Lee si trova nel suo appartamento a giocare con un revolver prestatogli da un suo conoscente. Inavvertitamente gli parte un colpo che finisce per piantarsi contro una parete della stanza.
Lo sparo provoca la chiamata della polizia e quando il proiettile viene recuperato e analizzato si scopre essere “simile” a quello utilizzato per l’omicidio in questione.
Quell’atto, insieme a testimonianze superficiali ed affermazioni non veritiere ma convincenti dell’accusa, lo portano a venire condannato e imprigionato per un crimine non commesso.
Ci si trova così dinanzi al presupposto “perfetto” dell’errore giudiziario, quello cioè che si annida nella fase dibattimentale dove omissioni e/o trascuratezze nell’ammissione delle prove possono pregiudicare l’esito di un processo. Inoltre, l’accoltellamento da lui compiuto in carcere, per legittima difesa, nei confronti di un suprematista bianco non fa che peggiorare la sua posizione portandolo a un passo dall’esecuzione capitale.
Questo lungometraggio non è incentrato, però, esclusivamente sulla difesa legale e sul lavoro durato ben dieci anni per affermare la verità. I due cineasti si concentrano soprattutto sull’onda di protesta della comunità asiatica per ribaltare l’esito di una sentenza pregiudizievolmente emessa, con le chiese e gli attivisti locali ad agire da volano. Commovente, poi, è l’atteggiamento della madre di Lee, che da bambino lo abbandona e quasi ripudia, la quale inizialmente non gli crede ma poi diventa la sua sostenitrice più accanita e determinata.
La vicenda post-detenzione del protagonista è per certi versi ancora più spietata. Chol Soo Lee lotta per non deludere le aspettative di una comunità che lo ha emendato, con il senso di riconoscenza che, come un macigno, fa sentire il suo peso insopportabile e lo conduce a commettere una serie di errori. Dopo un inebriante periodo di notorietà durante il quale viene invitato dappertutto, quasi fosse una star cinematografica, si ritrova a fare i conti con il ritorno a un’esistenza la cui “normalità” è insopportabile.
Da qui l’abuso di alcol e droga fino a un tentativo, finito tragicamente, di incendiare dolosamente una casa. Si salva per miracolo ma rimane deturpato in maniera irreversibile.
Nel corpo ma soprattutto nell’animo. Quell’episodio trasforma per sempre il percorso della sua esistenza. Eppure è proprio la personalità di Chol Soo Lee l’elemento che emerge con devastante umanità in quest’opera.
La sua (stra)ordinarietà delinea il suo carisma e la sua integrità morale. Egli è un “signor nessuno”, certo, ma la sua invisibilità assurge a simbolo di emancipazione e rivincita per un intero popolo e per tutti coloro i quali patiscono pregiudizi, discriminazioni, intolleranza, razzismo “Made in USA”. E come diceva Giorgio Gaber: “Sono portatori, gli americani. Sono portatori sani di democrazia. Nel senso che a loro non fa male, però te l’attaccano. L’America è un arsenale di democrazia”.
★ ★ ★ ½