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Il seme della follia: La recensione del cult di John Carpenter

John Carpenter, signore e signori.
Due semplici parole che icasticamente tratteggiano l’importanza artistica di ciò che andremo a visionare.
Sì perché quando una pellicola porta una firma autoriale di tale portata inevitabilmente viene da “mettere le mani avanti”: la spocchia innata di certi cinefili si soffermerà sull’enfatizzare quanto un tale nome evochi mirabili capisaldi del cinema targato New Hollywood (“Halloween – La notte delle streghe”, “1997: Fuga da New York”, “La cosa”, “Essi vivono”), e certo sarebbe indegno negargli tali meriti; per cui parlare di una sua produzione potrebbe avere la spiacevole conseguenza (o condizionale a seconda dei punti di vista) di scadere nel preconcetto.
Dico questo perché un regista di siffatta caratura frequentemente porta lo spettatore a fruire “attivamente” delle proprie creazioni: i film di Carpenter, nello specifico, sono intrinsecamente permeati della sua poetica artistica, che è talmente dirompente da lasciare il segno nella ricezione del grande pubblico.


Il film di cui andremo testé a parlare, nella fattispecie, rappresenta la summa della visione carpenteriana: capitolo finale della cosiddetta Trilogia dell’Apocalisse (con i precedenti “La cosa” e “Il signore del male”), “Il seme della follia” costituisce sia una chiave di volta, in quanto massima espressione di un linguaggio analitico riguardo il significato dell’immagine, che un punto di partenza straordinario, perché il contesto storico-culturale in cui si inserisce ne consoliderà il ruolo di portabandiera di un sottogenere cinematografico che fa del metacinema il suo cavallo di battaglia.

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Il poster del film

Titoli di testa: le rotative di una tipografia ci mostrano innumerevoli copertine del nuovo libro di Sutter Cane (Jürgen Prochnow), un prolifico scrittore dell’orrore.
Intanto in un ospedale psichiatrico della città, John Trent (Sam Neill) viene rinchiuso perché preda di deliranti convinzioni schizofrenico-paranoidi.
Con un flashback (della durata dell’intero film praticamente), veniamo a conoscenza della sua storia: John è un investigatore che si occupa di smascherare coloro che cercano di frodare le compagnie assicurative che lo assoldano. Un uomo tutto d’un pezzo, con uno spiccato fiuto per stanare gli imbroglioni, un acume invidiabile e una rara capacità di discernere la realtà dal fumo negli occhi che le persone cercano di fargli vedere.
Un giorno viene inviato ad investigare poiché la Arcane, importante casa editrice, ha presentato una richiesta di risarcimento milionaria: lo scrittore Sutter Cane è misteriosamente scomparso, poco prima dell’uscita del suo ultimo lavoro “Nelle fauci della follia”. Contemporaneamente, mentre sta trattando di questo nuovo incarico, John viene aggredito da un individuo armato di ascia, che si rivela poi essere l’agente del suddetto scrittore: l’uomo è letteralmente impazzito dopo essere venuto a conoscenza del contenuto dell’ultimo lavoro di Cane e Trent decide di volerci vedere chiaro.


Incontratosi quindi con Jackson Harglow (Charlton Heston), proprietario della Arcane, Trent viene invitato ad investigare assieme a Linda Styles (Julie Carmen) per cercare di rintracciare lo “scrittore del secolo”.
I due giungono nella sperduta cittadina di Hobb’s End (luogo fittizio creato dalla penna dello scrittore), la cui chiesa principale si rivela essere l’epicentro di strani e misteriosi eventi direttamente collegati con l’ultima opera di Cane.
Trent è sempre più convinto che tutta la sparizione sia un’artefatta ed elaborata strategia commerciale, ma il manifestarsi dell’orrore letterario nella realtà lo porterà presto a ricredersi e a precipitare in un vortice di follia e disperazione da cui non c’è assolutamente via di scampo.


CAPOLAVORO! Una semplice parola per tratteggiare adeguatamente questo vero gioiello partorito dalla mente registica di un autore con la A maiuscola. Potrei pure interrompere qui la mia digressione perché come ogni buon critico dice: “non bisogna mai dare una valutazione precisa prima della fine della recensione vera e propria”.
Permettetemi solo di dedicare qualche paragrafo in più per esaminare l’opera più in fondo e delineare le tematiche che la contraddistinguono.
Il film si inserisce nella produzione del regista come terzo capitolo della Trilogia dell’Apocalisse (come già scritto in precedenza), andando a rievocare il fil rouge delle opere precedenti: la natura effimera del genere umano, così radicalmente ancorato a un’idea di realtà completamente veicolata dal materialismo da essere essa stessa considerata qualcosa di alieno.


La domanda che persiste lungo tutta la durata del film è: “Che cosa è la realtà?”, quanto di ciò che vediamo, comprendiamo, conosciamo possiamo considerare come realtà nel significato intrinseco del termine?
Effettivamente la storia intera ci viene narrata da un personaggio internato in un manicomio, perché ormai considerato come pazzo dalla società normale, ma in un mondo popolato da folli sarebbero i sani di mente ad essere manicomizzati. Come vediamo nel corso dello svolgimento del film, l’opera dello scrittore acquista talmente tanta rilevanza agli occhi dei lettori/spettatori da essere essa stessa ormai il tessuto fondamentale della realtà: “Hanno venduto più di un miliardo di copie, i miei libri sono stati tradotti in 18 lingue, sono più quelli che credono nella mia opera che quelli che credono nella Bibbia”.

In tal modo il Sutter Cane scrittore diventa il nuovo profeta della creazione, il tratto della sua penna si fa strumento demiurgico per plasmare il nuovo mondo, lui si trasforma in deus ex machina per l’avvento della nuova civiltà: una società di entità ancestrali e primigenie, che l’umanità ha nel tempo imparato a dimenticare ma che il rinverdire della cieca fede nell’opera di Cane ha aiutato a ritrovare sostanza e consistenza.
Quanto di ciò che osserviamo è vero? Il personaggio di Trent, così saldamente ancorato alla “sua” concezione di realtà, messo a confronto con il libro messianico di Cane si scopre egli stesso creazione della mano dello scrittore (un protagonista della storia nella storia): la lettura della vera realtà è impossibile, le immagini sono indecifrabili, ineffabili; il solo tentativo porta alla pazzia, all’alienazione delle deboli menti così tremendamente assuefatte da un concetto di concretezza fin troppo influenzato dalla soggettività.


Questa è metafisica allo stato puro: così come il film snocciola le sue tematiche grazie a una messinscena da manuale (sceneggiatura di Michael De Luca, effetti speciali a cura della Industrial Light & Magic e colonna sonora spettacolare dello stesso John Carpenter), lo spettatore si ritrova a dover fronteggiare il suo ruolo di interprete dell’immagine.
Non c’è distinzione tra reale e fittizio, tra immanenza e trascendenza, tra fenomeno e noumeno: la pagina del libro, così come lo schermo cinematografico diventa sostanza fisica che si può “strappare e rompere” per far transitare ciò che vi è oltre ad essa.
Il concetto richiama magistralmente la fonte di ispirazione precipua del film: l’opera narrativa di Howard P. Lovecraft. Il titolo stesso del film (“In the Mouth of Madness”, molto più calzante rispetto all’insensata traduzione italiana) è un omaggio ad uno dei romanzi più noti dello scrittore di Providence: “Alle montagne della follia”. Nei suoi scritti viene data straordinaria rilevanza alla limitata visione soggettiva del protagonista/lettore, all’impossibilità di comprendere fino in fondo la vera essenza della realtà pena il completo annichilamento della coscienza individuale: l’essere messi a confronto con entità più antiche e malvagie dell’ordito stesso del creato porta alla completa autodistruzione fisica e mentale.
I sani di mente diventano folli (e viceversa…) e “gli esseri umani diventeranno favole per i loro bambini”.


Un film incredibile, un vero e proprio compendio sulla potenza dell’immagine e della parola, come artefici e strumenti di creazione. Metacinema nel suo concetto più puro, di assoluta bellezza e raffinata espressività.
Di rado si assistono a visioni che riescano a riassumere così incisivamente tutta la vasta immensità della metafisica della conoscenza: per trovare un’analogia bisogna rivolgersi a un altro film dello stesso regista, “Il signore del male”, in cui la tematica è analizzata e sviscerata ancora più nell’essenza.
Curioso poi notare come un altra pellicola coeva (l’anno è il 1994) faccia della finzione metacinematografica il suo tema conduttore: parlo di “Nightmare – Nuovo incubo” di Wes Craven, altro regista per cui varrebbe la pena di spendere doverose pagine.


*** SPOILER ***

Alla fine il film riprende da dove era iniziato: John Trent è rinchiuso in manicomio e il diffondersi dell’ultimo libro di Cane ha portato il mondo alla follia collettiva. Ormai l’umanità è destinata all’estinzione per fare posto a una antica specie di entità mostruose e primordiali.
Trent si ritrova quindi solo in un mondo sull’orlo dell’apocalisse e prossimo alla rinascita completa.
Fuggito dal manicomio, il nostro protagonista si rifugia nell’unico luogo sensato dove può cercare riparo: un cinema. Lo spettacolo proposto però è molto particolare: infatti, in un magistrale gioco di metacinema con pochi precedenti, la pellicola si rivela essere “Il seme della follia” stesso (diretto da un “fittizio” John Carpenter) , per cui John Trent (da spettatore) rivede proiettarsi davanti agli occhi la sua intera esperienza vitale, che coincide con quanto appena visto da noi. E, inabissandosi nella totale follia in una risata sguaiata e belluina, Trent si rende conto di quanto la realtà fosse un’invenzione di Sutter Cane.
Il cinema come luogo di redenzione e perdizione.

Sublime!

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Luca Zeppilli
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Sono il fondatore de I Soliti Cinefili. Un progetto, nato dalla grande passione per il cinema che ad oggi mi ha portato ad ampliare le interazioni in questa community a disposizione di ogni utente. La mia passione per il cinema nasce un po’ per caso: semplicemente guardando un film dopo l’altro con immediata opinione e voto al termine visione. Con il passare del tempo la mia concezione per la settima arte è completamente cambiata, portandomi a puntare all’obiettivo di diventare un critico cinematografico. Obiettivo che ho raggiunto nel 2024 entrando a far parte del Sindacato Nazionale dei Critici Cinematografici Italiani. Nel corso degli anni ho partecipato a numerose anteprime nazionali ed eventi, tra cui il Lucca Film Festival dove ho svolto l’incarico di Giurato Stampa nell’edizione 2022 e nell’edizione 2023. Inoltre, sono ospite tutti i giovedì alle 22:30 al programma radiofonico Suite 102.5 su RTL 102.5 e tutte le domeniche alle 16:30 al programma LaB - Lo Spazio delle idee a cura di Beatrice Silenzi su Radio Linea N°1.

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