08 Ott 2022 Il Signore Delle Formiche: La recensione
Aldo Braibanti, interpretato da Luigi Lo Cascio, che calza perfettamente nel ruolo, è un professore, filosofo, intellettuale che sembra non riuscire mai a raggiungere il successo artistico, se non negli occhi di giovani emiliani affascinati dal nuovo marxismo degli anni ‘60 in Italia.
Uno di essi, Ettore, è particolarmente preso dai discorsi del professore, assaggia per la prima volta idee di libertà e anarchia verso la severa conformità della vita familiare borghese. L’attrazione tra i due diventa rapidamente passione travolgente, che ovviamente, una volta scoperta, susciterà scandalo e indignazione tra i familiari, che inizieranno un percorso di ignorante repressione verso il ragazzo.
Elio Germano, nei panni di un giornalista che intanto va per la sua strada, si scontra con un evento giudiziario: plagio (nell’accezione del diritto penale italiano nel dopo guerra di illegittimo assoggettamento di una persona privandola di ogni autonomia, poi reso incostituzionali anni dopo). Lui non si intromette troppo nella politica della cosa e all’inizio non gli interessa nemmeno scriverci un’articolo, ma gli viene assegnato comunque; poi qualcosa lo colpisce del caso, si rende conto che deve dare voce ad una emozione fastidiosissima, per lui, e congiuntameente per lo spettatore, ovvero l’angoscia di una realtà mai accettata: l’amore platonico tra due uomini che non si trattiene, che pervade fino al bisogno di contatto fisico, ancora ieri e ancora oggi preso come capro espiatorio per pulire la coscienza dell’uomo “normale”.
La regia di Gianni Amelio ricerca negli sguardi dei protagonisti questo disgusto morale, e riesce nell’intento anche grazie allo straordinario esordio di Leonardo Maltese, nei panni di Ettore, che incarna perfettamente il ruolo del giovane innocente, con un desiderio di una vita libera, tradito dalla famiglia e dalla società.
Le lunghe inquadrature trovano sempre la profondità nei sentimenti dei personaggi e anche della loro assenza, in alcuni dolorosi punti.
Unica pecca uno script che lascia poco spazio ai pensieri del giovane Ettore, più volte soffocato in Emilia da madre e fratello, e a Roma da feste: che siano dell’Unità o in stile Grande Bellezza; ma che hanno la giusta funzione di far vedere la distanza delle persone e pensieri politici da un fatto così privato come l’amore.
La fotografia esalta una scenografia funzionale ai contesti, si respira lo spirito del tempo nel paesino ordinato e oridnario emiliano, dove il professore erge la sua torre da un palazzo nobiliare decadente e ne fa un centro sociale per giovani.
Si nota il bianco arso dal sole della vuota piazza del paese dove non c’è molta umanità in giro con cui condividere lo sconforto, ma rimane solo il dolore della madre del professore, stanca delle accuse sul figlio perchè omosessuale.
Un film dunque che invita a riflettere, a sentire il disagio profondo di chi ha una vita sentimentale mai libera e violentemente condannata dalla società, negli anni ‘60, come ancora oggi, bisogna ribellarsi e dare libertà ai sentimenti di ognuno.
★ ★ ★ ★