
26 Gen 2025 L’abbaglio è uno spiraglio di luce in un mare di scenette
Il film L’abbaglio (2025), diretto da Roberto Andò e scritto insieme a Ugo Chiti e Massimo Gaudioso, racconta la vicenda della spedizione dei Mille in Sicilia nel 1860. Tra i titoli più attesi di gennaio 2025, il film è uscito nelle sale il 16 gennaio, distribuito da 01 Distribution. Si tratta di una nuova opera che vede nuovamente il trio composto da Toni Servillo, Salvo Ficarra e Valentino Picone unire le forze dopo il successo de La stranezza (2022), tentando di raccontare uno spaccato di storia d’Italia. Ecco la recensione de L’abbaglio, il film diretto da Roberto Andò con Toni Servillo, Ficarra e Picone.

L’abbaglio, la trama del film di Roberto Andò con Toni Servillo, Ficarra e Picone
Nel 1860, Giuseppe Garibaldi parte da Quarto per dare il via alla leggendaria impresa dei Mille, accompagnato dall’entusiasmo di giovani idealisti provenienti da ogni angolo d’Italia. Per depistare il comandante svizzero al servizio dell’esercito borbonico, Garibaldi incarica il colonnello palermitano Vincenzo Orsini (Toni Servillo) di orchestrare una manovra diversiva, simulando una ritirata strategica dall’isola. Tra i soldati reclutati spiccano due siciliani: Domenico Tricò (Salvatore Ficarra), un contadino che ha lasciato il Sud per cercare fortuna al Nord, e Rosario Spitale (Valentino Picone), un baronetto bravo a imbrogliare la gente con le carte.

L’abbaglio, la recensione: una storia passata in sordina
L’abbaglio prende spunto da una vicenda storica poco conosciuta, la colonna Orsini venne citata più volte dallo scrittore siciliano Leonardo Sciascia (Il giorno della civetta, A ciascuno il suo), mentore letterario dell’ultima impresa del regista Roberto Andò, tornato a fondere realtà e fantasia affidandosi ancora una volta alla scrittura condivisa con Ugo Chiti e Massimo Gaudioso e contando su una considerevole produzione. Il regista utilizza il potere del cinema per dare, attraverso la verità storica, una luce, o meglio l’abbaglio, di quelle promesse fatte ma tradite, e che continuano a gravare sull’Italia contemporanea.
Le grandi aspirazioni del Risorgimento e le disillusioni naufragate sotto il peso di compromessi si incrociano su metaforiche interpretazioni. Come già accaduto in La Stranezza, Toni Servillo dà vita a un personaggio storico, Vincenzo Orsini, mentre Ficarra e Picone si calano con ottima maestria nei panni di due figure di fantasia. Toni Servillo, affiancato dal tenente Ragusin (un simpatico e fin troppo sistemato Leonardo Maltese) non si limita a confrontarsi con lo sconforto provocato dai due soldati disertori, ma si trova anche faccia a faccia con un Garibaldi reso vivo sullo schermo da un potente Tommaso Ragno.
Ne L’abbaglio, Garibaldi comprende che la sproporzione delle forze potrebbe portare alla disfatta della missione più importante della sua vita. Per ribaltare la situazione, mette a punto un piano: affidare al colonnello Orsini una colonna, composta da un piccolo drappello di soldati, a cui spetta l’arduo compito di far credere al comandante svizzero dell’esercito borbonico, Jean-Luc Von Mechel (un severissimo Pascal Greggory), che Garibaldi stia ritirandosi nell’entroterra siciliano. La missione culmina nel borgo di Sambuca, dove il silenzio dei popolani si rivela decisivo per il successo dell’impresa.
L’abbaglio, la recensione: una lucetta in un mare di siparietti
L’abbaglio che emerge nel finale, quando gli idealisti, Orsini incluso, si rendono conto che l’unità d’Italia, pur cambiando tutto, non ha cambiato nulla di sostanziale è il senso che Andò collega all’inganno attraverso cui i personaggi di Domenico Tricò e Rosario Spitale riescono inaspettatamente a salvare la colonna e a garantire il successo della spedizione.
Ficarra e Picone interpretano due opportunisti che si uniscono alla spedizione per approfittarne e arrivare in Sicilia. Dopo aver disertato subito dopo gli scontri iniziali a Marsala, vengono catturati e costretti a unirsi al piccolo gruppo di soldati guidati da Orsini. Il loro percorso, da cialtroni a protagonisti inaspettati, li porta a essere parte degli eventi storici, cambiandone il corso. Andò riesce così a creare una narrazione parallela, una storia nella storia, che arricchisce la trama reale, grazie a due interpreti che dimostrano di saper interpretare con consapevolezza i loro personaggi, tra la loro classica comicità e più che ottimi momenti di dramma, particolarmente nella figura di Tricò, ovvero Ficarra.
Prima di arrivare al punto in cui i personaggi di Domenico Tricò e Rosario Spitale si trasformano da due codardi disertori a inaspettati protagonisti degli eventi storici, il film dedica un’intera ora a siparietti e momenti comici che, a una prima impressione, sembrano poco più che episodi fini a se stessi. Due disertori della spedizione dei Mille si rifugiano in un convento siciliano: è forse l’idea per un nuovo film del duo comico? Questi sketch includono il continuo battibecco e scene che, pur strappando qualche sorriso, appaiono ripetitivi e privi di una reale funzione narrativa.
È in questo segmento che viene introdotto il personaggio di Assuntina, interpretata da Giulia Andò, già presente ne La stranezza. Il ruolo di Assuntina, seppur inizialmente intrigante, non aggiunge profondità alla storia e finisce per risultare vuoto, contribuendo solo a rallentare il ritmo della narrazione, aggiungere minutaggio e assegnare un ruolo femminile ad un cast che poteva restare totalmente al maschile, senza alcuna discriminazione di fondo.
Il film emerge con una prima parte che cerca di allungare il tempo prima che la trama principale prenda realmente il via. Sebbene i momenti comici siano in linea con il tipico stile di Ficarra e Picone, che richiama gran parte del pubblico, la loro utilità nell’economia del racconto è discutibile. Quando, infatti, il vero sviluppo dei personaggi si manifesta, avviene in un contesto completamente separato da ciò che era stato costruito fino a quel momento.
È solo dopo che Tricò e Spitale vengono costretti a tornare nella colonna Orsini che la loro evoluzione prende una direzione concreta, lasciando molti di quegli sketch iniziali fini a chi viene in sala solo perchè ha visto i due nel poster del film.
Il vero punto critico arriva quando, dopo essere stati caratterizzati come codardi e disertori, Tricò e Spitale vengono inaspettatamente incaricati di un ruolo cruciale in una delle battaglie della colonna prima di raggiungere Sambuca. Affidare a due personaggi palesemente inaffidabili il compito di posizionarsi sulla rocca di Corleone, con un cannone, per spaventare le truppe borboniche è difatti una scelta improbabile quanto forzata. Il film chiede allo spettatore di sospendere troppo l’incredulità: come si può giustificare che due uomini, che hanno dimostrato la loro inettitudine, vengano posti in una posizione strategica così determinante? Si tratta di un film fortemente storico, sì con personaggi di fantasia, ma pur sempre storico.
Sebbene funzionale al paradosso che Andò vuole portare avanti come ne La stranezza, i due attori passano nel film da scene di comicità eccessiva ad una risoluzione pre-finale della missione di Sambuca con un’incoerenza rispetto alla costruzione dei loro personaggi. In definitiva, L’abbaglio vorrebbe richiamare il grande capolavoro La Grande Guerra (1959) di Mario Monicelli, ma risulta, a malapena, il suo abbaglio.
★ ★ ½