Recensione del film Io sono ancora qui

Io sono ancora qui: la vitale dignità di essere (stato)

Dopo aver conquistato diversi premi in campo internazionale con alcuni dei suoi film, l’autore brasiliano Walter Salles torna sul grande schermo a ben 12 anni di distanza dal precedente On the road del 2012. Io sono ancora qui è stato infatti presentato in anteprima all’81° Festival del Cinema di Venezia, nella quale occasione ha ottenuto il premio Osella per la migliore sceneggiatura, per poi venire distribuito nelle sale dal 30 gennaio 2025. Ecco di seguito la recensione di Io sono ancora qui, il film diretto da Walter Salles candidato al premio Oscar.

Io sono ancora qui, la trama del film di Walter Salles

Con il titolo originale Ainda estou aqui, il film è la decima regia di un autore come Walter Salles, vincitore del premio BAFTA al Miglior film non in lingua inglese per Central do Brasil (che vinse anche l’Orso d’Oro al Festival di Berlino) e per I diari della motocicletta, oltre a tanti altri riconoscimenti di prestigio. A distanza di ben 12 anni da On the road del 2012, il regista torna sul grande schermo adattando la sceneggiatura scritta da Murilo Hauser e Heitor Lorega, a sua volta tratta dall’omonimo libro di memorie di Marcelo Rubens Paiva.

Quest’ultimo raccoglie infatti i ricordi anche e soprattutto di un periodo ben specifico della sua vita, ovvero il 1971, quando suo padre venne portato via dalle autorità del suo Paese. Con Io sono ancora qui ci troviamo infatti nella Rio de Janeiro dell’inizio degli anni ’70 e vede come protagonista Eunice Facciolla, moglie dell’ex deputato del PTB Rubens Paiva e madre di cinque figli.

Un giorno all’improvviso, la donna vedrà il proprio compagno portato via dalle autorità della dittatura che ha preso il potere in Brasile, non ricevendo più sue notizie. Cercando di mantenere intatta l’emotività dei suoi figli, Eunice è costretta a non arrendersi alla disperazione e fare di tutto per la verità su suo marito e su tante altre vittime come lui.

Io sono ancora qui, la recensione: tutte le vittime della dittatura

Torno presto tesoro.

Fra i tanti titoli, il 2024 ha visto anche passare nelle sale film come Emilia Perez di Jacques Audiard, Civil War di Alex Garland e La stanza accanto di Pedro Almodovar. Il primo, a suo modo, accende un importante faro sulla questione socio-politica dei Desaparecidos, per poi irrompere emotivamente nel racconto cinematografico. Il secondo pone il suo principale focus sulla teoria dello sguardo, della necessità di scattare una fotografia, di immortalare la storia, mentre il Paese brucia, perché qualcuno dovrà pur raccontarlo. Il terzo film vede una donna (figura che unisce le due facce della stessa medaglia delle attrici protagoniste) sospesa in un limbo, in attesa di una morta che non sa quando arriverà, ma che sa dovrà arrivare, facendo i conti con essa in modo reale e tangibile.

Prendendo tali elementi, in ordine sparso, si arriva così a io sono ancora qui di Walter Salles. La carriera del regista brasiliano parlerebbe da sola, tornando alla ribalta 12 anni dopo il suo ultimo film in occasione del Festival di Venezia, vincendo anche il premio per la Migliore Sceneggiatura ed inaugurando una vincente stagione dei premi fino alla Notte degli Oscar. Effettivamente, la sceneggiatura del film con titolo originale Ainda estou aqui rappresenta un punto di forza (al primo si arriverà più avanti) di un’opera che potremmo definire disperata.

La disperazione è infatti quella di una persona che deve accertarsi dell’effettiva morte di un famigliare, di qualcuno a lei cara, e quasi arrivare alla gioia nel leggere il suo ufficiale decesso. A questo porta la straziante piaga della storia dei vari Desaparecidos, sparsi in tutti i Paesi ed in tutti i periodi storici per condizioni diverse, ma socialmente e politicamente ancorata ovviamente alla realtà dell’America Latina. Tornando infatti alla necessaria e fondamentale importanza della fotografia, della documentazione, della ripresa, Salles immortala il contesto della dittatura brasiliana del 1964, non nascondendo i suoi orrori ma mostrando il tutto attraverso i pesanti occhi delle sue vittime “indirette”.

Prendendo contatto diretto negli anni con la famiglia dell’autore del libro delle memorie, il regista si concentra principalmente non tanto sul Rubens Paiva rapito, quanto sui membri della sua famiglia rimasti nell’oscurità più totale. Io sono ancora qui ricostruisce la loro vita, i piccoli gesti quotidiani, la crescita dei figli, gli spazi della casa, i battibecchi e gesti d’affetto all’interno della famiglia, per poi mostrare come tale cerchio venga brutalmente spezzato.

Come la protagonista Eunice Facciolla Paiva, lo spettatore resta in attesa di qualche risposta, con la visione che porta a sostenere l’enorme peso e responsabilità nel ruolo della madre di casa: da una parte cercare di proteggere il più possibile i propri figli dal dolore, dall’altra parte volersi attivare per cercare di avere giustizia non soltanto per suo marito e per la sua famiglia, ma anche per coloro che vivono la stessa situazione.

Nel mostrare il dolore di Eunice, il film non si dimentica di mostrare anche gli effettivi danni cagionati dalla dittatura, dall’abuso di potere e dalla violenta repressione, anche con immagini forti di tortura (soprattutto dal punto di vista psicologico). Ma nell’epopea di questo war-movie (il film si dirama nel tempo per diversi anni), il regista e la sceneggiatura non spettacolarizzano mai la visione, mantenendo un forte rigore e rispetto per l’umanità della sua protagonista con infinita pacatezza e dignitosità.

Una forza ed una resilienza che otterrà alla fine il suo “premio”, da troppo tempo agognato e che pone un sorriso sulla morte. Un finale per certi versi cinico, che però pone l’accento sulla coesione di una famiglia rimasta unita, nonostante tutto. Una famiglia che ha vissuto direttamente l’Inferno ma che, grazie ad una fotografia, ad un filmino, ad un libro di memorie, a testimonianze della storia può dire “Io sono ancora qui”.

Io sono ancora qui, la recensione del film

Io sono ancora qui, la recensione: un emotivo film biografico che non esce dagli schemi

Come può qualcuno entrare in casa tua, portarsi via tuo marito, un padre di famiglia, un ingegnere e sbatterlo in galera per poi dirti “è sparito”.

Il film di Walter Salles è dunque una drammatica e straziante fotografia delle vittime della dittatura (brasiliana), per molte “fotografie” che, a distanza di 50 anni, continuano ad essere scattate non soltanto in Brasile e nell’America Latina, ma in tutto il mondo. Un’opera dunque rigorosa, precisa, determinata che, tuttavia, pecca nel rimanere delimitata dal riquadro di quella stessa fotografia.

Riferendosi in questo caso esclusivamente ad elementi “cinematografici”, il regista presenta su schermo un film storico e biografico (si rifiuterebbe in questo caso l’etichetta di biopic) alquanto lineare e posato, convenzionale, si potrebbe arrivare a definire “standard”, senza particolari guizzi ad esempio in termini narrativi, di messa in scena o altri elementi che permettono di uscire dagli schemi.

Tale mancanza di originalità non deve necessariamente essere un fattore negativo da addebitare a Io sono ancora qui, anche perché è stato accennato come il rifiuto di un certo tipo di spettacolarizzazione è solo che ben accetto. È altrettanto vero che, tuttavia, la visione del film presenta qualche tempo morto di troppo, senza considerare un minutaggio che avrebbe potuto vedere una gestione migliore, nonostante l’ampia epopea temporale dei protagonisti.

Insomma Io sono ancora qui è un titolo storico e biografico su Eunice Facciolla Paiva e sulla sua famiglia alquanto lineare, anche troppo, dove la natura simil-documentaristica prende il sopravvento, non presentando troppi guizzi in termini registici e di messa in scena che possa rendere memorabile la visione. Tuttavia, il vero motore ed il punto di forza principale del film è la drammatica emotività rilasciata su schermo, per la quale la protagonista Fernanda Torres è assoluta colpevole.

L’attrice brasiliana debuttante nel 1983 con Inocência di Walter Lima Jr. regge tutta la visione sulle sue spalle, tanto fragili quanto necessariamente robuste, e con i suoi occhi, mettendo in scena una prova particolarmente sofferente e, per certi versi, anche spregiudicata. La sua interpretazione è stata acclamata già alla presentazione al Festival di Venezia e continuando su quella scia, con Fernanda Torres che diventa la prima attrice brasiliana a vincere il Golden Globe.

Si attende ora il destino del film alla prossima Notte degli Oscar, con Io sono ancora qui candidato a Miglior Film, Miglior Film Internazionale e proprio alla Miglior Attrice Protagonista.

★ ★ ★ ½

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Vittorio Pigini
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Laureato in Giurisprudenza, diplomato in Amministrazione Finanza e Marketing, ma decisamente un Hobbit mancato. Orgogliosamente nerd e da sempre appassionato al mondo cinematografico, con il catartico piacere per la scrittura. Studioso della Settima Arte da autodidatta, con dedizione e soprattutto passione che mi hanno portato a scrivere di cinema e ad avvicinarmi alla regia.