
10 Mag 2025 The Legend of Ochi, la recensione del nuovo film targato A24
Dopo l’anteprima al Sundance Film Festival dello scorso Gennaio, arriva nelle sale italiane grazie a I Wonder Pictures il nuovo fantasy prodotto da A24, che vede tra i suoi interpreti Willem Dafoe ed Emily Watson, nonché la giovanissima Helena Zengel (Notizie dal Mondo) nel ruolo della protagonista e Finn Wolfhard (Stranger Things, It, Ghostbusters). Il film costituisce l’esordio alla regia di un lungometraggio di Isaiah Saxon, cofondatore dello studio di animazione Encyclopedia Pictura.
The Legend of Ochi, la trama del film con Helena Zengel e Willem Dafoe
Un piccolo villaggio a Nord di un’imprecisata isola del Mar Nero, viene costantemente attaccato da alcune strane creature provenienti dalle foreste, chiamate Ochi. I lupetti, un improvvisato gruppo di piccoli cacciatori capitanato da Maxim (Willem Dafoe) continuano ad andare in avanscoperta con scarsi risultati, mentre Yuri (Helena Zengel), la figlia dello stesso Maxim, fa la conoscenza di un cucciolo di Ochi, insieme al quale intraprenderà un viaggio in solitaria nel tentativo di riportarlo ai suoi simili,
Nonostante il regista Isaiah Saxon provenga da corti animati, va subito detto che si trova perfettamente a suo agio con la realizzazione di un lungometraggio live action, al punto che sembra quasi riuscire ad incarnarne gli aspetti più interessanti di entrambi gli approcci.
Innanzitutto, Saxon decide di servirsi il meno possibile della computer grafica per animare le proprie creature e di affidarsi all’utilizzo di un burattino per il suo piccolo Ochi, che necessitava di di ben cinque persone per essere comandato. Quest’approccio pratico nei confronti della creatura, serviva, a detta dello stesso regista, a conferire un aspetto quanto più realistico e naturale possibile agli Ochi: Saxon ha dichiarato che per la scelta del design si è ispirato a veri animali, poiché l’intento era quello di suscitare nei bambini che avrebbero visto il film, la sensazione di star osservando un animale che ancora non conoscevano, piuttosto che un mostro inventato. Parallelamente a queste scelte che non possono far altro che ricordare i lavori di Jim Henson, nonché di Dante e Spielberg (e quindi Rambaldi), con i quali la pellicola di Saxon detiene un evidente debito, il regista, il direttore della fotografia Evan Prosofsky e le altre maestranze, compiono un’interessantissima operazione di graficizzazione dell’immagine, al punto che a volte sembra quasi di stare davanti ad un film di animazione con attori in carne ed ossa. C’è un intervento materico sull’immagine i cui colori assumono la stessa resa dei pastelli su un foglio. Nel far ciò, il direttore della fotografia si è servito di particolari lenti risalenti agli anni ’30, ma quello che forse rende la pellicola così squisitamente pittorica è che per certi versi lo è nel vero senso della parola, dato che per rappresentare i molteplici paesaggi di questo “non posto” dove si ambienta il film, sono stati utilizzati più di 200 matte painting (fondali dipinti a mano)

The Legend of Ochi, una pellicola piena di suggestioni
La caratterizzazione visiva di The Legend of Ochi non si esaurisce ai suggestivi fondali, né alle creature: anche i personaggi umani sono portavoce di una marcata stilizzazione grafica. Il giubbotto giallo di Yuri o l’armatura di Maxim conferiscono agli stessi un’aura da fiaba illustrata. A questo proposito è importante sottolineare che il regista lavora molto sull’immagine e sulle sue relative simbologie. Nei suoi 95 minuti di durata, la narrazione si abbandona spesso a lunghi silenzi, i dialoghi sono semplici e immediati, quando non ridotti all’osso, e il regista preferisce lasciare spazio a gesti, espressioni o sguardi prima ancora che alle parole: emblematico in questo senso è il personaggio interpretato da Finn Wolfhard.
Fin dalle prime immagini ci rendiamo conto che Yuri è l’unico personaggio femminile del gruppo. Oltre ad essere mostrata subito in disparte, ci sono diversi elementi a differenziare i caratteri maschili da lei, e da quella che scopriremo essere sua madre. Mentre i maschi sono praticamente sempre rappresentati in atteggiamenti di caccia o di guerra (la già citata armatura di Maxim, il coltello che decide di regalare a Yuri, i fucili con i quali vengono continuamente inquadrati i lupetti), Yuri è invece molto più aperta al dialogo con la creatura ignota: lei stessa, come in seguito la madre con lei, viene rappresentata nell’atto di curare, piuttosto che in quello di fare del male. Il dialogo stesso verso l’altro diventa anch’esso un elemento da rappresentare visivamente attraverso l’utilizzo dei sottotitoli: è infatti grazie all’improvvisa comparsa degli stessi che lo spettatore si rende conto che Yuri diventa in grado di comprendere il linguaggio degli Ochi.
È altresì interessante come dei semplici ed immediati concetti vengano più volte reiterati dal regista, al punto che sono gli stessi personaggi a proiettare determinati comportamenti gli uni sugli altri. Vediamo il piccolo Ochi avvicinarsi con curiosità e premura ad un bruco, così come Yuri ha appena fatto con lui o ancora quando lo vediamo attaccare perché impaurito, proprio come gli umani e infine la madre della stessa Yuri che si prende cura di lei, proprio come lei ha fatto con il cucciolo di Ochi. Infine, attraverso le immagini ed i simboli, Saxon decostruisce gli stessi personaggi del suo racconto come nella sequenza chiave in cui il personaggio di Dafoe si scrolla di dosso il peso della paura, togliendosi di dosso la già citata armatura.

Concludendo, The Legend of Ochi è un film piccolo e schietto ma grande negli intenti e nella sua spettacolarità, che trova nella sua esigua durata la formula perfetta per raccontare quello che deve senza girarci troppo attorno, lasciando spesso la parola al comparto visivo, fatto di scenari mozzafiato, pupazzi che sembrano vivi e interpretazioni convincenti. La pellicola di certo non annoia mai ma se proprio volessimo evidenziarne un difetto, data la bellezza di quello che riesce a regalare, si ha la sensazione di rimanere un po’ a bocca asciutta, come se a fine film, di tutto questo mondo dipinto, ne volessimo ancora un po’.
★ ★ ★ ½
No Comments