
10 Gen 2025 Here è la Storia di uno spazio e del tempo che continua a scorrere
Distribuito nelle sale italiane il 9 gennaio, Here è il nuovo film di Robert Zemeckis, regista premio Oscar per l’ormai trentennale Forrest Gump con la indimenticabile interpretazione di Tom Hanks nella favola del sogno americano. Basato su Here, graphic novel di Richard McGuire, il film vede come protagonista Tom Hanks insieme a Robin Wright. I due sono affiancati dagli incredibili Paul Bettany e Kelly Reilly, padroni di uno spazio confinato da quattro mura.

Here, la trama del film di Robert Zemeckis con Tom Hanks
Here racconta la storia di un piccolo salotto che diventa il punto centrale di un viaggio nel tempo e nello spazio. Il film segue le vite di coloro che hanno abitato quello stesso luogo nel corso dei secoli. Ogni epoca porta con sé gioie, dolori, speranze e soprattutto ricordi, ricordi del luogo che hanno tenuto unite tante persone.
Al centro della narrazione ci sono Richard (Tom Hanks) e Margaret (Robin Wright), una coppia che affronta tutti i problemi di una famiglia normale, in lotta per trovare un proprio posto in un’America in cui sembra più difficile ritrovare le promesse dell’American Dream. Intrappolati in un salotto di una casa costruita nel 1900, i due protagonisti vivono un’esistenza fatta di sogni infranti e piccoli momenti quotidiani.
Here, la recensione: Robert Zemeckis e Tom Hanks ritornano nell’intimità dei ricordi di una famiglia
Robert Zemeckis torna a stupire con Here, un’opera concettuale che distorce i confini registici contemporanei. Basato sulla graphic novel di Richard McGuire, il film sceglie un piccolo salotto come palcoscenico principale, un angolo di mondo che si rivela l’epicentro di una storia. Zemeckis, insieme al team che lo ha affiancato in Forrest Gump — Tom Hanks, Robin Wright, lo sceneggiatore Eric Roth e il compositore Alan Silvestri — confeziona una commedia che colpisce nuovamente il cuore.
Here destruttura la forma cinematografica tradizionale, moltiplicando letteralmente finestre narrative sullo schermo, frammentando il tempo e lo spazio e utilizzando la profondità di campo per raccontare una storia che unisce l’intimità della famiglia ad una riflessione sulla memoria. Zemeckis dimostra ancora una volta di essere uno dei più grandi cineasti degli ultimi quarant’anni, non solo come pioniere dei VFX, ma come narratore capace di combinare intrattenimento, ottima regia e tecnologia in una sola inquadratura.
L’uso dell’intelligenza artificiale per ringiovanire (de-aging) digitalmente i protagonisti, Tom Hanks e Robin Wright, è un aspetto che non passa inosservato. Lungi dall’essere un passo verso l’abisso, come temuto dai più apocalittici, questa scelta è stata un po’ fuorviante per chi, conoscendo gli attori, è abituato a vederli ormai con i volti caratterizzati dall’avanzare dell’età. Anche se, la distrazione visiva provocata dimostra che il vero effetto speciale resta l’emozione, l’empatia che Tom Hanks e Robin Wright tentano di creare legando lo spettatore alla storia di una casa, che poi è quella di una coppia. Un film di emozioni: Here ne regala a piene mani in poco più di 100 minuti.
Il cuore del film è la memoria. Memoria che c’è e rimane col tempo e lo spazio – HERE – ci ricorda che siamo stati qui, ci siamo ora e, in qualche forma, continueremo ad esserci. Il film segna una maturazione della riflessione politica filmica per Zemeckis, che mostra Richard e Margaret, i protagonisti, come le vere vittime di un’America che non ha mantenuto le promesse dell’American Dream, confinando i suoi cittadini in una prigione.
Zemeckis gioca di spazi, relazione con gli spazi e ricordi e memorie che, anche quando svaniscono, basta un piccolo oggetto apparentemente insignificante per sfiorare l’immensità e quel senso di infinito cose che racchiude un solo angolo di un salotto.
Here, la recensione: ripercorre i frammenti della nostra storia
Se vi fermate per qualche ora su un qualsiasi pezzo di terra, potrete percepire i secoli di Storia che scorrono sotto i vostri piedi. Pensate a un angolo di una casa di periferia, su un terreno che un tempo era una distesa selvaggia e che un giorno sarà conosciuto come New Jersey.
Da lì, potreste osservare la vita in tutte le sue sfumature: dinosauri che passano, ere glaciali che si alternano, tribù indigene a caccia, rivolte contro le giubbe rosse e l’indipendenza americana. Immaginate camminare nel luogo in cui William Franklin ha ricevuto una palla di fango sulla schiena! Il progresso umano prende il volo con i primi aerei, si inventa la poltrona reclinabile e la TV trasmette il debutto dei Beatles all’Ed Sullivan Show. Nel frattempo, pandemie si susseguono, matrimoni iniziano e finiscono, e le famiglie vivono e muoiono.
Richard, un uomo che abbandona il sogno di diventare artista per garantire stabilità alla sua famiglia, e Margaret, la fidanzata del liceo che diventa sua moglie e madre di suo figlio e che invece di intraprendere una allettante carriera di studi per diventare avvocato, decide di assecondare il pensiero del suocero, veterano di guerra: “Avvocato? Perchè non pensa a fare la casalinga?”.
Zemeckis e lo sceneggiatore Eric Roth ricreano la struttura frammentaria del graphic novel di McGuire con transizioni che collegano epoche diverse attraverso piccoli dettagli: un albero di Natale del 1957 appare in una scena del 1917, una Model T scivola davanti a una finestra per poi essere sostituita da una Chrysler LeBaron. C’è da dire però che, se nelle pagine questo meccanismo potrebbe allettare il lettore nel notare la commistione di tempi diversi e gli stili grafici per rappresentare elementi di diverse epoche in una stessa tavola, sul grande schermo diventa un espediente che perde parte l’impatto che vorrebbe creare.
Il film tenta di ampliare la sua portata introducendo volti ricorrenti che attraversano i secoli, dai cacciatori Lenni-Lenape a una coppia bohémienne degli anni ’40, fino a genitori moderni che parlano al figlio adolescente di colore su come affrontare un incontro con la polizia. Ma molti di questi momenti sono appena accennati, perdendo l’occasione di creare un denso racconto corale.
La narrazione si concentra invece quasi esclusivamente su Richard e Margaret, seguendo le crepe del loro rapporto nel corso dei decenni. Non è da sottovalutare che Zemeckis abbia voluto soffermarsi sulla scena in cui una famiglia di colore da le indicazioni al proprio figlio su come comportarsi e su come restare vivo quando un poliziotto bianco ti ferma. Zemeckis rappresenta qui infatti l’attimo più potente del film (ricordiamo che è la famiglia degli anni 2020+), seguito solo dal finale un po’ blando e buonista, ma che racchiude l’intero concetto dietro alla storia.

Here, la recensione: il tempo scorre, lo spazio resta
Se da un lato lo spazio è il cuore della storia, gli spettatori più attenti si saranno accorti che il tempo è ciò che fa da anima alla narrazione. Il tempo è stato compresso, ridotto e intrecciato attorno a pochi archi narrativi, assumendo una struttura più discorsiva.
Le storie di vita ordinaria, spesso piccolo-borghese, dell’America provinciale sono infatti una serie di racconti intimi ma poco incisivi. Il risultato è una riflessione sul passare del tempo e sulla inevitabile mortalità, un tema che funziona particolarmente per un pubblico di mezza età, sicuramente anche molto più legato agli spazi borghesi. Facendo ciò, però, il rischio è quello di escludere le altre generazioni.
Nel cast anche Michelle Dockery che interpreta una donna di fine Ottocento, momento in cui la messa in scena teatrale porta a una certa rigidità nei movimenti e nei dialoghi, con performance a volte troppo costruite e meccaniche. Tom Hanks e Robin Wright hanno tutto sommato delle interpretazioni solide, ma che vengono in alcuni momenti oscurati dall’intensità dei personaggi di Paul Bettany e Kelly Reilly, che portano in alto alcuni dei momenti migliori del film.
Nonostante questi limiti, Here rimane un film visivamente ricco e molto intimista, un’esperienza che parla soprattutto a una determinata fascia d’età e porta una riflessione personale e malinconica sul tempo che passa.
★★ ★ ½