
11 Ott 2024 Il robot selvaggio è un wild assemble che scalda i circuiti
Distribuito nelle sale italiane dal 10 ottobre 2024, Il robot selvaggio è il nuovo film dello studio DreamWorks scritto e diretto da Chris Sanders. Il regista di Lilo & Stitch e Dragon Trainer ci immerge in una nuova favola d’integrazione e di convivenza, abbracciando delicatamente il rapporto tra Natura e tecnologia e spingendosi alla “progettazione” degli esseri umani, pur senza mai farli partecipi dell’azione. Ecco di seguito la recensione di Il robot selvaggio.
Il robot selvaggio, la trama del nuovo film DreamWorks
Il nuovo e 48° lungometraggio d’animazione, dello studio di Shrek e Kung Fu Panda, è basato sull’omonimo romanzo illustrato di Peter Brown. In seguito ad un tifone, la nave cargo di una compagnia disperde alcuni dei robot che trasportava, con solo uno di questi che riesce a sopravvivere al naufragio. Progettato per servire gli umani, l’unità ROZZOM 7134 (per gli amici Roz) viene accidentalmente azionata su un’isola priva di esseri umani, ma densamente popolata da animali selvatici.
Dopo aver passato giorni sull’isola, incapace di poter aiutare clienti come da progettazione, Roz è costretta ad imparare il linguaggio della fauna locale per poter interagire ma, un giorno, viene inseguita da un orso che le farà distruggere per errore un nido di oche. Solo un uovo resta intatto, con l’istinto di Roz che la porta a proteggerlo fino a quando si schiuderà, con il piccolo che individuerà il robot come sua naturale madre.
In collaborazione con la furba volpe Fink, Roz si ritrova sempre più immersa nella realtà selvaggia, portando avanti il suo nuovo compito: quello di madre. Ma la compagnia proprietaria del robot è pronta a riportare a casa il proprio prodotto a tutti i costi.

Il robot selvaggio, recensione: wild assemble
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Ancora in attesa di altri titoli di spicco, come ad esempio Il Signore degli Anelli – La guerra dei Rohirrim, il 2024 continua ad essere un anno ricco di affascinanti film provenienti dal cinema d’animazione. Oltre infatti al colosso Inside Out 2 di casa Disney-Pixar, ci sono stati altri intriganti titoli come Orion e il Buio per Netflix, Transformers One, il Flow presentato in anteprima al 77° Festival di Cannes e Kung Fu Panda 4.
Sempre da casa DreamWorks arriva anche Il robot selvaggio, 48° film del celebre studio dietro a Shrek che, la storia del cinema d’animazione, l’ha riscritta per sempre. Autore di Lilo & Stitch, di Dragon Trainer o – ancor più inerente in questo caso – di Il richiamo della foresta, il nuovo film di Chris Sanders “incarna” innanzitutto proprio un’importanza storica, come ultimo a venire autoprodotto ed autoanimato dallo studio della DreamWorks.
Un cambio di passo, un legame tra vecchio/tradizione e nuovo/avanzamento, cosa che in Il robot selvaggio acquista anche una valenza narrativa oltre all’aspetto prettamente grafico. Già dal titolo si assiste infatti ad un ossimoro. Come può un robot essere “selvaggio”, quando dovrebbe rispettare i dati di programmazione di una macchina calcolatrice? Ciò avviene infatti in assenza dell’uomo, senza il quale la macchina perderebbe la propria ragione d’essere e, proprio per questa assenza, Roz può imparare a conoscere la vita e i suoi insegnamenti, la propria Natura come la programmazione di sé stessi.
E per un androide cosa ci sarebbe di migliore per imparare il peso della ciclicità della vita se non attraverso la genitorialità. Il film sceglie infatti di virare anche verso l’arduo compito della maternità, di una madre spaesata ed improvvisata che le prova tutte per portare a termine il proprio compito; ma Il robot selvaggio va addirittura oltre, abbracciando la sua analisi di necessario adattamento. Si produrrebbe così dai suoi circuiti quello che ormai viene volgarmente etichettato come “inno”, in questo caso alla convivenza tra le specie e la pacifica realizzazione del corso della Natura.
Ricollocata nella realtà “civilizzata”, infatti, la tecnologia tenderebbe a tornare sprezzante (o meglio indifferente) al valore della vita, il quale torna ad essere un semplice elemento di una fredda equazione. Come però fatto notare dal regista e sceneggiatore in Roz rimasta sull’isola, la tecnologia non rappresenterebbe mai di per sé un’intrinseca ed inevitabile minaccia, in quanto oggettivo fattore immesso nella e dalla storia dell’uomo.
Se sfruttata con giudizio, questa può infatti essere un fondamentale collante per rendere pacifica e funzionale proprio quella convivenza tra le specie sulla Terra, quel tanto agognato “compito finale” da portare a termine. L’intervento, tuttavia, deve avvenire appunto con “giudizio” (evitando infatti di mettere prede e predatori all’interno della stessa stanza) e, non a caso, lo “spirito guida” della Roz protagonista è proprio una volpe, simbolo per eccellenza di intelligenza e sagacia.
Il robot selvaggio, recensione: un film che scalda i circuiti
A volte per sopravvivere dobbiamo diventare più di quello per cui siamo programmati.
Quel delicato e fondamentale “abbraccio”, tra Natura e tecnologia, viene restituito su schermo in Il robot selvaggio attraverso un altrettanto miscelato lavoro sulla composizione grafica del film. Si tratta pur sempre dell’adattamento di un romanzo illustrato, con il disegno a mano che diviene protagonista venendo importato nell’immagine e sposandosi con la fluidità dell’animazione moderna, restituendo una visione variopinta e particolarmente dinamica, oltre ad essere arricchita di importanti particolari.
Un tratto illustrativo che infatti riprende lo speciale lavoro eseguito nei precedenti Troppo cattivi e Il gatto con gli stivali 2 – L’ultimo desiderio, condividendo con quest’ultimo anche un vincente lato emotivo. Il regista di Lilo & Stitch torna a giocare con il diverso, l’alieno tra gli umani, il robot nella Natura selvaggia, facendo crescere a poco a poco il lato “umano” dei suoi protagonisti. A spingere ulteriormente il carico emotivo della visione è poi la splendida colonna sonora di Kris Bowers (Green Book, Una famiglia vincente), il quale riesce a toccare le giuste vibrazioni specialmente nel finale del film.
Destinato sicuramente ai più piccoli, anche e soprattutto per il delicato approccio adottato, il film sfugge da una visione puramente “infantile”. Presente in Il robot selvaggio infatti una certa maturità nella scrittura dei dialoghi ed anche una lieve “violenza” scaturita dalla cruda esistenza nella natura selvaggia, dove vige sempre la regola del più forte ed insegnando come la morte, l’abbandono, facciano parte della vita.
Con il film di Chris Sanders, tuttavia, non ci si riferisce ad un capolavoro dell’animazione contemporanea, presentando di per sé qualche sbavatura lungo il percorso. Al di là di una mancanza di fantasiosa originalità (tanto nella narrazione quanto nel comparto estetico visivo) il film presenta qualche sbandamento di troppo in termini di sviluppo narrativo più che di ritmo, con “partenze e ritorni” di troppo che macchiano specialmente l’atto conclusivo, oltre ad un clash finale che risulterebbe alquanto confusionario e sbrigativo.
Si tratta tuttavia ed appunto di sbavature e precisazioni, non togliendo a Il robot selvaggio una visione molto emozionante e che restituisce su schermo una meravigliosa esperienza visiva e sensoriale. In chiave campagna Oscar, Inside Out 2 sembrerebbe avere già la statuetta in manco, anche in relazione allo strabordante successo, ma anche Il robot selvaggio potrebbe tranquillamente dire la sua.
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