
17 Ott 2024 Megalopolis è il sogno lungo una vita di Francis Ford Coppola
Successivamente alla sua presentazione in anteprima il 16 maggio 2024 in Concorso alla 77ª edizione del Festival di Cannes e dopo quella alla Festa del Cinema di Roma, Megalopolis di Francis Ford Coppola è finalmente arrivato nelle sale. Un film epicamente molto atteso sotto tutti i punti di vista, specialmente se si fa riferimento ad uno dei più grandi maestri del cinema ancora in attività al suo 24° film. Ecco di seguito la recensione di Megalopolis con Adam Driver e Giancarlo Esposito.
Megalopolis, la trama del film di Francis Ford Coppola
In questa futuristica tragedia romana, che è Megalopolis, si prende spunto dalla letteratura latina, ma la sceneggiatura originale dello stesso regista comprende anche molti altri elementi raccolti da Francis Ford Coppola nel corso dei decenni. Figlio di una genesi produttiva lunga oltre 40 anni di vita, il kolossal è ambientato nella distopica città di New Rome, per una favola senza tempo che proietta la cultura dell’antica Roma nel futuro.
Tra le icone più illustri ed importanti della città vi è Cesar, abile architetto che ha vinto il premio Nobel per aver scoperto il rivoluzionario materiale noto come Megalon, attraverso il quale sogna di costruire la sua utopia più grande: Megalopolis. A contrastare il suo sogno vi è il sindaco di New Rome Cicero, conservatore ed intenzionato a non vedersi soffiare il suo potere politico dall’architetto.
La figlia del sindaco, Julia, si innamora tuttavia proprio di Cesar, ancora annebbiato dall’alcol e dai rimorsi per il suicidio di sua moglie. Sulla rotta verso Megalopolis inizierà a nascere una storia d’amore, mentre gli intrighi ed i giochi di potere di New Rome non daranno scampo a nessuno.

Megalopolis, la recensione: il dado è tratto
Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni.
Altro che Joker: Folie a Deux, il film più chiacchierato e divisivo del 2024 non può che essere l’ultima opera partorita dal genio di Francis Ford Coppola (e così deve essere). Fin dalla sua presentazione a Cannes Megalopolis è stato, col tempo, osannato e fortemente bocciato dalla critica internazionale, senza considerare problemi extracinema riferiti a questioni produttive, distributive e non solo.
Il più ambizioso progetto di uno dei giganti della storia del cinema stava e sta diventando tutt’ora un caso, ma penso che per il regista de Il Padrino e Apocalypse Now la più grande soddisfazione sia arrivata già al termine della sua post-produzione. Una soddisfazione personale, dell’anima, di chi si ritrova in quel momento faccia a faccia con la propria creatura e, come in questo caso, faccia a faccia contro sé stesso. Questo perché il ritorno al cinema del maestro di Dracula di Bram Stoker non avviene “solo” dopo un’attesa di ben 13 anni dal precedente Twixt, ma anche e soprattutto in seguito ad una genesi lunga più di 40 anni, lunga una vita.
La “favola” di Francis Ford Coppola – per salutare il mondo della Settima Arte da imperatore – è infatti il progetto tanto bramato, fin da bambino alla visione di quel La vita futura del 1936 di William Cameron Menzies. Megalopolis, proprio quella stessa Utopia ricercata con resilienza anche dal personaggio protagonista del film. “Gli artisti non possono perdere il controllo del tempo” e allora Coppola si immedesima nel suo protagonista capace di bloccarlo, per qualche istante o per davvero molto tempo.
Tra Nobel ed Oscar(s), i bozzetti da architetto/regista e la guida alla troupe edile/cinematografica, un ricordo in particolare resta infatti impresso nell’anima e nel corpo dell’artista, quello per la sua dolce metà, alla quale il film è doverosamente ed emotivamente dedicato. Ci sono veramente pochi dubbi sul fatto che Cesar e Coppola siano la stessa persona, chiamato alla più grande impresa della sua vita dimostrando che, il tempo, è sempre un concetto relativo.
Ad incarnare in pieno la contraddittorietà dello scorrere cronologico del destino non può che essere ancora una volta il cinema, quella fagocitante macchina dei sogni capace di prendere i suoi “edifici” e di consegnarli alla Storia, senza tempo, senza macchia. L’immortalità dell’Arte, tanto decantata dalla grande letteratura e dalle altre arti, torna anche in questo Megalopolis, con Cesar Coppola che assiste all’arido scenario attorno a sé, dove la Natura è praticamente assente in fauna e flora e, quando presente, questa riesce a risplendere di luce propria.
L’architetto/regista/Dio vede una luce in fondo a questo tunnel dismesso, che si discosta da mondani discorsi “pragmatici” come quelli della guerra al e di potere, o della continua avidità e servilità al Dio denaro. Cesar Coppola offre in ossimoro la sua soluzione, Megalopolis, l’Utopia, il cinema, l’Arte e la salvezza dell’anima, che non regala appunto soluzioni certe e facili ma permette di porre e porsi i giusti interrogativi.
A differenza di Cesar, tuttavia, Coppola fortunatamente o sfortunatamente il suo tempo lo ha già segnato sulle pagine di storia e non ha il potere di poterlo fermare. Quel che è fatto è fatto, ora tocca alle nuove generazioni e ai nuovi artisti mantenere viva questa Utopia per un mondo migliore.
Megalopolis, la recensione: la Babilonia degli imperatori
Quando muore un Impero? Forse crolla in un solo terribile momento…no…
Non si sfugge: Megalopolis è quello che volgarmente viene definito “testamento artistico” per un gigante del cinema come Francis Ford Coppola. Una favola, un sogno, che diventa così imprescindibile per la sua importanza metacinematografica, seguendo la carriera di chi ha offerto davvero molto al mondo della Settima Arte e verso il quale siamo tutti eterni riconoscenti. Ma rimanendo all’interno dei confini dello schermo ed arrivando appunto a porsi i giusti dilemmi suscitati da un’Utopia come Megalopolis, cosa offre la visione in sé del film?
Ecco, con questa semplice domanda vengono fuori i nodi al pettine dell’opera di Francis Ford Coppola, o meglio, anche le sue criticità, per un progetto forse più fascinoso che affascinante…ma andiamo con ordine. Ciò che urge infatti anticipare sotto questo aspetto più settoriale è che, oltre alla “favola”, la visione di Megalopolis corrisponde ed incarna su schermo l’esperienza onirica del suo regista. Un sogno lucido ed allucinato, dove tempo e spazio si mescolano senza condizione di causa. Ma quanto può durare un sogno? Facendo riferimento al titolo di un film italiano, recentemente passato al Festival di Venezia, si potrebbe rispondere con “il tempo che ci vuole” ed ecco che Coppola azzera questo fattore all’interno nel suo film, o meglio, ne risulta il vero padrone.
Il film segna infatti l’approdo del regista sul pianeta della fantascienza, un terreno sconosciuto e mai affrontato in oltre 60 anni di carriera come in questo caso. Girando per i grattaceli ed il Colosseo di New Rome, geniale e a dir poco intrigante la costruzione dell’immagine per rievocare la cultura dell’Antica Roma all’interno di una distopica città futuristica. Fanfare annunciano l’arrivo dell’imperatore/sindaco, giacche usate a mo’ di tunica, scenografie Classiche e gli stessi nomi dei protagonisti collaborano all’unisono per fermare il tempo e tornare indietro nel futuro.
Ma siamo distanti appunto millenni dallo splendore di quella civiltà che, con le proprie virtù, ha permesso alla razza umana di evolvere sotto tutti i punti di vista. Si cita la grande letteratura ma non si riesce a capirla e ad imparare dai suoi insegnamenti, l’oro che ricopre la messa in scena è opaco, spento e polveroso, l’Arte cade a pezzi e la Dea della giustizia è stanca (una sequenza, quella della “ronda notturna” con annesso ricordo custodito di Cesar, memorabile).
Quando cadrà il Colosseo cadrà infatti Roma e, quando cadrà Roma, cadrà il mondo intero, cosa ormai in procinto di avverarsi. Come se non bastasse, a soffiare sul fuoco di questa miccia sempre pronta ad esplodere ci pensano gli avidi intrighi di palazzo che circondano la “vergine” missione del protagonista. Per un Icaro che insegue con tutte le sue forze la sua Sunny Hope, volando con le fragili ali di genio e follia, vi è chi agisce nel cuore della notte volendo rubare la Luna per sé. Bellissimo in tal senso il personaggio del “giullare di corte” incarnato dall’ecletticità di Shia LaBeouf che, dopo Pieces of a Woman e Padre Pio, continua in un lungometraggio a ricoprire un ruolo chiave e con forse l‘interpretazione più convincente del cast, soprattutto grazie al range di follia offerto dal suo personaggio.
Non che il resto dei suoi colleghi non riescano a strappare una prova decisamente approvata: Adam Driver riprende in un certo modo il peso di un ruolo di solenne icona all’interno della narrazione come per Ferrari o Annette, mostrando la propria potenzialità e l’altrettanto fragilità; Giancarlo Esposito riesce a reggere il ruolo di finto-villain, con le giuste sfaccettature per un padre che ama sua figlia più della sua città e del suo potere; le bellezze mozzafiato di Nathalie Emmanuel e Aubrey Plaza offrono invece due donne forti ma che si riflettono senza toccarsi, una indirizzata verso l’amore, la famiglia ed il suo futuro, l’altra ferma al suo presente e alla rapida occasione di scalata sociale ed economica.

Megalopolis, la recensione: la megalomania di un sogno
…ma arriva un tempo in cui il suo popolo non crede più in esso.
Alla domanda precedentemente posta, “Quanto dura un sogno?”, si potrebbe anche rispondere 138 minuti, la durata del film. Megalopolis è il sogno di Francis Ford Coppola e, come tale, vive all’interno di esso, dove trova la sua naturale dimensione atemporale. L’aspetto più affascinante dell’intera opera, dell’intero progetto, resta allo stesso tempo anche il suo limite più grande, con la necessaria “violenza artistica” del suo autore che non può evitare di tramutarsi in un vero e proprio boomerang. La mente di Francis Ford Coppola è infatti il pregio più grande e la più ingombrante criticità di Megalopolis, volendo qui entrare nel merito rispondendo alla domanda: cosa resta del film se la grande questione metacinematografica viene posta a margine?
Resterebbe un grande caos, tanto in termini narrativi quanto di esperienza cinematografica in sé. Al termine della visione di Megalopolis non può certamente venire soppressa una certa emozione, ma la confusione su quanto appena visto resta comunque presente ed il fatto di aver assistito alla proiezione di un sogno non può essere la chiave al “va bene tutto”. Per quanto riguarda l’esperienza visiva del film, oltre a qualche raccordo di montaggio che suscita più di una perplessità, lo stile di ripresa è spesso schizofrenico cambiando (anche ingiustificatamente) prospettiva dello sguardo con innaturale dinamismo tra primi piani, campi larghi ed inquadrature sghembe, il quale non riesce a far metabolizzare appieno le immagini, di per sé fortemente evocative.
Un plauso infatti all’eccezionale fotografia di Mihai Mălaimare Jr., che già collaborò con il regista proprio per Twixt (ed in alcuni casi il fatto è molto evidente per il particolare lavoro svolto nel film del 2013), con molte trovate visive impresse sullo schermo con tanta potenza quanta eleganza, come la già citata sequenza della “Luna rubata nel cuore della notte” o un bacio sospeso tra le nuvole. Oltre agli evidenti meriti, tuttavia, i massicci effetti speciali impiegati non possono che far storcere spesso il naso, per un colpo d’occhio anche sgradevole e che troverebbe la sua funzionale dimensione in quella onirica e tornando al problema sopracitato.
Oltre alle criticità dal punto di vista estetico-visivo, il punto interrogativo più grande resta quello legato principalmente alla colonna sonora Osvaldo Golijov e Grace VanderWaal, che non solo non riesce a trovare una giusta e precisa identità pur spaziando continuamente tra i generi ma, a livello proprio di tempistiche, troppo spesso non riesce fatalmente ad accompagnare la narrazione e le azioni dei suoi personaggi.
Il tempo nel cinema si tramuterebbe sostanzialmente nel montaggio (anche e soprattutto sonoro) e questo sembrerebbe infatti andare per conto suo, provando un’operazione audace di metafora cinematografica sul regista (Cesar) pieno padrone del tempo e che dimostra il suo potere manipolandolo a suo piacimento (una soluzione ardita che non farebbe altro che enfatizzare negativamente il senso di megalomania attualizzato in sede produttiva). Superando l’esperienza sensoriale di Megalopolis, le criticità arrivano anche dal punto di vista della sceneggiatura che si immerge in un calderone logistico.
Nel film il richiamo più forte è ovviamente quello legato all’Antica Roma, ma si fa riferimento anche ad un pericoloso satellite sovietico (con forti rimandi a Putin e a rischio nucleare nella guerra in Ucraina), c’è una certa rievocazione dell’assalto a Capitol Hill (sempre più di “moda” nel cinema come è naturale che sia) e sui giornali si parla di Michael Jordan e Alfred Hitchcock. Quella di Megalopolis dovrebbe essere infatti una storia ambientata in un non-tempo, la quale tuttavia inghiotte caoticamente tutto quello che trova nel presente (in maniera anche eccessiva), oltre a ritrovarsi in un non-luogo troppo ancorato agli Stati Uniti.
In tal senso è debole l’approccio alla fantascienza e alla distopia fantastica di New Rome, con Coppola che infatti non riesce a costruire la sua “Gotham”, ovvero una città distopica ed immaginaria capace di trasmettere valori universali proprio grazie al suo contesto puramente asettico. La Statua della Libertà, la bandiera a stelle e strisce (addirittura quella dei Confederati) e molti altri elementi di New Rome non farebbero “semplicemente” altro così di proiettare gli Stati Uniti (New York) avanti nel futuro, senza quella spinta in questo caso necessaria in termini di originalità nonostante la vincente intuizione della “rievocazione di storia romana”.
Una Babilonia destinata a cadere per risollevarsi dalle sua macerie, ma ciò che arranca in Megalopolis al termine della visione è anche lo sviluppo dell’intreccio narrativo circa come avviene questa fragorosa trasformazione. Oltre a qualche richiamo di trama confuso e caotico, non sono pochi i momenti che non permettono un adeguato scorrimento oliato della storia. La questione del satellite ribaltata e spedita con questa leggerezza fa sicuramente male, la sottotrama legata al personaggio di Crassuss (un’interpretazione goffa che trova nel “Cupido vendicativo” una sequenza alquanto grottesca) non tornerebbe in termini di logicità narrativa, così come la strategia di Cicero di liberarsi di Cesar e farlo allontanare dalla figlia Julia.
Ma questi sono solo alcuni dei molteplici esempi che si potrebbero produrre sulla caoticità narrativa ed espositiva di un film come Megalopolis che, nonostante tutto, resta un’opera non solo importante ma anche necessaria per il suo coraggio e potenza evocativa. Pur riconoscendo molte criticità che si porta dietro, infatti, resta praticamente impossibile non riconoscere la sua bellezza nonostante i suoi difetti. Megalopolis è Francis Ford Coppola ed il cinema (e noi) abbiamo bisogno di Megalopolis.
★ ★ ★ ★
No Comments