Recensione del film horror Shining

Shining ci immerge nell’Overlook Hotel, teatro degli orrori della storia americana

Il 22 dicembre del 1980 arriva in Italia Shining, il film horror scritto e diretto dal maestro Stanley Kubrick. Basato sul celebre romanzo di Stephen King, il film vede come protagonista l’incredibile coppia formata da Jack Nicholson e Shelley Duvall, con le vicende narrate all’interno dello spettrale Overlook Hotel destinate a segnare la storia del cinema. Ecco di seguito la recensione di Shining, primo ed unico film horror diretto da Stanley Kubrick.

Shining, la trama del film horror di Stanley Kubrick

Su sceneggiatura dello stesso regista, in collaborazione con Diane Johnson, Shining è tratto dall’omonimo romanzo scritto da Stephen King nel 1977. Formata dal padre Jack, la madre Wendy ed il piccolo Danny, il film vede come protagonista la famiglia Torrence trasferirsi nel lussuoso albergo di montagna Overlook Hotel.

Scrittore in crisi con problemi di alcolismo, Jack ha infatti accettato l’incarico di custode della struttura per il periodo invernale, sperando così di avere tempo e tranquillità per portare avanti il proprio romanzo. Tuttavia, l’oscuro passato dell’Overlook Hotel sta per riemergere, con i suoi fantasmi ed il logorio dell’isolamento che stanno portando Jack a perdersi nella follia e diventare un pericolo per la propria famiglia.

Shining, la recensione: l’Overlook Hotel teatro degli orrori della storia americana

Il mattino ha l’oro in bocca.

Si potrebbe spendere un fiume di parole per descrivere un’opera come quella del 1980, partorita dal puro genio di un maestro come Stanley Kubrick, e questo sì che andrebbe a riempire un vero romanzo, non come le centinaia di pagine di parole al vento lasciate dalla pazzia di Jack Torrence. Dopo al flop al botteghino di un’altra perla del grande cinema, come il Barry Lyndon con Ryan O’Neal, il regista di 2001: Odissea nello Spazio stava infatti cercando di risollevare la situazione e puntando, questa volta, su un “colpo sicuro”, quello dell’horror, da sempre uno dei generi più amati dalle produzioni cinematografiche.

Tuttavia, si tratta per il maestro di Arancia Meccanica della prima volta alle prese con questo particolarissimo genere, lui che non si è mai tirato indietro nel virare ogni volta verso una direzione diversa, che sia il melodramma, la fantascienza, il film di guerra o quello in costume. Kubrick si ritrova così bloccato nel suo ufficio a cercare la storia perfetta per il suo prossimo film e, alla fine, trova la luce (anzi, la Luccicanza) nello Shining di Stephen King.

Si tratta di una storia a dir poco perfetta per l’autore newyorkese, volta a continuare ad esplorare l’inconscio e la follia umana nella sua forma più violenta e che, in questo modo, ha anche occasione di dedicare le proprie pagine di sceneggiatura alla violenza disumana della storia americana. Molto, se non tutto, all’interno di questo “trascurato” Hotel da custodire rievoca un grido di dolore e vendetta del popolo dei nativi: le fondamenta costruite sui resti di un loro cimitero, l’iconografia dell’orso presente dall’inizio alla fine, nonché le stesse sale ed elementi d’arredo degli interni dell’Overlook Hotel.

Stretto il legame da questo punto di vista proprio con la celeberrima ed enigmatica fotografia mostrata al termine del film, non a caso datata 4 Luglio e che vede al centro il personaggio protagonista di Jack Torrence. Una spettrale Storia destinata a ripetersi quindi, continuando a glorificare e celebrare la Nascita di una Nazione che ha trovato i suoi natali nel sangue degli innocenti. Attraverso un sagace ed apparentemente invisibile gioco di specchi, Kubrick immerge lo spettatore totalmente all’interno dell’Overlook Hotel, di questa struttura lussuosa ed apparentemente impeccabile che si mostra casa di fantasmi e teatro degli orrori, come gli stessi U.S.A..

Sebbene infatti la religione non sia sostanzialmente mai presente all’interno del film, il regista punta a deflagrare un altro istituto sacro della cultura statunitense, quello della famiglia borghese. La fantomatica “febbre del chiuso” diventa così solo la scusa definitiva per far esplodere il punto di rottura matrimoniale e genitoriale all’interno della famiglia Torrence, riaccendendo nel suo capofamiglia la violenta natura prevaricatrice e di affermazione della sua autorità.

All’interno delle labirintiche mura dell’Overlook Hotel, ogni famiglia americana conoscerà il proprio passato di morte e distruzione, ma per evitare di venire influenzati dalla sua “febbre” Kubrick chiede allo spettatore di risvegliare la propria Luccicanza, la capacità di percepire quel passato, di conoscere la Storia imparando da essa.

Recensione film horror Shining

Shining, la recensione: l’horror perfetto nelle mani del maestro

Sono il lupo cattivo!

Al di là del profondo viaggio storicistico offerto da Kubrick con il suo 11° film, Shining è ancora oggi considerato non solo tra i migliori horror di sempre ma, in generale, tra i più grandi film della storia del cinema. Questo perché l’opera del 1980 gode di una realizzazione tecnica, di sceneggiatura e direzione del suo cast praticamente perfetta, senza macchia, per quanto un’opera cinematografica possa essere definita “perfetta”.

Per quanto riguarda infatti la sceneggiatura, è stato già accennato come il profilo analitico circa l’immersione nel teatro degli orrori della storia americana sia profondo, moralmente violento ed esaustivo, ma anche il resto della scrittura (realizzata assieme a Diane Johnson) è da ritenere encomiabile. Ciò riguarda tanto il profilo dell’intreccio narrativo che, sulla base del testo di King, sfreccia verso la sua direzione presentando un gran numero di elementi enigmatici che non fa altro che accrescere il fascino della narrazione di Shining, quanto nella crescita dei personaggi.

Dialoghi eccellenti a parte, i due personaggi di Jack e Wendy Torrance riescono ad evolvere all’unisono in direzioni opposte: da una parte si assiste infatti all’aumento di follia di Jack, il quale diventa sempre più instabile psicologicamente e fisicamente violento, dall’altra emerge sempre di più la paura di Wendy verso il proprio marito e di dover proteggere l’amato figlio. A dare lustro ai due personaggi ecco la splendida prova della coppia protagonista. L’inaspettata “scream queen” di Shelley Duvall stava infatti attraversando il suo periodo d’oro in carriera, in seguito alle collaborazioni con Robert Altman e Io e Annie di Woody Allen, alle prime prese con un film horror per un’esperienza cinematografica con Kubrick che sicuramente non avrà più dimenticato.

Fortemente navigato anche Jack Nicholson, tra i migliori interpreti della sua generazione ed in generale del cinema americano, che al tempo delle riprese vantò una carriera ormai decennale, contando anche il premio Oscar ottenuto per Qualcuno volò sul nido del cuculo di Miloš Forman. In particolare, la sua formidabile prova dei panni di Jack Torrence, è ancora oggi una delle più amate ed omaggiate di sempre, restituendo alla storia del cinema un villain artisticamente potente sul grande schermo nella sua “semplicità” di padre di famiglia.

Ma tornando alla realizzazione della messa in scena di Shining, non è difficile inquadrare il film di Kubrick come un sadico “gioco” che il regista porta avanti con lo spettatore. Un gioco di specchi, di schemi, dove tutto si trova perfettamente e geometricamente al suo posto, per poi cambiare punto di vista e percezione in modo disorientante. Nella prima parte del film, infatti, Kubrick costruisce il suo labirinto, mostra le varie stanze dell’Hotel, i suoi interminabili corridoi ed i personaggi diventano davvero piccoli all’interno della scenografia.

Poi, con l’esplosione dell’orrore, tutto inizia pian piano a mutare: i protagonisti vengono in primo piano, le sale sono sempre più strette, si finisce bloccati in una cella frigorifera o non si riesce a passare da una finestra, con i corridoi che diventano un labirinto opprimente. Non c’è più spazio, manca l’aria, per una costruzione geometrica della sequenza di altissima scuola anche attraverso l’uso di spettrali dissolvenze, restituendo la sensazione di star vivendo un vero e proprio incubo ad occhi aperti.

C’è sangue in Shining, sia quando esce a fiotti dall’ascensore sia quando ricopre il corpo di giovani vittime, ci sono continue apparizioni di fantasmi (la stanza 237 non fa ancora dormire sonni tranquilli) e si fugge da un maniaco armato da ascia, ma a rendere l’esperienza del film particolarmente stimolante dal punto di vista dell’orrore è sicuramente la vibrante colonna sonora di Wendy Carlos e Rachel Elkind, particolarmente “prepotente” ed invadente.

Non si elencherebbero mai a dovere i pregi di un’opera d’arte come Shining, con qualche elemento fondamentale che finirebbe inevitabilmente fuori. Resta come, dopo oltre 40 anni, il primo ed unico film horror di un maestro come Stanley Kubrick sia un esempio di cinema folgorante, tra i migliori della sua Storia e non solo per il suo genere di riferimento, grazie ad una perfezione tecnica e stilistica che riveste tutti i suoi aspetti.

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Vittorio Pigini
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Laureato in Giurisprudenza, diplomato in Amministrazione Finanza e Marketing, ma decisamente un Hobbit mancato. Orgogliosamente nerd e da sempre appassionato al mondo cinematografico, con il catartico piacere per la scrittura. Studioso della Settima Arte da autodidatta, con dedizione e soprattutto passione che mi hanno portato a scrivere di cinema e ad avvicinarmi alla regia.