Recensione film Pixar Inside Out 2

Inside Out 2: il corpo che cambia, nella forma e nel colore

Uscito nelle sale italiane dal 19 giugno 2024, Inside Out 2 è il nuovo film Disney-Pixar diretto all’esordio da Kelsey Mann. Questa avventura animata tra dramma, fantasia e commedia è il sequel diretto del titolo del 2015 che vede in cabina di regia la coppia formata da Pete Docter e Ronnie del Carmen, vincitore del premio Oscar per il Miglior Film d’Animazione, nonché candidato anche alla Miglior Sceneggiatura Originale.

Inside Out 2, la trama del film Pixar

A distanza di quasi 10 anni dal primo film, in casa Pixar torna Riley con le sue caratteristiche emozioni Gioia, Tristezza, Rabbia, Paura e Disgusto. Con Inside Out 2 la bambina è però cresciuta e diventata una 13enne sulla strada verso il liceo, facendo i conti con la temibile fase della Pubertà.

Il cambiamento psicofisico di Riley comporta l’arrivo di nuove emozioni al quartier generale, ovvero Imbarazzo, Invidia, Noia e soprattutto Ansia, con il nevrotico bisogno di controllare il futuro della ragazza. Sarà proprio Ansia a rendersi protagonista di un rovesciamento di ruoli al quartier generale, con le vecchie emozioni cacciate via in favore delle nuove, mentre queste ultime condurranno Riley a perdere il “Senso di Sé”.

Per impedirlo, Gioia e le altre emozioni dovranno tornare prontamente al quartier generale per salvare la sua “purezza”.

Inside Out 2, la recensione: il corpo che cambia, nella forma e nel colore

La vita di Riley richiede emozioni più complesse delle vostre.

Inside Out del 2015, diretto da Pete Docter e Ronnie del Carmen, è stato uno dei più grandi successi in casa Pixar degli ultimi anni, affiancando l’ampia vittoria al botteghino con il riscontro particolarmente favorevole da parte della critica. Degli ultimi 10 anni, infatti, ben 4 film della casa di produzione hanno ottenuto il premio Oscar per il Miglior Film d’Animazione, con gli elementi già introdotti nel film del 2015 che hanno avuto così ufficiale via libera per la prosecuzione con un sequel.

Per Inside Out 2 si fa ovviamente riferimento al temibile pulsante aggiunto alla postazione di comando per l’Allarme Pubertà che, prima o poi, andava premuto. Il concetto che spinge questo secondo capitolo, di quello che sarà un franchise che coinvolgerà anche il piccolo schermo, risulta così naturalmente indovinato ed inevitabile, ovvero agire sul cambiamento psicofisico della protagonista all’affacciarsi all’età adulta.

Le vecchie emozioni “base” sono infatti obsolete, è tutto più frenetico e l’ansia la fa da padrona. Già, Ansia, quella predominante emozione che prende il controllo di tutto il corpo facendogli perdere il controllo a sua volta, sovrastando tutte le altre sfaccettature emotive in un vortice indomabile.

Ad essere particolarmente interessante e di rilevante fascino è proprio la trasformazione che avviene nella mente di Riley, chiamata a fare improvvisamente i conti con le prime vere scelte da prendere nella sua vita, per iniziare a progettare il suo futuro. In questa guerra psicologica tra vecchio e nuovo, tra infanzia ed adolescenza, il lavoro di character design delle nuove emozioni è efficace e convincente, aprendo anche a divertentissimi siparietti e per i quali resta veramente difficile non fare il tifo per Imbarazzo.

Nonostante ci si mantenga comunque su un registro narrativo “infantile”, l’analisi sulla mutazione psicofisica colpisce nel segno, ma non è l’unico punto a favore di Inside Out 2. Ormai da diversi anni la bellezza visiva in casa Pixar non fa più storia, con un’animazione sempre estremamente fluida e ricca di particolari, nel flusso di una palette cromatica estremamente variegata e consistente.

Oltre all’impostazione grafica delle immagini, ad essere particolarmente apprezzata è l’efficace scena dell’attacco di panico con il seguente ed emozionante (da tutti i punti di vista) momento finale della coesione. Una sequenza a suo modo semplice ma che restituisce la giusta complessità psicologica dell’occasione, celebrando la fragilità e la completezza/incompletezza delle proprie emozioni.

Recensione film Inside Out 2

Inside Out 2, la recensione: non voler essere all’altezza

Non puoi decidere tu chi è Riley.

All’esame di tenuta del fascino del primo film, Inside Out 2 viene dunque promosso sopra la sufficienza, potendo come detto puntare sul bellissimo comparto grafico e sulla giusta maturazione d’analisi rispetto al titolo del 2015.

Tuttavia, quello diretto da Kelsey Mann si mostra in maniera calcata come opera prima del regista, dando l’impressione di lasciarsi “oscurare” dalla sceneggiatura di Meg LeFauve che, sotto diversi punti di vista, ripropone lo stesso copione. In questa discesa verso i meandri “nascosti e dimenticati” di Inside Out, si intende partite innanzitutto dalla ripetitività della trama, pur riscontrando paradossalmente il passo in avanti con la nuova condizione psicofisica della sua protagonista.

In maniera estremamente sostanziale ed essenziale, lo sviluppo narrativo di Inside Out 2 ripercorre (provocatoriamente) shot-for-shot quello del film del 2015: un evento improvviso spezza la tranquilla condizione di comfort, con Gioia e Tristezza (con l’aggiunta qui degli altri personaggi) sbalzate via dalla zona di comando; inizia il viaggio per tornare a casa attraverso l’inconscio della ragazza, mentre alla postazione le emozioni che vi si trovano architettano piani rocamboleschi che potrebbero mettere in pericolo il futuro di Riley.

Con le dovute differenze del caso, il fastidioso senso di dejavu che si assapora è dunque forte e spiacevole, ma non è l’unico aspetto. Senza considerare un comparto grafico già eccellente nel precedente film (che giustamente non si muove da lì), si confermerebbero anche in questo secondo capitolo le perplessità in sede di sceneggiatura già riscontrate.

In queste si collocherebbe la caratterizzazione delle singole emozioni (che non sono pure incarnazioni delle stesse, ma ibride produzioni della mente che possono provare anche le altre emozioni e facendo sorgere qualche interrogativo di troppo), oppure come queste interagiscano con le reali azioni di Riley (in un rapporto causa-effetto non sempre lineare) o, ancora, le emozioni presenti non tanto nella mente delle coetanee quanto in quella dei genitori che, per forza di cose, dovrebbero avere una situazione psicologica differente.

A ciò si aggiunge l’introduzione di Ansia, un villain che non è un villain e che diventa quasi essenzialmente un McGuffin per narrare, in una non trama, la “sola” trasformazione emotiva di Riley (senza considerare come si comporti da Ansia praticamente solo all’inizio e alla fine della visione). Con molta probabilità si sta evidenziando elementi che non riguardano, e non dovrebbero riguardare, un prodotto (quello è) nato ed indirizzato ad un pubblico particolarmente giovane (evidenziando inoltre una mancanza di coraggio almeno nel presentare/introdurre/citare la sfera della sessualità, necessaria in un film di questo tipo), ma il Rammarico resta.

Quest’ultima è infatti l’emozione più forte che avrebbe preso i comandi della stazione di comando di chi scrive, seguita da Noia (ma non necessariamente in termini troppo aggressivi) e da Nostalgia di volersi stupire ogni volta davanti ad un importante titolo d’animazione come questo per tornare bambini e ritrovare quel “Senso di Sé”.

In conclusione, grazie ad un fantastico comparto grafico Inside Out 2 fa Invidia a molti altri titoli d’animazione occidentali usciti negli ultimi anni che, ad eccezione di pochi, sono già finiti negli oscuri caveau della memoria. Naturale conseguenza quella di approcciarsi, con questo secondo film, alla crescita psicofisica della giovane protagonista sulla strada verso la fase adulta, ma le novità terminano qui. Presentando infatti una certa ripetizione stilistica e narrativa, il film non presenta particolari elementi che lasciano il segno (eccezione per qualche sequenza davvero emozionante) nemmeno nel tratto musicale, rendendolo di fatto un titolo non richiesto e non necessario.

★ ★ ★ ½

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Vittorio Pigini
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Laureato in Giurisprudenza, diplomato in Amministrazione Finanza e Marketing, ma decisamente un Hobbit mancato. Orgogliosamente nerd e da sempre appassionato al mondo cinematografico, con il catartico piacere per la scrittura. Studioso della Settima Arte da autodidatta, con dedizione e soprattutto passione che mi hanno portato a scrivere di cinema e ad avvicinarmi alla regia.