Recensione film horror The Monkey

The Monkey: il giocattolo si rompe e finisce il divertimento

Dopo essere stato distribuito nelle sale statunitensi a fine febbraio, il nuovo film scritto e diretto da Osgood (Oz) Perkins arriva anche in Italia il 20 marzo 2025. Si tratta di The Monkey, una splatter-comedy che vede come protagonista Theo James, per una storia tratta dal romanzo di Stephen King. Ecco di seguito la recensione di The Monkey di Oz Perkins.

The Monkey: la trama del film di Oz Perkins

Dopo essere approdato nei nostri cinema nel periodo di Halloween 2024 con Longlegs, il regista di February torna in sala con il suo 5° film horror The Monkey. Trattasi di un adattamento dell’omonimo romanzo di Stephen King, pubblicato nel 1980, nonché seconda trasposizione dopo The Devil’s Gift. Il film vede protagonisti i due bambini gemelli Hal e Bill, i quali ritrovano in soffitta una scimmia giocattolo appartenuta al loro padre fuggito di casa.

Una volta azionato il giocattolo, attorno ai gemelli inizia a scatenarsi una catena di morti sospette, questo finché i due non decideranno di confinare la Scimmia in un pozzo lontana da tutti. 25 anni dopo, tuttavia, un’altra serie di morti molto sospette tornerà a tormentare la vita di Hal: la Scimmia è tornata a mietere vittime.

The Monkey: la trama del film di Oz Perkins

The Monkey, la recensione: un gioco troppo infantile

Dobbiamo tenerla lontana da chi potrebbe trarre interesse ad usarla, come i nazisti, i russi, gli iracheni e roba del genere.

A pochi mesi di distanza dall’uscita del tenebroso Longlegs, il mago di Oz Perkins torna sui nostri schermi con il nuovo The Monkey. L’operazione volta a riadattare l’omonimo romanzo di Stephen King rappresenta, in questo caso, una faccia inedita nella filmografia del regista, appartenente tuttavia alla stessa medaglia.

Facendo riferimento a quest’ultimo aspetto, proprio nella recensione del precedente film con Nicolas Cage, ci si sofferma anche sul fil rouge che unisce la filmografia dell’autore di February, ovvero quello generazionale e di giovani protagonisti abbandonati a loro stessi. Ad inaugurare la visione di The Monkey, appeso di lato nel negozio dove il proprietario darà il via ad una lunga serie di rocamboleschi decessi, è il quadro di Francisco Goya Saturno che divora i suoi figli. Anche in questo nuovo film di Oz Perkins tornerebbe infatti il tema dell’amara eredità, con l’abbandono dei genitori ad un mondo dove la Morte è presente ad ogni angolo.

Crescendo e facendo passare gli anni, la situazione per Hal e Bill non è sicuramente migliorata, con i fratelli lontani ed il primo costretto a tenere distante suo figlio, nato per “errore”. Nel nuovo film di Perkins tornano quindi le famiglie spaccate al loro interno, il legame spezzato tra genitori e figli, il rapporto turbolento di amore e odio tra fratelli e sorelle, che qui vede anche protagonista una singolare storia di vendetta. Caino e Abele, l’Apocalisse, il patto con il Malvagio tornano a costellare così la filmografia del regista di Gretel e Hansel, aggiungendo in questo caso un elemento ulteriore.

Restando infatti in ambiente “biblico”, The Monkey riprenderebbe in un certo senso il fatal destino rincorso ed evitato dal geniale e nero cinema dei fratelli Coen, per una vita che diventa non solo estremamente breve e delicata, ma anche irrimediabilmente imprevedibile. Ed è qui che il giocattolo di The Monkey si inceppa, anzi, si rompe in mille pezzi. Si accennava, infatti, di come il film presenti una facciata diversa della filmografia dell’autore, ovvero quella umoristica della commedia, praticamente assente in tutti e 4 i precedenti titoli di Perkins e che qui prende il sopravvento come una calamità.

Il suo approccio alla splatter-comedy risulta qui impacciato, inconcludente da tutti i punti di vista e scadendo troppo spesso nel ridicolo, ma da dove cominciare? A livello “strutturale”, The Monkey è privo di una reale e convincente linea guida che riesca ad andare oltre le dinamiche esistenziali da “final destination”, per un espediente non solo ormai annacquato ma qui anche insufficiente.

La vita è un gioco e allora Perkins si diverte a giocare con la vita dei suoi personaggi, mettendosi a tavolino per costruire le svariate esecuzioni presenti nel suo film. Passi il titolare del negozio arpionato, la tata decapitata e la madre colpita da un aneurisma, ma la situazione inizia a sfuggire di mano col passare dei minuti. Tra una ragazza che esplode per una piscina elettrificata, un’agente immobiliare che esplode per un colpo di fucile (esplodono tutti), un ragazzo colpito da un raggio di vespe e chi più ne ha più ne metta, si esagera decisamente il tiro.

L’espediente “orrorifico” chiave del film si trasforma, così, semplicemente in una serie di esecuzioni eccessivamente sopra le righe, montando una gara alla morte peggiore (in tutti i sensi). La carrellata di decessi rocamboleschi porta su schermo semplici tessere di un mosaico, una uguale all’altra in termini di peso artistico, emotivo e narrativo e, di conseguenza, tutte dimenticabili e sacrificabili, lasciando una visione piatta, noiosa e ripetitiva.

Passando poi al resto della visione, mettendo da parte una banalità ed un grottesco dei dialoghi che sfiorano il ridicolo, The Monkey è anche ricco di una serie di situazioni e condizioni che vorrebbero provare a strappare un sorriso, per poi fare il giro contrario. Il meccanismo stesso della Scimmia causa non pochi problemi dal punto di vista narrativo, il ballo post funerale della tata è da restare interdetti, così come la mancata stretta di mano di Bill che arricchisce un finale inqualificabile.

Un giocattolo rotto da buttare

È un vero macello lì dentro.

Nella scorsa recensione di Longlegs si tende a sottolineare la grande abilità di Perkins in qualità di “artigiano del terrore”, per un regista particolarmente abile a costruire la messa in scena sul filo del rasoio, per poi esplodere nei momenti più congrui. Anche in The Monkey, tuttavia, continua a presentarsi il tallone d’Achille di una sceneggiatura che presenta sì spunti narrativi e tematici potenzialmente interessati, ma abbandonata a sé stessa e confluente in un finale sprecone.

In questo caso, la difficoltà in sede di sceneggiatura si rende decisamente più pesante ed ingombrante, imbrattata da un’ironia che non riesce mai a colpire nel segno. A rendere più evidente il disagio in visione è il peso apportato dal comparto sonoro, con il regista che gioca con il contrasto horror-comedy anche e soprattutto attraverso la musica. The Monkey fallisce anche da questo punto di vista, non riuscendo né in un senso né nell’altro: non si riesce mai a liberare una risata, non si viene mai soggiogati dal terrore (tranne per qualche inutile jumpscare di vecchio stampo).

Le sensazioni rilasciate dalla visione del film sono dunque le peggiori possibili per un horror che si rispetti, ovvero una nausea da imbarazzo e soprattutto una noia non indifferente, anche e soprattutto in riferimento alla piatta ciclicità delle esecuzioni di cui prima. A proposito di queste ultime, oltre a registrare un eccesso davvero spropositato e fuori scala, c’è anche da sottolineare un uso degli effetti speciali non sempre efficace, anzi.

Tutto tace anche dal fronte cast, tanto per i personaggi in sé quanto per i rispettivi interpreti, con il regista che giocherebbe anche su questo fronte con l’inserimento (senza un vero motivo) di interpreti di primo pelo come Adam Scott ed Elijah Wood.

Oltre al rammarico, si tende tuttavia ad evitare di condannare il lavoro di uno degli autori più interessanti del panorama horror degli ultimi anni. Perkins continua a rendere palese il suo talento artistico specialmente nella costruzione della messa in scena, nelle sue inquadrature e nella gestione degli spazi. Il montaggio e le idee visive del regista riescono infatti ad inserire più di qualche immagine ad effetto, come il trotto della Morte e specialmente nella costruzione immaginifica del pupazzo demoniaco.

La Scimmia è infatti sufficientemente inquietante, riesce ad avere una sua personalità ed un’ingombrante presenza scenica. Davvero troppo poco per salvare un film scadente sotto diversi punti di vista, un “giocattolo rotto” per l’intrattenimento del singolo autore. Da un nuovo adattamento, delle infinite storie marchiate Stephen King, nasce così un’opera di transizione (e su commissione) con la speranza che porti il successo necessario al regista per tornare sui suoi binari.

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Vittorio Pigini
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Laureato in Giurisprudenza, diplomato in Amministrazione Finanza e Marketing, ma decisamente un Hobbit mancato. Orgogliosamente nerd e da sempre appassionato al mondo cinematografico, con il catartico piacere per la scrittura. Studioso della Settima Arte da autodidatta, con dedizione e soprattutto passione che mi hanno portato a scrivere di cinema e ad avvicinarmi alla regia.