Recensione film Justin Kurzel The Order

Con The Order Justin Kurzel realizza un’esplosiva caccia all’uomo per la non-supremazia

Presentato in Concorso all’81a edizione del Festival del Cinema di Venezia, The Order è il nuovo film diretto dal regista australiano Justin Kurzel. Ispirato a fatti realmente accaduti, The Order è un thriller poliziesco dalla venatura action, con un cast di altissimo profilo. Ecco di seguito la recensione di The Order di Justin Kurzel.

The Order, la trama del film di Justin Kurzel con Jude Law

Basato sul saggio del 1989 The Silent Brotherhood di Kevin Flynn e Gary Gerhardt, The Order segue le azioni dell’abile agente FBI Terry, venuto nel nord-ovest degli USA per un po’ di serenità dopo una carriera particolarmente sofferente e carica di drammi. Tuttavia, la nuova località viene scossa da una serie di rapine ed aggressioni mai registrate prima. Il caso che sembrava da ricondurre ad operazioni scollegate di semplici criminali, si rivelerà essere in realtà una rete terroristica messa in atto da un leader carismatico per la “supremazia del potere bianco“.

Recensione film The Order

The Order, la recensione: Justin Kurzel fa il poliziotto buono…

Catapultato in un nord-ovest degli Stati Uniti immerso nella natura, lo spettatore si ritroverà con The Order ad assistere ad un’indagine serrata della polizia alla ricerca dei terroristici criminali. Non un gioco del gatto col topo ma una vera e propria caccia all’uomo, dove le prede tendono a scambiarsi di posto con i rispettivi cacciatori. La caccia è quella tra i due maschi alpha protagonisti, quegli eccezionali Jude Law e Nicholas Hoult che si ritrovano a lottare l’uno contro l’altro, in ruoli diametralmente opposti eppure così simili e vicini tanto da arrivare al reciproco rispetto.

I due interpreti – il primo reduce da un ritrovato successo più sul piccolo schermo che al cinema e il secondo in continua rampa di lancio in attesa del prossimo Nosferatu – danno vita ad una gara di bravura recitativa nei rispettivi personaggi. Una reciproca prova di forza e carisma nel dare vita alla corruzione dell’ossessione per la giustizia, sebbene ognuno con un occhio di riguardo verso la propria di giustizia, che sia della c.d. “legge” e chi invece reclama un fantomatico diritto di nascita.

E così torna quel profilo naturalistico esaltato dalla composizione scenografica, individuando la giustizia della e nella Natura, in particolare riferendosi a quegli stessi costrutti sociali che danno libero sfogo alla metaforica caccia all’uomo per le strade cittadine. Una ricerca del senso di giustizia ricercato da Kurzel attraverso la violenza, il sacrificio, il sangue che bagna il panorama idilliaco mostrato. Le sequenze action non solo riescono infatti a colpire nel segno per la repentinità dell’esecuzione, ma anche e soprattutto per lo stile di regia adottato.

Pregevole mestiere il modo in cui tali sequenze vengono costruite ad arte sullo schermo, riuscendo ad essere rinforzate sì da dinamico brio ma anche ben impostate nella profondità dell’inquadratura. A rendere calzanti le scoppiettanti sequenze d’azione è poi sicuramente un’ottima gestione del perturbante sonoro, con un sublime lavoro del fratello maggiore del regista Jed nelle composizioni.

The Order, la recensione:…ma anche il poliziotto cattivo

Con le didascalie dei titoli di coda, come di consueto a chiudere la visione di un film ispirato a fatti realmente accaduti, Kurzel vuole lanciare così un grido d’allarme, specialmente dopo i fatti collegati all’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021. Con The Order la polizia deve infatti fermare il piano terroristico di un’organizzazione nata sugli ideali nazisti della purezza della razza ma, ancora con riferimento al naturalistico panorama della location del film, il problema sembrerebbe essere quello a “valle” e non a “monte”.

L’America mostrata nel film è infatti quella di periferia, bucolica ed ancorata alla terra, alla tradizione e alla storia, pronta a difendere con le unghie e con i proiettili il cambiamento, il diverso dalla comunità creatasi. Sopraggiunge qui una gestione argomentativa da “poliziotto cattivo”, in qualche modo fortemente ambigua. La sceneggiatura non tratteggia sicuramente in positivo i membri del gruppo terroristico, nonostante l’affiatamento del cameratismo, ma manca anche una ferma condanna ai danni dello sciagurato pensiero suprematista.

A parte la voce fuori dal coro del conduttore radiofonico (troppo debole e messa in disparte), ad essere preso criticamente di mira in The Order è quasi esclusivamente (e ci mancherebbe) il metodo terrorista e stragista del gruppo, il suo esercizio della violenza, ma non la critica socio-politica di quest’ultimo verso la “deriva” governativa e sociale. La milizia che prende vita dalle parole di Bob viene infatti individuata come una “pecorella smarrita” della comunità di suprematisti guidata dal reverendo, la quale non viene sostanzialmente ridimensionata e, con essa, il suo pensiero, arrivando a condannare solo l’inaccettabile utilizzo della violenza.

L’argomento viene ulteriormente approfondito dalla sceneggiatura anche e soprattutto nella presenza di donne e bambini all’interno del gruppo terroristico. Particolarmente ammirabile la scena, durante l’omelia del reverendo, in cui gli uomini rispondono numerosamente alla chiamata di Bob e, successivamente, venire seguiti dalle pochissime donne presenti. Ne fuoriesce una forte presa di posizione sul fatto che tale pensiero abbracci e conquisti una realtà machista e fallocentrica, sebbene le donne presenti sulla scena non siano propriamente contrarie alla propria posizione.

Così gli innocenti bambini, cresciuti (e letteralmente battezzati) seguendo un indottrinamento tossico, protetti ed incoraggiati da un amore mascherato dal solo desiderio di un continuo della “stirpe” ma che regala loro felicità nel sparare ad un bersaglio. C’è da ribadire e sottolineare come tale pensiero a dir poco “obsoleto” non viene alimentato e supportato da The Order, ma una presa di posizione più netta e precisa sarebbe stata la ciliegina sulla torta di un film al limite dell’eccellenza.

Tolta infatti una direzione della fotografia non sempre felice, con il ritorno troppo spesso ad un’esasperata esposizione dell’immagine, la conduzione della macchina da presa da parte di Kurzel permette di vivere da vicino un’azione dinamica e coinvolgente. A fare la differenza sono poi le prove del cast che, oltre alla buona prova di Tye Sheridan (Ready Player One), i due emozionanti protagonisti Jude Law e Nicholas Hoult rubano costantemente la scena.

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Vittorio Pigini
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Laureato in Giurisprudenza, diplomato in Amministrazione Finanza e Marketing, ma decisamente un Hobbit mancato. Orgogliosamente nerd e da sempre appassionato al mondo cinematografico, con il catartico piacere per la scrittura. Studioso della Settima Arte da autodidatta, con dedizione e soprattutto passione che mi hanno portato a scrivere di cinema e ad avvicinarmi alla regia.

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