30 Ago Babygirl è un imbarazzante spettacolo per guardoni impacciati
Presentato in Concorso alla 81ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, Babygirl è il nuovo film scritto e diretto dalla regista olandese Halina Reijn, con un cast stellare. Terza regia per l’autrice di Bodie Bodie Bodies, protagonista di questo thriller erotico è infatti Nicole Kidman, accompagnata da altri nomi di altissimo profilo. Ecco di seguito la recensione di Babygirl.
Babygirl, la trama del film con Nicole Kidman ed Antonio Banderas
Su sceneggiatura della stessa regista Halina Reijn, Babygirl segue la storia di Romy, potente amministratrice delegata di un’azienda di robotica ma particolarmente dipendente dal sesso e sempre in cerca di nuovi stimoli. Quando a lavoro arriverà il giovane tirocinante Samuel, Romy sarà disposta a mettere a rischio la storia con suo marito Jacob e le due figlie pur di assecondare il travolgente bisogno di passione.
Babygirl, la recensione: un imbarazzante spettacolo per guardoni impacciati
Dopo Instinct e Bodies Bodies Bodies, la regista olandese torna dietro la macchina da presa con Babygirl cercando di unire, in un orgiastico insieme, un’analisi sulla mezza età, sull’indomabile impulso sessuale e sulla frattura dell’istituzione del matrimonio così come socialmente costruita. O meglio, questa dovrebbe essere l’intenzione alla quale punterebbe un film artisticamente ricercato ma che, tuttavia, scadrebbe abbondantemente nel ridicolo, ma andiamo con ordine. La visione si apre con l’amplesso tra Jacob e Romy, con il (finto?) raggiungimento dell’orgasmo da parte di quest’ultima che, non soddisfatta, corre poco dopo in un’altra stanza per lasciarsi andare alla visione di un porno. Il messaggio è subito chiaro: si parla di dipendenza dal sesso, dal raggiungimento di quei bestiali impulsi orgasmici.
Purtroppo, Babygirl prende abbondantemente le distanze dalla profondità sul tema scandagliata ad esempio in opere come Shame o Nymphomaniac di Lars Von Trier, avvicinandosi al contrario ad una gestione più vicina ad opere più teenegeriali come un 50 sfumature di grigio. Il finto thriller sul triangolo amoroso tra la donna di successo, il giovane “bad boy” ed il marito amorevole non è infatti sconosciuta al grande schermo, anzi, ma ciò che caratterizza la costruzione della dinamica sessuale della coppia clandestina è infatti rappresentato da un certo registro passionale particolarmente morboso. Pur mostrando il continuo interesse della protagonista nel rendersi attraente (tra interventi e trattamenti di bellezza), il film perde completamente l’occasione di trattare un probabile discorso circa la perdita degli stimoli amorosi a causa degli anni che passano.
Il voler affrontare il lato psicologico, più che fisico, della temuta terza età tenderebbe infatti ad autodistruggersi atto dopo atto, denotando fin da subito come il disturbo di Romy sia di natura psichica e di lunga data. Si torna quindi al morboso desiderio sessuale, a quegli istinti indomabili e perversi che intrappolano mente e cuore di una protagonista che, purtroppo, non riesce mai a crescere ed evolversi come personaggio. Più che assistere al dolore e frustrazione di una persona succube di quella personale e drammatica “scatola nera”, con Romy si ha l’impressione di avere a che fare con una ragazzina vogliosa e capricciosa, incapace di instaurare un vero legame con tutti gli altri personaggi in scena, anche se la scrittura di questi ultimi non aiuta sicuramente la causa.
Oltre al Jacob di Banderas che, a parte un momento di gloria resta silente ed inutile bambolotto nelle mani della moglie, il personaggio di Samuel rasenterebbe il ridicolo oltre che l’inverosimile. Un ragazzo sbarbato, venuto dal nulla, che si ritrova davanti la bellezza della Romy di Nicole Kidman e decide semplicemente di provarci con il suo capo rischiando di distruggerle la vita. Anche tale espediente non sarebbe nuovo nella narrazione filmica su un certo tipo di thriller sentimentale, se non fosse che Samuel non si rivela essere un dongiovanni incallito, ma un disadattato, nel senso proprio di essere incapace di adattarsi alla situazione, non sapendo appunto come muoversi e contraddicendosi ripetutamente.
Attraverso soprattutto gli infantili dialoghi ma non solo, i due inscenano così continui duetti di imbarazzo particolarmente fastidiosi, su tutti il disagiante incontro nella camera d’hotel, con l’ingiustificata reiterazione di momenti che non fanno altro se non appesantire un minutaggio eccessivamente corposo. Per un film che poi prometterebbe fin dal suo inizio – e passando per la sua tematica – di essere a suo modo “scandaloso”, l’erotismo è praticamente assente, così come un ipotetico nudo integrale o per degli strumenti di quella dominazione tanto decantata. Insomma Babygirl si mostrerebbe come fastidioso softporn che promette di affrontare diverse dinamiche sociali, provandoci anche esplicitamente, ma ritrovandosi in mano con un nulla di fatto.
Il film costituirebbe invece una scusa per i protagonisti di dare sfogo a fantasie adolescenziali e nulla di più, con le dinamiche all’interno della famiglia che sono completamente assenti. Particolarmente impacciata in tal senso la prova della protagonista Nicole Kidman, sebbene si debba sempre riconoscere il merito nel ricoprire questi ruoli “scomodi”, così come quella bronzea dell’Harris Dickinson di Triangle of sadness. Altrettanto sprecati i nomi di Sophie Wilde (Talk to me) e di Antonio Banderas, completamente inutili ai fini della narrazione se non per un paio di momenti. Oltre ad un minutaggio eccessivo, Babygirl tende a salvarsi dall’abisso grazie ad una costruzione dell’immagine sicuramente non di livello insufficiente e con un sonoro particolarmente incalzante.
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