
14 Giu 2025 The Rule of Jenny Pen: tra bambole e sadismo
Presentato già fuori concorso al Torino Film Festival, The Rule of Jenny Pen è in competizione ufficiale al Taormina Film Festival 2025. Secondo lungometraggio del regista neozelandese James Ashcroft, ha tra gli attori protagonisti Geoffrey Rush e John Lithgow alle prese con un film thriller decisamente particolare, tratto da un racconto di Owen Marshall e lodato dal celebre Stephen King. Ecco la recensione completa dal Taormina Film Festival su The Rule of Jenny Pen.

The Rule of Jenny Pen, trama del film con Geoffrey Rush e John Lithgow
Stefan Mortensen (Geoffrey Rush), giudice misantropo prossimo alla pensione, viene colpito da un ictus durante una seduta in un’aula di tribunale ed è costretto a farsi ricoverare in una casa di cura, dove si rifiuta di collaborare con medici e sanitare e maltratta il suo compagno di stanza Tony Garfield. Nella struttura vive anche Dave Crealy (John Lithgow), un paziente di lunga data che tiene gli altri residenti in un oscuro regno di terrore con un sadico gioco di volontà chiamato “La regola di Jenny Pen”, eseguito con l’aiuto della sua bambola della demenza. Quando l’anziano psicopatico rivolge la sua attenzione a Mortensen e Garfield, i due residenti trovano un inatteso legame e decidono di porre fine al suo potere.
The Rule of Jenny Pen, recensione del film di James Ashcroft
Chi comanda qui?
Con The Rule of Jenny Pen, James Ashcroft firma il suo secondo lungometraggio. Dopo Coming Home in the Dark (2021), il regista neozelandese si affida a un racconto breve di Owen Marshall, co-sceneggiato con Eli Kent, per costruire un thriller psicologico crudele, degenerante e vendicativo.
La storia si apre in un’aula di tribunale dove il giudice Stefan Mortensen (un intenso Geoffrey Rush) viene colpito da un ictus proprio mentre emette una sentenza. Ridotto alla paralisi parziale e con una copertura medica insufficiente, Mortensen viene trasferito in una casa di cura, la Royal Pine Mews. Qui divide la stanza con Tony Garfield, ex rugbista ormai anziano. L’orrore prende forma con l’arrivo di Dave Crealy (uno straordinario John Lithgow), un paziente di lunga data apparentemente innocuo, che si rivela essere un sadico visitatore notturno della loro camera. Con lui Jenny Pen, una bambola per la cura della demenza.
Il film è ambientato in casa di cura, sfruttata fino all’ultima mattonella con intelligenza da Ashcroft, che vede le potenzialità visive del luogo e costruisce un’aria idealmente disturbante, soprattutto nella stanza da letto del giudice protagonista. Nella notte infatti utilizza inquadrature sbilanciate, prospettive dal basso che danno il senso di impotenza e paralisi che prova il personaggio interpretato da Rush.
La colonna sonora di Matthew Lambourn inquieta e non poco; un senso di minaccia e distorsione a ritmi davvero strani, per un film che rimanda anche alla percezione alterata della realtà da parte dei pazienti. In modo particolare, la bambola Jenny Pen è un po’ quella regressione infantile che controlla la nostra mente e le nostre azioni a volte, che nel film si trasforma appunto da terapia a potere malato. Ma andiamo avanti e scopriamo qualcosa di più su questo inquietante titolo.

The Rule of Jenny Pen, la recensione: il verdetto
Il mondo spezza tutti quanti. Ma quelli che non spezza li uccide.
Eppure, andando avanti con la storia The Rule of Jenny Pen non riesce a mantenere fino in fondo la palpitazione che costruisce durante i primi incontri tra i due attori protagonisti. Dopo un avvio promettente, il film si avvita un po‘, diventando ripetitivo, seppur senza calare stilisticamente. Le dinamiche tra i personaggi principali si riproducono più volte e le incursioni notturne di Crealy perdono progressivamente la forza destabilizzante iniziale, diventando eccessivamente parodistiche di loro stesse. L’accenno al passato del sadico paziente – forse per giustificare la sua crudeltà – rimane troppo poco incisivo, così come la critica nei confronti del sistema sanitario e dell’abbandono degli anziani. Le tematiche, fortemente presenti nel film, non vengono mai realmente sviluppate.
La narrazione procede quindi a rilento, riportando effettivamente il ritmo della vita stessa in una struttura come quella descritta, ma senza riuscire a rendere questa lentezza un elemento di reale utilità alla narrazione. Anche il finale – anzi, i finali – sembrano moltiplicarsi senza trovare una vera chiusura, lasciando lo spettatore in attesa di un climax, che però non giunge mai.
A salvare il film, però, ci pensano due interpretazioni magistrali. Geoffrey Rush riesce a restituire con straordinaria bravura la frustrazione e il dolore del suo personaggio, un uomo un tempo potente ora costretto a fare i conti con la propria fragilità. John Lithgow, dal canto suo, costruisce un paziente folle e sadicamente lucido con una naturalezza molto disturbante. Senza di loro, The Rule of Jenny Pen avrebbe probabilmente perso gran parte dei suoi punti a favore.
In conclusione, The Rule of Jenny Pen è un film che visivamente e tematicamente ha dei momenti interessanti, che porta sul piatto potere, vendetta e problemi sociali in un luogo molto comune a noi ma che evitiamo di pensarci se non fino a una certa età, una casa di cura. Tuttavia, la sceneggiatura non riesce a trovare il risolvimento giusto per donare la coerenza necessaria ad un (quasi)thriller pienamente riuscito. Nonostante alcuni guizzi interessanti e le due performance su cui si reggono certe scene noiose, il film finisce per girare su se stesso, incapace di liberarsi dalla sua stessa struttura. Un’occasione parzialmente lodevole, degna comunque di una visione.
★ ★ ★ ½
