05 Dic 2024 Wicked: Parte 1 è un indigesto confetto ben confezionato
Dal 21 novembre 2024 viene distribuito nelle sale italiane Wicked: Parte 1, l’ottavo film diretto dal regista Jon M. Chu che funge da prequel agli eventi narrati dal classico Il mago di Oz. Il film, che vede protagoniste Cynthia Erivo ed Ariana Grande, ripercorre infatti la nascita della Malvagia Strega dell’Ovest, sebbene rivista sotto una luce inedita. Ecco di seguito la recensione di Wicked.
Wicked: la trama del film con Ariana Grande e Cynthia Erivo
Il film del 2024 Wicked viene sceneggiato da Winnie Holzman e Dana Fox, il quale adatta su schermo l’Atto 1 dell’omonimo musical del 2003, a sua volta tratto dal romanzo Strega – Cronache dal Regno di Oz in rivolta di Gregory Maguire del 1995. Proprio quest’ultimo fa parte dei c.d. “romanzi revisionisti”, volto a reinterpretare in questo caso il grande classico della letteratura Il meraviglioso mago di Oz di L. Frank Baum.
In particolare, in Wicked (successivamente indicato come Wicked: Parte 1, in attesa della seconda parte del musical) si segue l’ascesa del personaggio di Elphaba, colei che diventerà in seguito la “Malvagia Strega dell’Ovest”. La sua compagnia di corso e sua amica Glinda, la “Strega Buona”, narra infatti al popolo di come Elphaba abbia avuto in precedenza un animo gentile e premuroso, costretta purtroppo dagli eventi a diventare il nemico comune del regno di Oz.
Wicked – Parte 1, la recensione: un confetto avvelenato
Le persone nascono malvagie, o la malvagità viene loro imposta?
Si inaugura la recensione del film di Jon M. Chu indicando come, a differenza di operazioni musicali come quella recente di Joker: folie a deux, Wicked è un puro e sano musical da gustarsi sul grande schermo. Si tratta di un genere che, forse più degli altri, necessita del suo personalissimo palcoscenico il quale, in questo caso, non può che essere il più prestigioso ed importante nel campo cinematografico, ovvero quello degli Oscar.
Da West Side Story di Steven Spielberg, tuttavia, il grande musical ha negli anni zoppicato, con titoli come Wonka e Il Colore Viola che hanno assistito all’edizione degli Academy Awards dello scorso anno col binocolo. Questa volta, a differenza del leoncino in gabbia mostrato nel film, il musical ruggisce e troverà in Wicked il suo cavallo di razza per il 2024, nonostante non ci si sposti nettamente da quell’impacciato Wonka di Paul King, ma andiamo con ordine.
Un’ulteriore e necessaria premessa sta poi nel dover mettere, per costrizione, le mani avanti con riserva in vista della seconda parte di un film unico, operazione sempre deprecabile anche nei risultati più illustri. Entrando così nel merito di Wicked del 2024, si indica innanzitutto come l’ottavo film di Jon M. Chu, proprio come “primo tempo”, resti banalmente a metà strada verso i propri obiettivi, siano essi cinematografici che extracinema. Rinviando quest’ultimo aspetto al prossimo paragrafo, il film pone basi (ed in alcuni casi spinge) su temi delicati, scottanti e fondamentali, avendo la presunzione di innalzare la caratura dell’opera verso una visione “adulta”, ma finendo col tradirsi ripetutamente e rimanendo ancorata ad una trovata commerciale e particolarmente “bambinesca”.
Non che sarebbe di per sé un male, non solo nell’operazione di rendere il film più accessibile alle fasce più giovani per via dei suoi insegnamenti, ma anche per il cuore stesso di un musical che sprigiona sempre una certa energia e vitalità. Tuttavia, le ambizioni e i forti segnali mostrati qua e là durante l‘interminabile visione (ci ritorneremo) tendono purtroppo a stonare con tale esperienza da morbido confetto, dimostrando come no, verde e rosa non riescono a stare in questo caso insieme.
Per quanto riguarda il discorso più prettamente politico, Wicked: Parte 1 andrebbe a smascherare il cuore marcio dell’autoritarismo, volto a creare un nemico comune per poter addomesticare meglio il popolo come bestie. Tuttavia il tema, particolarmente incisivo e che arriva su schermo qui rievocando addirittura la ghettizzazione del ‘900, viene portato in scena senza cognizione di causa, mostrando il popolo del regno di Oz assolutamente pacifico e coeso, al quale non serve un nemico comune da temere (tra l’altro che si sta forgiando durante lo stesso film).
La ghettizzazione appena citata è riconducibile all’eccezione di questo popolo, ovvero i membri bestiali della comunità che stanno continuando a subire un’ingiustificata discriminazione. Nessuna rivolta, nessuna povertà, nessuna protesta, nessun atto che giustifichi un astio nei loro confronti viene mostrato durante la visione, se non un cambio repentino avvenuto in seguito alla Grande Siccità giusto per esigenze di trama. Senza considerare inevitabili temi animalisti allegati, è proprio la forzatura di questo razzismo ad essere un punto critico in Wicked, rendendolo fatalmente poco profondo.
Uno dei cardini di questa illogicità umana sta proprio nella diffidenza verso il diverso, lo straniero, cosa che qui non avviene, in quanto la comunità di Oz ha vissuto per anni in sintonia tra umani ed animali non creando di fatto una diversità e senza un atto in particolare che possa spezzare questa armonia. Addolcire in questo modo una vera e propria “pagina nazista” della nostra storia (un discorso sulla differenza tra “storia” e “passato” che non sta in piedi) e forzare il tutto in termini di economia narrativa non rende molto onore al titolo, che calca la mano sulla sua protagonista principale.
Elphaba incarna così il perfetto manifesto della lotta alla discriminazione: donna forte, di animo gentile e premuroso, fatta diventare un problema ed un nemico solo ed esclusivamente per il proprio colore della pelle. Aprendo una breve parentesi uscendo dallo schermo, suona anche di cattivo gusto che l’unico membro di colore del cast (almeno quello principale) interpreti la Strega Verde, come se non bastasse amplificare un concetto base e fondamentale già reiterato durante la visione. Peccato che, anche in questo caso, il tema venga trattato in maniera alquanto indecorosa, o meglio senza alcuna logicità o una minima profondità.
Senza considerare come il problema della discriminazione di Elphaba (e della meschinità di Glinda) venga di fatto risolto in un colpo a nemmeno metà del film, ci si potrebbe chiedere inizialmente perché una popolazione, che vive quotidianamente con animali antropomorfi (tra artisti e professori) e conosca la magia, debba odiare a prescindere una persona semplicemente per la sua pelle. Ci si ritrova poi un’intera scuola che saluta gioiosa la protagonista, nel suo viaggio verso la Città di Smeraldo, e che si ritroverà a sentire dagli altoparlanti “fidatevi è cattiva perché è verde” (semicit).
Wicked fallisce così il lato politico e quello sociale, scegliendo di soffermarsi principalmente sul cammino dell’eroe (villain in questo caso) e sull’amicizia con il personaggio di Glinda. Entrambi questi aspetti riescono al contrario ad andare a segno, con una costruzione lineare e costante tanto della consapevolezza di Elphaba delle proprie capacità quanto del rapporto con il personaggio a lei speculare.
Chiudendo questa analisi, sull’incapacità del film di non fermarsi a metà strada, Wicked (Parte 1) si mostra così come un “bambinone” che vuole parlare la lingua dei “grandi”, ma finisce solo per urlare una certa infantilità, sebbene non per questo meno rispettosa.
Wicked – Parte 1, la recensione: Somewhere under the rainbow
Il meraviglioso mago di Oz ti convoca alla Città di Smeraldo.
Un’altra forte criticità di Wicked risiede poi nel rimanere a metà strada anche per quanto riguarda un discorso extracinema, tra rivisitazione ed omaggio del capolavoro di Victor Fleming. Maleficent, Crudelia, Joker, il Sony’s Spider-Man Universe e chi più ne ha più ne metta, forte la tendenza negli ultimi anni di voler riscrivere la storia di villain iconici ed amati dal grande pubblico (si potrebbe aggiungere come tali personaggi siano diventati amati ed iconici proprio perché antagonisti della storia, ma le vie del denaro sono infinite).
Dietro leggende come Hannibal Lecter, Norman Bates e Darth Vader, l’American Film Institute posizione la Strega Malvagia dell’Ovest al 4° posto della classifica dei villain più amati nella storia del cinema. Wicked entrerebbe così a gamba tesa come classica “fava per 2 piccioni”, continuando il trand d’industria e portando un nuovo manifesto d’inclusività. Un’operazione di rivisitazione che risulterebbe solo che coerente con il romanzo da cui è tratto, ovvero Strega – Cronache dal Regno di Oz in rivolta di Gregory Maguire che, come accennato in precedenza, ha l’obiettivo di rivisitare il classico sotto soprattutto una chiave politica.
Trattasi di un elemento quest’ultimo che, purtroppo, si perde come detto fatalmente nella narrazione, la quale tenderebbe comunque ad essere autonoma ed isolata nell’universo narrativo de Il mago di Oz appunto rivisitato. Nonostante si debba rinviare per ovvie ragioni alla seconda parte, discrepanze narrative rispetto al Classico del 1939 infatti non mancano, entrando fortemente in contrasto più specificatamente con il film di Sam Raimi Il grande e potente Oz del 2013. Si denota in tal modo, quindi, una certa volontà del prodotto 2024 nel cercare di discostarsi dal materiale originale, risultando invece alquanto fedele soprattutto alla sua trasposizione teatrale oltre che letteraria.
Peccato che Wicked non perda poi occasione di strizzare continuamente l’occhio allo spettatore, il quale riceve la sua “caramella” attraverso continue citazioni e riferimenti, dalla costruzione d’immagine ai dialoghi. Omaggi che, tuttavia, risultano concretamente fuori luogo e cinematograficamente errati se si vuole attuare una rivisitazione che non prenda quindi in riferimento il resto. Si tratta di una strategia questa, più vicina alle realtà di marketing, che non fa altro se non evidenziare molte delle falle presenti nella sceneggiatura di Wicked.
Senza la necessità di dover tornare alle criticità sopra elencate, a non trovare libero respiro nel film è il suo fiacco ed impacciato registro comico, capace di raggiungere in alcuni casi un pietismo ed un imbarazzo notevole. Si potrebbero citare molti dei dialoghi buttati al vento ma, in particolare, a mettere un po’ a disagio è la “costruzione” immaginifica della strega, con annessa gag sul suo cappello e l’arrivo del mantello nel finale alquanto surreali.
A restituire un senso di inadeguatezza ci pensa, inoltre, anche la plastificata interpretazione di Ariana Grande. Già apparsa sul piccolo schermo e nel recente film Don’t Look Up di Adam McKay, la pop star statunitense continuerebbe a dimostrare la sua indiscussa abilità di performer musicale e le sue superbe abilità canore, ma con capacità espressive e recitative ancora latenti.
Wicked – Parte 1, la recensione: un “grande” musical torna sul grande schermo
Io non ho paura. Il Mago dovrà avere paura di me.
La “fragilità” di Ariana Grande viene tuttavia evidenziata dalla contrapposizione con la collega Cynthia Erivo, la quale si mangia il palcoscenico e riesce al contrario ad unire un’impostazione scenica notevole ad un’espressività incisiva. Si nota in tal senso il lavoro di un’artista di un altro livello, 2 volte candidata al premio Oscar sia come Miglior Attrice sia per la Migliore Canzone nel film Harriet.
Continuando a citare i prestigiosi riconoscimenti, il cast di Wicked comprenderebbe anche Michelle Yeoh e Jeff Goldblum, portando anche qui ad un altro contrasto sebbene in termini decisamente minori. La premio Oscar per Everything Everywhere All at Once risulta abbastanza insapore nella sua presenza scenica, facendo anche individuare la sua reale natura 2 minuti dopo la sua apparizione; al contrario e nonostante il poco tempo a disposizione, il celebre attore di La mosca e Jurassic Park riesce fin da subito a rapire l’attenzione.
Ad ogni modo, l’apporto emotivo di Cynthia Erivo è efficace, per un musical comunque ruggente ed abbagliante dal lato visivo e sonoro. Gli effetti speciali funzionano infatti a dovere, a concedere profondità ai fondali ricreati dignitosamente ci pensano belle, imponenti e sfarzose scenografie al gusto confetto, che giustificano un budget di circa 150 milioni$. A dare man forte alla prossima stagione dei premi ci pensa poi il reparto costumistico, che trova terreno fertile per una vivace ricostruzione fantasy e principesca (si comprende meno perché alcuni indossino la divisa di un tipo, altri di un altro e chi non la indossa proprio, ma si tratta alla fine di sottigliezze più o meno ricordabili).
Come accennato, la voce delle due protagoniste è sia incantevole che roboante, rendendosi protagonista di sequenze musicali riuscite e ben coreografate. L’impatto visivo e sonoro è dunque così efficace da offrire una sostanziosa mano alla claudicante regia di Jon M. Chu (dalla carriera sicuramente non memorabile) e ad un montaggio elefantiaco. Perdendo molta enfasi nell’emotività drammatica e comica, Wicked mostra uno spezzatino di sequenze dalla durata di 160 gravosi minuti, in una prima parte di un film unico, senza che l’effettiva sostanza della narrazione possa giustificare tale dispendioso impiego di tempo.
In conclusione, Wicked: Parte 1 riporta sul grande schermo il grande musical, per un film forte nella sua impalcatura scenica e musicale nel poter contare sulle spalle di un’ottima protagonista. Entrando tuttavia in profondità della visione, a tratti esasperante e spesso poco coinvolgente dal punto di vista tecnico ed emotivo, si assiste ad una lezione da “scuola elementare” su temi drammatici e delicati, arrivando per costrizione a messaggi universali e sacrosanti senza una vera cognizione di causa.
In attesa della Parte 2, si assisterà comunque al trionfo di Wicked verso il suo obiettivo naturale: gli Academy Awards 2025.
★ ★ ½