18 Ago 2024 Alien: Romulus è il bignami di Fede Alvarez della saga di Ridely Scott
Il 14 agosto 2024 esce nelle sale Alien: Romulus, il nuovo capitolo del celebre franchise nato nel 1979 con il leggendario film diretto da Ridely Scott. Un tassello che si inserisce cronologicamente tra il primo ed il secondo della saga, con la voglia di portare qualcosa di nuovo al filone horror-fantascientifico con protagonista le creature xenomorfe, ma rimanendo incatenato al rispetto della tradizione.
Alien: Romulus, la trama del film di Fede Alvarez
Su sceneggiatura dello stesso regista uruguaiano e dello stretto collaboratore Rodo Sayagues, i fatti narrati da Alien: Romulus si collocano cronologicamente tra quelli visionati in Alien del 1979 e Aliens – Scontro finale del 1986. In particolare, il film segue qui la storia di Rain, giovane orfana che lavora in una colonia mineraria con Andy, fratello adottivo ed umano sintetico programmato dal padre di lei.
Il contratto del suo estenuante lavoro viene esteso oltre le aspettative e Rain decide di fuggire dalla colonia con un gruppo di amici, unito quest’ultimo dal desiderio di evadere, cambiare stile di vita e poter vedere finalmente il Sole. Il piano del gruppo è, infatti, quello di raggiungere un’astronave abbandonata entrata nell’orbita del pianeta per poterne sfruttare le capsule di stasi criogeniche. Arrivati sulla stazione, tuttavia, Rain e i suoi compagni risvegliano un affamato ed implacabile male dormiente.
Alien: Romulus, la recensione: ineleganti highlights della saga
Nello spazio nessuno può sentirti urlare.
La saga di Alien non vuole proprio saperne di perdere fascino, anche dopo quasi mezzo secolo dal suo primo leggendario capitolo nel 1979. Un franchise che al momento conta 6 film oltre ai 2 crossover con Predator, senza considerare la serie tv di prossima uscita Alien: Earth su Disney+. Tra questi film canonici, l’ultimo arrivato in ordine di tempo è proprio Alien: Romulus, quarta regia dell’uruguaiano Fede Alvarez che, come debutto sul grande schermo, ebbe onere ed onore nel 2013 di mettere mano ad un’altra saga leggendaria come quella di La casa di Sam Raimi.
Romulus si collocherebbe a metà strada tra il capostipite del 1979 ed il secondo capitolo diretto da James Cameron nel 1986, oltre a presentarsi sempre a metà strada tra il desiderio di voler proporre qualcosa di nuovo e le catene della tradizione dei passati capitoli. Giusto qualche idea più o meno nuova all’interno della saga, come ad esempio il voler puntare su un gruppo di personaggi particolarmente giovani (più all’apparenza che all’anagrafe) o la creatura sul finale denominata Offspring, ma Alien: Romulus si presenta quale semplicissimo bignami dell’intero franchise.
Non solo quindi i doverosi riferimenti narrativi al suo prequel del 1979, ma proprio a tutti gli altri capitoli della saga letteralmente dall’inizio (presentazione della 20th Century Fox come per Alien 3 di David Fincher) alla fine (il messaggio registrato lasciato dalla protagonista). Alvarez abbraccia quindi tutta la leggendaria mitologia dello xenomorfo ma, più che spassionati omaggi artistici, la ricerca anche spasmodica di quel dato elemento o quella precisa inquadratura da portare sullo schermo si riversa in esasperato ed inutile fan-service, volto ad accontentare l’appassionato di lunga data.
Easter Egg che quindi si schiudono per spruzzare acido in faccia allo spettatore, con l’operazione a dir poco scellerata in tal senso legata al “nuovo” Ash, con Ian Holm che ritorna inutilmente sullo schermo a 4 anni dalla sua scomparsa con il personaggio dell’androide Rook. A parte qualche forzatura logico-narrativa di troppo, l’esasperata ricerca all’omaggio non può tuttavia tradursi in veri e proprio punti critici nella sceneggiatura scritta a 4 mani con Rodo Sayagues, ma in una grande occasione persa quello decisamente sì.
L’alta riflessione circa l’evoluzione della specie viene giusto sfiorata in concessione al mero sviluppo di trama, con quest’ultimo che si dirama seguendo stretti binari videoludici e dove i personaggi vengono appena abbozzati. Questi potrebbero infatti rappresentare quella doverosa ventata d’aria fresca verso le nuove generazioni, con il film che tornerebbe alla mitologia di quella Città eterna tanto cara a Ridley Scott. Il mito di Romolo della fondazione di Roma ed un cambio generazionale che possa così portare in qualche modo alla rifondazione del franchise, dall’allattamento di una lupa al sangue/sperma dello xenomorfo. Peccato che tale rifondazione resti solo a parole, se non proprio frutto di sovraletture, con Alien: Romulus che non porta nulla di nuovo e di convincente all’intero franchise, relegando i suoi sforzi ad un continuo “omaggio” da portare ai fan.
Alien: Romulus, la recensione: una mostruosa corsa nello spazio
Scappa!
Al di là di una sceneggiatura inconsistente, che si poggia furbamente sugli elementi migliori dei passati capitoli, c’è da dire che la messa in scena costruita da Alvarez sia particolarmente affascinante. Un’estetica sì vicina ad Alien: Isolation, videogioco survival horror sviluppato dallo studio britannico The Creative Assembly (ambientato giusto 5 anni prima Romulus), ma con specialmente la fotografia di Galo Olivares capace di renderla spiccatamente cinematografica.
La sua cupa palette cromatica di venature oscure e dorate, pronta a tingersi marcatamente di rosso sangue, riesce a restituire un’atmosfera opprimente sullo schermo, esaltata anche dal gran bel lavoro nella costruzione del sonoro. In tale equazione si distacca tuttavia la colonna sonora di Benjamin Wallfisch (It, L’uomo invisibile), spesso fuori luogo nel coprire ingiustificatamente i dialoghi e presentandosi sovrabbondante anche nel discorso sopracitato legato agli omaggi.
Tornando però all’aspetto più puramente estetico-visivo di Alien: Romulus, questo può contare su ottimi effetti speciali, molti dei quali analogici e che curano la costruzione artigianale delle splendide creature, figurando un’arma in più per la resa dell’orrore sullo schermo. Tolto qualche jump-scare, il film spinge l’horror sul canale dell’impatto visivo più fisico e spettacolare piuttosto che sulla tensione (comunque presente col contagocce), per la quale l’originale del 1979 ne resta ancora oggi un indiscusso manuale. Un orrore dunque sanguinolento, fisico, di corpi mutilati, che indulge anche in maniera ravvicinata sulle trasformazioni “insettivore” e “parassitarie” della creatura xenomorfa.
Una gestione dell’orrore che necessita di una doverosa ed affiliata conduzione del ritmo da parte del montaggio, che riesce bene nella sua trasformazione da strisciante nella prima parte prima di correre nell’action verso il traguardo finale. Tuttavia, le 2 ore di durata si sentono per bene e figurano di troppo di almeno 20 minuti, permettendo così di arrivare con stanchezza al doppio finale che, di per sé, rappresenterebbe il momento migliore e più accattivante dell’intero film.
Una certa “stanchezza” patita anche in virtù dei vari personaggi portati sullo schermo, abbozzati come accennato in precedenza. La “nuova Sigourney Weaver” di Cailee Spaeny (Priscilla) viene di fatto spinta a primeggiare sullo schermo, riuscendo a portare a casa comunque una prova decisa e determinata. L’attrice anche del Civil War di Alex Garland viene affiancata dalla sua spalla cybernetica interpretata da David Jonsson (secondo film dopo Ritrovarsi in Rye Lane dello scorso anno), il quale arriva ad essere il migliore del gruppo dal punto di vista emozionale e recitativo.
La final girl e la spalla che vengono infatti presentati come tale fin dall’inizio da Alien: Romulus, non concentrandosi mai sul resto dei personaggi in scena dal destino segnato dal minuto -1. Nessuna profondità psicologica o di background (se non una debole scusa di un personaggio nel dover essere ostile ed un minimo caratterizzato), con le esasperate interpretazioni del cast che certo non aiutano la causa.
Alien: Romulus è dunque il nuovo capitolo della fondamentale saga creata da Ridely Scott, schiacciato dal peso artistico dell’“ultimo arrivato” che lo porta semplicemente ad omaggiare l’intero franchise senza il coraggio di apportare qualche rivoluzione sostanziale. Un bignami che non si sbilancia nemmeno sul lato dell’esperienza da brivido, con l’horror mostrato sullo schermo attraverso ottimi effetti speciali ma che non riesce a terrorizzare, frutto di una gestione della visione che si sacrifica con buoni risultati al lato prettamente action.
★ ★ ½