La recensione del film di Ron Howard Eden

Il panorama mozzafiato di Eden è terreno per una partita poco pericolosa e molto stanca

Dopo essere stato presentato in anteprima in Italia al 42º Torino Film Festival, il nuovo film scritto e diretto dal premio Oscar Ron Howard arriva nelle nostre sale dal 10 aprile. Eden è infatti il 28° lungometraggio del regista di Il Grinch e A Beautiful Mind, per un thriller di sopravvivenza ambientato su un’isola deserta che vede protagonista un cast stellare. Ecco di seguito la recensione di Eden, il nuovo film di Ron Howard con Ana De Armas e Jude Law.

Eden: la trama del film di Ron Howard con Jude Law

Basato su fatti realmente accaduti, Eden nasce da un’idea dello stesso regista Ron Howard e Noah Pink, con quest’ultimo che ne firma la sceneggiatura. La trama del film, ambientato all’inizio degli anni ’30 del secolo scorso, segue la decisione del dottor Friedrich Ritter di abbandonare il mondo “civile” per vivere su un’isola deserta, nelle Galápagos, per scrivere un trattato rivoluzionario sulla specie umana.

Vive con lui anche Dora Strauch, affetta da sclerosi, ma la coppia non sarà l’unica sul suolo della pacifica isola. Ritter ha fatto spedire lettere in Germania, nelle quali descrive il miglioramento delle condizioni fisiche di Dora e il veterano di guerra Heinz Wittmer, con figlio malato di tubercolosi, ha scelto di andarlo a trovare sull’isola assieme alla moglie Margret.

Come se non bastasse, sull’isola arriva anche la sedicente baronessa Eloise Bosquet de Wagner Wehrhorn ed il suo equipaggio, intenzionata a costruire un hotel di lusso sull’isola. Sull’isola di Floreana, precedentemente in pace con la natura, inizia a conoscere le regole, i veleni e le contraddizioni del “buon vicinato”, con la convivenza delle tre fazioni che si tramuterà in una vera e propria lotta per la sopravvivenza.

La recensione del film Eden

Eden, la recensione: diario di bordo per esplorazioni esotiche

Ora sei tu a farmi pietà, perché so bene che nessuno di voi uscirà vivo da questa foresta.

Una delle tante citazioni di quello splendido Aguirre, furore di Dio del regista tedesco Werner Herzog, con Eden che mostrerebbe non pochi punti di contatto con il cinema dell’autore di Fitzcarraldo. Anche nel nuovo film prodotto, scritto e diretto da Ron Howard, infatti, la Natura diventa non soltanto dominante dal punto di vista della messa in scena, ma anche e soprattutto da quello simbolico e narrativo.

Più che sull’ambiente circostante, questo speciale e “selvaggio” tipo di cinema tende a spostare l’attenzione sul rapporto/conflitto tra la stessa e l’essere umano, con il termine “Natura” che entra in gioco sotto 2 punti di vista: quello faunistico e floristico; quello esistenziale ed antropologico. Inoltre, al di fuori dell’approccio con il materiale selvaggio, il cinema di Werner Herzog ha più volte mostrato un peculiare piglio documentaristico nel narrare le imprese di determinati personaggi storici. Torna a ricollegarsi anche questo Eden, con Ron Howard che ancora una volta torna a raccontare storie (semi)biografiche per poi spostare l’attenzione verso altri lidi.

Il regista di Apollo 13 , A Beautiful Mind e Cinderella Man arriva a portare sul grande schermo un’altra storia umana, “basata sulle testimonianza di coloro che sono sopravvissuti”. La storia vera è così quella di alcuni coloni europei che sono approdati, nella prima metà del ‘900, sulla sperduta isola Floreana, nelle Galapagos, per una vicenda che già all’epoca fece scalpore o comunque creò non poca curiosità.

Sì perché sull’isola arrivò una coppia (Friedrich Ritter e Dore Strauch) disillusa dagli ideali e dalle svolte politiche prese in Europa, alla quale seguirono altri ospiti inattesi e poco graditi, dando vita sull’isola a tensioni, sparizioni ed il sospetto di vari crimini. L’intricata vicenda è stata infatti già portata su schermo con The Galapagos Affair: Satan Came to Eden, documentario del 2013 diretto da Daniel Geller e Dayna Goldfine, con Ron Howard che avrebbe trasposto la storia in forma di finzione ma senza abbandonare quel “piglio documentaristico”.

Oltre infatti al ripescaggio del materiale d’archivio, nel quale figura anche le immagini del cortometraggio del 1934 L’imperatrice di Floreana (con protagonista la vera baronessa Eloise Bosquet de Wagner Wehrhorn), l’intro di Eden mette il focus sul contesto temporale. Gli anni sono quelli della Grande Depressione negli USA e la proliferazione del fascismo in Europa. <<La democrazia porta al fascismo e poi alla guerra. Democrazia, fascismo, guerra e si ripete>>.

Questa è una delle prime massime enunciate dal personaggio interpretato da Jude Law, per un film che sembra possa prendere anche derive filosofiche, nichiliste, anche per elevare la “missione” del protagonista nel cercare di salvare l’umanità da sé stessa. Tutto ciò, purtroppo, resta solamente l’ennesima illusione di Eden nella sua prima parte, con il film che abbandona quasi completamente il campo politico e lascia alla porta quello filosofico, se non per qualche massima sparsa qua e là.

Quello del contesto storico, quindi, arriva a prendere le sembianze di un semplice pretesto concesso al protagonista per potersi isolare dal mondo e con la “storia vera” sulla quale Eden è basato che può prendere così piede.

Eden film Ron Howard

Eden: un gioco al massacro stanco, scontato e ripetitivo

Stavo pensando all’incoerenza della cosiddetta civiltà: l’animale della giungla che uccide solo per la sua sopravvivenza viene definito selvaggio, l’uomo che uccide solo per sport viene definito civile.

Se nel paragrafo precedente si ruba la citazione di un film cardine del cinema d’avventura, come Aguirre, furore di Dio, questa volta è il turno di uno dei pilastri del survival-movie. Fa per certi versi sorridere come Eden sia ambientato proprio lo stesso anno di Partita pericolosa (The Most Dangerous Game), diretto da Irving Pichel e da Ernest B. Schoedsack (King Kong).

Il film del 1932 vede infatti protagonista un gruppo di naufraghi finiti sull’isola abitata dal conte Zaroff, aristocratico cosacco sfuggito alla rivoluzione del 1917. Il losco figuro, interpretato nel film da Leslie Banks, svelerà un macabro divertimento nel cacciare esseri umani presenti sull’isola come fossero delle vere e proprie prede. Partita pericolosa porta così su schermo un prototipo di quello che saranno altre opere come Battle Royale e Hunger Games su tutti, per una lotta alla sopravvivenza ambientata specialmente in questo caso su di un’isola deserta.

Passando al film di Ron Howard, questo annuncia fin da subito allo spettatore di essere “basato sulle testimonianze di coloro che sono sopravvissuti”, ed allora occorre domandarsi (fin dall’inizio della visione): chi saranno i sopravvissuti? L’opera del regista premio Oscar si sarebbe dovuta intitolare inizialmente L’origine delle specie, lasciando poi il passo al “semplice” Eden, per un racconto per certi versi dalle portati bibliche ma che tiene la religione ancorata a riva.

Il discorso politico, esistenziale e filosofico del paragrafo precedente viene quindi sì introdotto, ma abbandonato nettamente a sé stesso, lasciando il passo alla “storiella” del survival-thriller alquanto ripetitiva e senza troppi colpi di scena che non fossero pronosticabili. Un’altra citazione da abusare in questo caso sarebbe l’ultimatum della serie tv Lost Questa non è la vostra isola, questa è la Nostra isola“, che verrebbe in questo caso enunciato dal personaggio interpretato da Jude Law.

Anche in Eden, infatti, si creano fin da subito delle fazioni ben specifiche e determinate, ognuna andando ad incarnare un personale microcosmo e svelando sfaccettature, vizi e virtù del resto del mondo. Ci si avvicinerebbe in questo caso ad un vero gioco di ruolo, dove ogni personaggio rappresenta i propri simili. La coppia formata dagli eremiti Ritter sono infatti la compagine più spirituale, asettica dalle regole e dai costrutti sociali del mondo. Lo stesso personaggio di Jude Law è anche arrivato ad asportarsi i denti per non incorrere in infezioni, andando tuttavia a tratteggiare simbolicamente l’estirpazione della “fame”, quella materiale.

Quella stessa fame che inizierà a tornare con l’arrivo degli ospiti indesiderati, in particolare entrando in contatto con il materialismo capitalista della Baronessa. La coppia tedesca formata dal veterano Heinz e dalla giovane sposa Margret sono la fazione di mezzo, l’ago della bilancia per una generazione che ha perso la bussola, purtroppo come la narrazione stessa di Eden.

La sensazione provata durante la visione del film è infatti quella di procedere a tastoni, di aggiungere elementi all’intreccio solo per continuare a “giocare” con esso, senza avere in mente un’idea di forma e sostanza particolarmente precisa e vincente. Se infatti il cuore e lo spirito “alto” del film viene sacrificato in favore del suo intrattenimento, allora l’intrattenimento di genere deve diventare centrale e decisivo.

Alla base del survival-thriller da “stanza chiusa” (anche se in questo caso la stanza equivale ad un’intera isola), l”approccio giallistico resta dominante, con la tensione e l’effetto sorpresa che dovrebbero prendere il sopravvento. Il gioco alla sopravvivenza di Eden, tuttavia, risulta come accennato ripetitivo nei suoi continui cambi di fronte, nonché alquanto pronosticabile già nella sua prima parte, almeno nel cosa succederà piuttosto che sul “come”.

A ciò si aggiunge anche un minutaggio di oltre 2 ore che, sicuramente, non riesce a supportare la causa, anzi. Con il contesto storico e politico che semplicemente funge da pretesto, e con l’intrattenimento da survival-thriller che viene alquanto appiattito, qual è lo scopo di Eden? Se lo chiederebbe anche lo stesso personaggio di Jude Law, senza riuscire ad arrivare ad una risposta.

Eden: nel purgatorio della sostanza, la forma è selvaggiamente paradisiaca

È il momento di scegliere.

La sceneggiatura di Noah Pink manca quindi l’obiettivo principale, strutturando una storia che non riesce a convincere né per il proprio intreccio (scontato e masticato), né per il sacrificio del materiale politico, filosofico ed esistenzialista. La penna dello scrittore, tuttavia, dimostra di avere particolare attenzione nel non voler fallire i suoi personaggi protagonisti. Questa si mostrerebbe come un’azione per certi versi “obbligata”, dando un’occhiata al lussuoso cast a disposizione che non fallisce un colpo.

Ogni interprete riesce infatti a conferire al rispettivo personaggio il giusto carattere, precise sfaccettature di sguardi, gesti, modi di porsi che rendono gli stessi tridimensionali. Quello di Jude Law è un millantatore Dr. Friedrich Ritter (l’illusione, la farsa ed il tradimento verbale e materiale sono di casa in Eden), un uomo che si ritira dal mondo per scrivere il trattato filosofico definitivo per cercare di far evolvere finalmente la specie. Salvare l’umanità da sé stessa diventa un mantra, per liberarla da guerre, fascismi e quegli istinti bestiali che dalla notte dei tempi continuano a rincorrerlo.

Una missione che sembrerebbe procedere verso la giusta direzione, finché non arriverà a bussare alla sua porta quello stesso mondo che aveva provato a lasciarsi alle spalle con tanto dolore, sacrificio e sofferenze. Non solo Ritter verrà disturbato e non riuscirà a completare il suo libro, ma verrà a sua volta corrotto dal fascino e dall’avidità di Ana De Armas, probabilmente la migliore del pacchetto di formidabili interpreti nel monopolizzare l’attenzione su di sé.

Mentre, infatti, nella prima parte di Eden vengono presentati principalmente i “maschietti” come protagonisti della storia, con Daniel Brühl in cerca del suo ispiratore Jude Law, questi iniziano a lasciare via via spazio alla controparte femminile. Come accennato, la Baronessa della Marilyn Monroe per Andrew Dominik è fin da subito inconfondibile, si lascia ben identificare anche cromaticamente, con l’unico tocco di un lussurioso rosso in una palette dominata dal verde e dal giallo dell’ambientazione esotica. Di pari passo, anche i personaggi di Vanessa Kirby e Sydney Sweeney iniziano a poco a poco ad uscire dall’ombra dei rispettivi compagni per prendersi la scena, specialmente la protagonista di Immaculate (nuovamente prescelta e alle prese con una difficile gravidanza).

Un cast composto non soltanto da nomi importanti del cinema internazionale, ma anche e soprattutto da autentiche e scolpite bellezze estetiche. Ecco che entra in gioco la regia di Ron Howard, che si fa comunque vedere dall’inizio alla fine del suo Eden soprattutto nel “bilanciare” la bellezza in scena. Il regista non cede il passo alla spettacolarizzazione della bellezza mozzafiato del suo cast, anzi, sceglie di “imbruttirlo”…o almeno ci prova. Le condizioni attitudinali sull’isola deserta vietano ovviamente l’ingresso a costruzioni elaborate di trucco, costumi ed acconciature, ma anche il nudo mostrato passa attraverso una speciale lente a volte elegante a volte sfrontata.

Gli umani sudano, sono malati, invalidi, sporchi, con il tutto che non passa ovviamente inosservato nel contrasto con la pulizia della società civile. Ma oltre alla “bruttezza” estetica, il cast del film di Ron Howard mostra il peggio di sé nella violenza, nei continui tradimenti ed inganni d’interesse, bilanciando allo stesso tempo con la quiete dell’ambiente circostante. Tornando al “piglio documentaristico” di inizio recensione, il regista è solito introdurre infatti all’interno della narrazione immagini da un reportage di National Geographic.

Arrivando quasi a contraddire l’avvertimento iniziale di Dora (“qualsiasi cosa su quest’isola può uccidervi”) e navigando in una bellissima fotografia selvaggiamente desaturata, Eden offre uno speciale bilanciamento nel mostrare da una parte un gruppo di umani che si uccide a vicenda, dall’altra la pacatezza, la manifesta meraviglia ed il ciclo della vita, nella Natura paesaggistica della splendida isola e della sua variegata fauna. In questo infernale gioco al massacro, su questo angolo di Paradiso, Eden viene poi da ultimo traghettato dalla colonna sonora di un maestro come Hans Zimmer, riuscendo ad enfatizzare con la sua musica il peso della Natura circostante.

★ ★ ★ ½

Recensione film Eden
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Vittorio Pigini
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Laureato in Giurisprudenza, diplomato in Amministrazione Finanza e Marketing, ma decisamente un Hobbit mancato. Orgogliosamente nerd e da sempre appassionato al mondo cinematografico, con il catartico piacere per la scrittura. Studioso della Settima Arte da autodidatta, con dedizione e soprattutto passione che mi hanno portato a scrivere di cinema e ad avvicinarmi alla regia.

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