Recensione film Yorgos Lanthimos Kinds of Kindness

Kinds of Kindness: un Lanthimos accecato che ha smarrito la strada di casa

Presentato in anteprima al 77° Festival di Cannes, Kinds of Kindness è il nuovo film scritto e diretto dal regista greco Yorgos Lanthimos, che torna in rapida successione sul grande schermo fresco del successo all’edizione 2024 dei premi Oscar.

Kinds of Kindness, la trama del film di Yorgos Lanthimos

Scritto assieme al connazionale Efthymis Filippou, il 9° film di Yorgos Lanthimos viene strutturato e suddiviso in 3 distinti episodi, i quali vedono protagonisti gli stessi attori interpretare personaggi differenti, sebbene questi presentino un elemento in comune.

Il primo di questi racconti, “La morte di R.M.F.” narra di Robert, impiegato di uno studio e succube del proprio datore di lavoro Raymond, il quale controlla la vita del suo sottoposto nei minimi particolari, da quali libri leggere a quali calzini indossare, persino quando poter avere rapporti con la compagna Sarah. Un giorno Raymond ordina a Robert di cagionare un incidente d’auto per ferire mortalmente un uomo, ma questo si rifiuta impaurito dalla richiesta ed allontanandosi così dalle grazie del capo.

Il secondo episodio “R.M.F. vola” racconta invece del poliziotto Daniel, preoccupato per la scomparsa della moglie Liz apparentemente irrintracciabile dai soccorsi per essere finita su un’isola deserta in seguito ad un naufragio. Finalmente la donna sembrerebbe essere stata portata in salvo, tornando a casa e riempiendo il vuoto nella vita di Daniel. Tuttavia, la donna tornata a casa sembrerebbe non essere Liz ma un’altra persona, nonostante il suo stesso aspetto.

La terza ed ultima storia, “R.M.F. mangia un sandwitch”, vede in primo piano Emily ed Andrew, adepti di una particolare setta che stanno continuando a girare per il Paese in cerca di un leader spirituale che possa far riportare i morti in vita.

Recensione film Kinds of Kindness

Kinds of Kindness, la recensione: il Giallo dei riflettori che accecano

Ci siamo, è il momento della verità!

Si inaugura la recensione del film sottolineando, fin da subito, un fattore determinante tanto nella realizzazione quanto nella fruizione di Kinds of Kindness, ovvero le sue firme in sede di sceneggiatura. Accanto a Yorgos Lanthimos, infatti, il film viene co-scritto anche dal connazionale Efthymis Filippou autore, assieme al regista greco dei suoi altri film Dogtooth, Alps, The Lobster ed Il sacrificio del cervo sacro. Questo per indicare come questo nuovo titolo torni al cinema più spiccatamente surreale, grottesco ed allegorico di Lanthimos, costituendo un vero e proprio “sweet dream” per coloro che non hanno ben accettato la deriva hollywoodiana del regista nei suoi ultimi lavori, con la poetica dell’autore greco che – anche in questo caso – non se n’è mai andata veramente.

Il recentissimo successo con Povere Creature! e questa presa di consapevolezza non faceva altro che accrescere l’interesse per un titolo come Kinds of Kindness che, purtroppo, è forse sfuggito di mano al suo regista nella megalomania di strafare per tornare alle origini. Per raccontare un cinema così marcatamente surreale ed allegorico Lanthimos, infatti, si complica la vita scegliendo la strada del film ad episodi. Quello del cinema segmentato in tal modo, tranne in alcuni illustri casi come ad esempio I tre volti della paura di Mario Bava o il più recente La ballata di Buster Scruggs dei fratelli Coen, è un’operazione che ha sì il suo fascino, ma risulta molto complicata da portare su schermo.

Questo semplicemente perché necessita di racconti capaci di reggersi sulle proprie spalle nella rispettiva trama, offrendo uno o più elementi comuni che possano stringerli assieme; senza contare come, trattandosi appunto di un film ad episodi, l’allegoria sarebbe già insita nel legame tra gli stessi, chiedendo allo spettatore di interpretare ed estrapolare la chiave di lettura adeguata alla situazione. Proprio seguendo questo percorso, Kinds of Kindness pecca probabilmente di estrema presunzione, raccontando le sue storie dell’assurdo in capitoli ristretti che cercano di sfruttare il “poco tempo” a disposizione per spiazzare e stupire il più possibile lo spettatore.

Nonostante infatti la durata complessiva del film si aggiri sulle 3 ore, i singoli episodi risultano paradossalmente eccessivamente scarni, con le allegoriche vicende che a loro tempo vengono compensate in altrettanti sotto-capitoli, finendo per raccogliere solo un flebile coinvolgimento. Se la storia narrata in “La morte di R.M.F.” si mostra – fermandosi lì – con innegabile fascino ed interesse, il secondo episodio è quello più forte e che avrebbe forse meritato un lungometraggio a sé, potendo puntare su àncore ferme e determinate: la donna sopravvissuta al naufragio, è davvero lei o no? Quella di Daniel è follia o arguzia nell’aver capito che qualcosa non va?

Il terzo tragicomico capitolo, “R.M.F. Mangia un Sandwitch”, arriva invece con grande fatica al finale, con stanchezza e perdita d’interesse nel grottesco e nel surreale visto (ed in qualche modo reiterato) nella precedente ora e mezza di visione. Pur presentando un’analisi tematica comunque non indifferente e che verrà esaminata a breve, Kinds of Kindness mostrerebbe (in maniera in alcuni punti palpabili) tutta la voglia del suo regista di stupire forzatamente lo spettatore. Finisce, al contrario, per restituire su schermo una visione alquanto fiacca, la quale non riesce ad emozionare (perché non ha i mezzi per entrare più nel dettaglio della psicologia dei vari personaggi), a far ridere (qualche sorriso a denti stretti relegato alla macabra ironia del grottesco) ed a sbigottire lo spettatore attraverso un assurdo ed una straordinarietà che diviene ordinario.

Accecato forse dagli illustri riflettori rivolti in pieno viso soprattutto dai suoi ultimi lavori, a Lanthimos si recrimina dunque una superficiale cura dello sviluppo – non solo narrativo – del proprio film, con questa che potrebbe anche essere determinata dall’insaziabile voglia di cinema dell’autore greco, con le riprese di Kinds of Kindness che sono state eseguite in concomitanza con quelle di Povere Creature! e con il regista già entrato in fase di sviluppo del prossimo Bugonia.

Kinds of Kindness, la recensione: il Rosso della carne e del sangue che sgorga

Apri gli occhi e guarda bene quello che ti succede attorno.

Il nuovo film di Lanthimos risulta quindi difettoso e provocatoriamente sopra le righe, sebbene porti ugualmente con sé lo stile e la poetica che hanno condotto l’autore greco al successo, con il titolo che fa del suo punto di forza l’allegoria del suo cinema surreale e simbolico, il quale necessita inevitabilmente di arrivare al punto della faccenda.

Per “gentilezza” si intenderebbe un comportamento, a scopo benevolo, per cercare di rendere evidente al prossimo una propria considerazione e preoccupazione morale. Proprio in quest’ottica, come disposto direttamente dal titolo, Kinds of Kindness prova a presentare la diversa natura e i modi in cui tale gentilezza viene esplicitata, arrivando alle connotazioni del bisogno di essere accettati, dell’essere disposti a sottomettere ed essere sottomessi, fino al sacrificio. Raccontato in 3 diverse sfumature di Giallo, Rosso e Blu, il film porrebbe allo spettatore il proverbiale interrogativo: cosa sei disposto a fare per amore?

Lanthimos farebbe così battere nel suo film le pulsioni di vita e morte in una realtà che spinge i suoi esseri viventi a dividersi tra prede e predatori, tra dominanti e dominati dagli stessi impulsi primordiali. Il sesso ed il potere di un animale sociale come l’uomo lo spingono in Kinds of Kindness a corrompere l’amore (la “gentilezza”) in un feroce desiderio di carne (tra cannibalismo e ninfomania) e del contatto fisico per non finire abbandonato (su un’isola deserta o appeso al palo). Una condizione in un certo senso statica e presente anche nella società moderna che nel film viene rotta dall’elemento comune ai 3 episodi, ovvero il personaggio di R.M.F. che – arrivando quasi ad impersonificare lo stesso regista – porta i protagonisti e gli stessi spettatori ad aprire gli occhi su questa corruzione della gentilezza da parte dell’istinto di dominazione.

L’amore, o almeno quello che dovrebbe essere il senso di “amore”, presentato nei 3 episodi richiede infatti sempre una prova di fede, per dimostrare appunto cosa si è disposti a fare se si ama veramente una persona, arrivando a costruire un rapporto fatalmente tossico. Ciò avviene nel primo racconto sulla dominazione e schiavismo nell’ambiente lavorativo (il Giallo dei soldi e del potere), dove il “Caligola” di Willem Dafoe riprende sostanzialmente i panni di “God” del precedente Povere Creature! per soggiogare la figura di Robert, reso impotente (più della moglie) di vivere la propria vita.

In egual misura avviene in “R.M.F. vola”, dove la sottomissione nella coppia raggiunge i connotati della relazione tossica in famiglia (il Rosso della carne e del sangue), nella quale Daniel chiede la “prova di fede” alla ritrovata (?) Liz di arrivare a cacciarsi fuori il proprio fegato. Non dissimile, infine, la prova nel terzo ed ultimo episodio di ambiente più legato alle istituzioni religiose (il Blu delle lacrime e dell’acqua benedetta), dove ai membri di una setta viene richiesto di rimanere puri e non contaminati. Soprattutto in quest’ultimo racconto si rivela un altro elemento che, in un modo o nell’altro, torna ciclicamente nei 3 episodi, ovvero la repulsione verso la procreazione.

Se nel primo il personaggio di Sarah viene indotto ad abortire e nel secondo la probabile maternità di Liz viene vista come la goccia che fa traboccare il vaso nelle convinzioni di Daniel, nel terzo il personaggio di Emily si allontana/viene allontanata dalla propria figlia più che dal viscido e deplorevole compagno, con il rapporto avuto con quest’ultimo che rappresenta un fattore di contaminazione poiché non avvenuto all’interno del “branco”. Come per tutto il cinema bestiale di Lanthimos, anche in Kinds of Kindness torna un particolare accostamento tra l’essere umano ed il mondo animale, con la fauna assemblata a mo’ di sperimentale mostro di Frankenstein in Povere Creature!, i cari 17 conigli allevati della regina Anna in La Favorita per rimpiazzare i figli deceduti, passando per la “fucina” di The Lobster senza dover andare oltre.

Più nella metafora che può vertere su maschere e burattini appunto rimpiazzabili, nel nuovo film dell’autore greco i suoi personaggi vengono infatti addomesticati come cani, mossi da istinti animaleschi nella ricerca di cibo e di sesso (quest’ultimo proprio come bisogno selvaggio e naturale, sottomesso anche alle logiche dei giochi di ruolo, senza vedere come obiettivo quello della procreazione), con la mano che li asseconda che viene leccata o morsa. Sono infatti gli arti quelli che vengono particolarmente presi di mira dal film: quegli stessi piedi che spingono alla posizione eretta che vengono feriti, gonfiati o storpiati, passando per il pollice opponibile, simbolo identitario dell’essere umano, che viene tagliato via.

Yorgos Lanthimos recensione film Kinds of Kindness

Kinds of Kindness, la recensione: il Blu dell’acqua salvifica che fa sprofondare

Sweet dreams are made of this
Who am I to disagree?

Tema caro in praticamente tutta la poetica autoriale di Lanthimos, la dominazione nella società porta l’essere umano anche in Kinds of Kindness a trasformarsi in una bestia, lasciato solo ai propri impulsi nell‘orgia di sesso, cibo e prevaricazione. Trattandosi appunto di un’operazione filmica che lascia la propria analisi ad una più o meno libera interpretazione, il surrealismo mostrato nella nuova fatica del regista greco godrebbe da questo punto di vista un’affascinante introspezione, sebbene il film non riesca ad andare a segno come accennato poc’anzi.

In via preliminare, Kinds of Kindness non arriva a colpire lo spettatore non solo per via di un confusionario sviluppo narrativo, particolarmente incentrato ad essere scioccante piuttosto che concentrarsi sulla concretezza, ma anche per l’approccio registico portato avanti dalla messa in scena, il quale si permea di una smorta ironia macabra e grottesca che al massimo restituisce qualche bizzarro tocco di colore in più.

Per quanto concerne poi il comparto foto-scenografico, pur portandosi ancora dietro il collaboratore dei precedenti 2 film Robbie Ryan, Lanthimos cambia radicalmente nella sostanza l’impatto visivo del suo film. Il lucido fotorealismo d’interni, con la diffusione della luce stessa che spesso e volentieri non convince, abbandona il fantasioso barocchismo e la porcellana per cercare di restituire un senso di straniamento in una realtà vicina a quella reale. Se poi l’uso del bianco e nero in un’operazione sublime come quella in Povere Creature! acquisiva un significato funzionale in termini narrativi, in Kinds of Kindness l’azzeramento dei colori viene relegato scialbamente all’onirico ed ai ricordi del passato, senza nemmeno restituire istantanee degne di nota.

A colpire maggiormente sono invece le cadenzate note di Jerskin Fendrix, alla sua seconda collaborazione consecutiva con il regista, che spezza un silenzio molto presente con il forte tintinnio del piano, riservando non solo note stridenti e sinistre ma anche cori simil-gregoriani che restituiscono una sonorità vicina all’ambiente biblico. A dare vita poi ai singoli episodi del film sono loro, quei bellissimi “pezzi di carne” sfruttati dal regista per cercare di restituire intensa emotività sul grande schermo. Seppur apprezzabile nel “cambio di abito”, purtroppo Kinds of Kindness manca l’obiettivo anche da questo punto di vista, non registrando interpretazioni degne di particolare fascino (soprattutto in confronto alle recenti direzioni di cast) se non per la triplice prova del sempre ben impostato Jesse Plemons che, fortunatamente, si potrebbe essere ritrovato un 77° Festival di Cannes di “manica larga”.

Emma Stone, Margaret Qualley e Willem Dafoe (sicuramente più presenti e determinanti rispetto a Hong Chau, Joe Alwyn, Mamoudou Athie: Will e Hunter Schafer) si mettono a nudo a completa disposizione del regista, senza però graffiare quanto notoriamente potrebbero e restituendo giusto l’impressione di un cast che si è divertito a girare piuttosto che essere preoccupato di far divertire/appassionare.

In conclusione, senza nulla togliere al film una spiccata eleganza nella messa in scena – specialmente nell’armonica conduzione della macchina da presa e negli stati a camera fissa – oltre che ad un’affascinante introspezione tematica che pregna di significato il surreale mostrato, Kinds of Kindness rappresenta un’opera mancata e forse solo di transito tra un lavoro e l’altro. Oltre infatti alle varie sbavature nel montaggio, nella fotografia e nella direzione del cast, il film pecca principalmente la scelta di raccontare la sua allegoria attraverso 3 storie distinte che non riescono a coinvolgere quasi mai nel rispettivo sviluppo estetico e narrativo.

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Vittorio Pigini
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Laureato in Giurisprudenza, diplomato in Amministrazione Finanza e Marketing, ma decisamente un Hobbit mancato. Orgogliosamente nerd e da sempre appassionato al mondo cinematografico, con il catartico piacere per la scrittura. Studioso della Settima Arte da autodidatta, con dedizione e soprattutto passione che mi hanno portato a scrivere di cinema e ad avvicinarmi alla regia.

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