Recensione film Pearl

Pearl è la magica ballata macabra nella trilogia di Ti West

Presentato in anteprima mondiale al 79° Festival di Venezia, Pearl non è solo il nono film del regista statunitense Ti West, ma anche il secondo della sua personalissima trilogia. Prequel infatti del precedente X: a sexy horror story, il film si concentra sull’omonimo villain interpretato ancora una volta da una straordinaria Mia Goth.

Pearl, la trama del secondo film della trilogia con Mia Goth

Ambientato 60 anni prima X: a sexy horror story, Pearl segna di fatto la Origin Story dell’omonimo personaggio villain del precedente film. L’ambientazione del titolo scritto e diretto da Ti West torna infatti nel Texas del 1918 e vede protagonista Pearl, aspirante ballerina costretta a tornare a vivere con i genitori dopo che il marito Howard è stato chiamato a combattere in Europa nella Prima Guerra Mondiale.

Il sogno della ragazza viene tuttavia ingabbiato da una condizione famigliare disagevole, con il padre costretto sulla sedia a rotelle a causa della sua malattia e soprattutto con una madre particolarmente opprimente. Una gabbia, istituita anche dalla società, che corrompe la mente di Pearl, la quale inizia a sviluppare una psicosi che la porta prima ad uccidere piccoli animali per poi allargare il suo raggio d’azione.

Pearl, la recensione: uno scontro generazionale che inizia da “molto tempo fa”

An X-traordinary Origin Story

Ad inaugurare la recensione di Pearl c’è innanzitutto da fare i complimenti ad un autore come Ti West per questa speciale operazione, tanto cinematografica quanto commerciale. Il regista di X: a sexy horror story si è infatti reso immediatamente conto di come la mitologia, legata alla musa Mia Goth, avrebbe avuto successo, tanto da mettersi al tavolino per la sceneggiatura di Pearl già durante il precedente film.

Con questo nono film del regista si tratterebbe, per sua natura, di un’operazione strettamente destinata al mercato, quale non solo prequel ma addirittura origin story di un personaggio affascinante come quello che dà nome al titolo. Tuttavia, il film nasce contemporaneamente dal bisogno di dare ulteriormente sfogo a quella poetica già ammirata in X, riprendendo di fatto da dove aveva lasciato il pubblico ma mischiando le carte in gioco. Anche in questo Pearl, infatti, Ti West torna a raccontare di uno spiccato scontro generazionale, decisamente più marcato rispetto al precedente film.

Si assiste così alla favola di una ballata macabra, che si ciba di cinema e spettacolo per poter mostrare su schermo la gabbia sociale ed istituzionale che opprime la psicopatica protagonista. Bloccata da un concettualismo cattolicentrico, la generazione castrante è quella di una società non ancora pronta a sdoganare i propri taboo, passando qui dal porno alla danza, ma anche quella dell’istituzione della famiglia quale nucleo necessario e disfunzionale. Senza considerare anche la condizione della donna, sempre attuale dopo un secolo di distanza dalla narrazione, il desiderio di Pearl di apparire, di essere sulla bocca di tutti, viene strozzato in gola, per un uccello dalle ali tarpate che si trasforma lentamente in arpia.

La violenta trasformazione psicologica è poi data non solo dalla tossica competizione all’interno del mondo dello spettacolo, ma anche dal ritorno degli spettri di una Guerra che rilascia i suoi dannosi effetti. Se con X: a sexy horror story era comunque possibile assistere su schermo ai fantasmi della Guerra del Vietnam, per condizione sociale, economica e psicologica, in Pearl è direttamente il Primo Conflitto Mondiale ad allontanare l’amore dal cuore e dalla vita della protagonista, quale di fatto fattore scatenante il tutto anche per gli impulsi da soddisfare della stessa.

Ma così come per il precedente film, anche in quest’opera il regista non perde occasione di omaggiare il grande cinema del passato. Non solo, anche in questo caso, attraverso continui e grandi riferimenti all’horror anni ’70 di Tobe Hooper, Wes Craven, Argento e De Palma, ma andando anche più indietro con la memoria. In questa favola allucinata ed allucinatoria, inutile sottolineare come il punto di riferimento principale sia Il Mago di Oz di Victor Fleming, tanto dal punto di vista più propriamente estetico (fotografia particolarmente accesa) quanto narrativo.

Uno stretto fil rouge legherebbe infatti Pearl all’indimenticabile Dorothy, con la protagonista costretta ad intraprendere un vero e proprio viaggio per conoscere il mondo fuori dai confini della propria fattoria, attraverso “incontri” con Spaventapasseri e bestie, finendo per rendersi conto come <<nessun posto è bello come casa mia>>, sebbene ovviamente non con gli stessi effetti ed intenzioni.

Recensione film horror Pearl

Pearl, la recensione: il Mago Ti West continua a regalare un magico spettacolo

Io voglio solo essere amata da un pubblico vastissimo, ma la verità è che io non sono per niente una brava persona.

Riferimenti a parte, a rendere particolarmente magico un titolo come Pearl è anche la sua preziosa colonna sonora, firmata da quello stesso duo formato da Tyler Bates e Timothy Williams che avevano già reso piccante ed esplosiva quella del precedente X. Il resto di questo favolistico viaggio nell’orrore di questa ballata macabra lo porta una messa in scena magniloquente, tanto per l’ottimo contributo estetico apportato dall’ancor collaboratore Eliot Rockett alla fotografia quanto per la classe elegante e feroce dello stesso Ti West.

Attraverso infatti il comparto più propriamente estetico, il regista riesce infatti a realizzare un prequel del suo precedente film cambiando quasi radicalmente la sua forma e la sua atmosfera, più pastellata e dedita al musical rispetto allo slasher cupo del precedente X. Quasi una parodia del melodramma ammantato di gusto grottesco che, tuttavia, non si allontana troppo dallo stile apportato nel precedente film, regalando una visione che scorre in maniera particolarmente oliata dall’ottimo montaggio dello stesso regista e che riversa più di qualche momento davvero spettacolare.

Tra questi ultimi non si può non omaggiare il disturbante “rapporto” avuto dalla protagonista con lo spaventapasseri, o l’omaggio ancora a Shining di un certo inseguimento armato di accetta, per non dimenticare un monologo verso il finale alquanto incisivo in termini emotivi e di sostanza tematica. In tutti questi ed in altri momenti iconici c’è sempre lei, quella splendida Mia Goth particolarmente a suo agio nei panni di bambola killer di porcellana dedita all’instabilità mentale. Se con X aveva già lasciato non 1 ma 2 interpretazioni di livello, venendo in qualche modo circondata da altri personaggi comprimari, qui è vera ed assoluta protagonista. Alla sua primissima co-sceneggiatura, la musa del regista collabora a scrivere un film ed un grande personaggio costruito su misura a lei, rapendo continuamente lo sguardo ed attenzione in scena.

Pearl di Ti West si presenta quindi per sua natura quale prodotto tipicamente “commerciale”, quale prequel ed origin story di un’attrice più che di un personaggio entrato con forza nell’immaginario collettivo. Eppure il film continua a riproporre l’atmosfera ed il messaggio del precedente X: a sexy horror story, pur cambiando quasi radicalmente le carte in tavola, per una favola grottesca e macabra capace di spingere sia dal lato dell’orrore sia da quello della commedia e del melodramma.

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Vittorio Pigini
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Laureato in Giurisprudenza, diplomato in Amministrazione Finanza e Marketing, ma decisamente un Hobbit mancato. Orgogliosamente nerd e da sempre appassionato al mondo cinematografico, con il catartico piacere per la scrittura. Studioso della Settima Arte da autodidatta, con dedizione e soprattutto passione che mi hanno portato a scrivere di cinema e ad avvicinarmi alla regia.